venerdì 3 ottobre 2025

Gaza e lo sciopero


"Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che viene da Dio" (Matteo 4,4). Il problema della Flotilla non era solo quello di far arrivare il cibo (il pane) a Gaza, ma di far valere le ragioni della verità e della giustizia (il nutrimento spirituale, la parola di Dio). Per questo i ragionamenti che portano a vedere una inutile sfida nel tentativo di superare il blocco navale non colgono il punto. La sfida utile c'era, invece, ed era una sfida alla logica della guerra e alla lunga tolleranza mostrata dai governanti in Occidente verso la politica israeliana di sterminio. 

Poi, certo, i difensori di Netanyahu faranno notare che il bersaglio dell'intervento militare a Gaza è Hamas, e che occuparsi della Palestina significa fronteggiare Hamas. Ma è sostenibile una idea del genere? Si può pensare che il piano di pace proposto da Trump possa ignorare l'esistenza del popolo palestinese in quanto tenerne conto significherebbe legittimare Hamas? 

La nazione tedesca ha a lungo sostenuto Hitler durante la Seconda guerra mondiale. Non per questo i vincitori, una volta finite le ostilità, hanno ritenuto i tedeschi indegni di governarsi da soli. Nessuno ha pensato di imporre alla Germania sconfitta un tutore britannico o francese, tanto per ribadire l'idea di una impossibile autonomia. Si dice che la commissione destinata a occuparsi della Palestina avrebbe una funzione temporanea, ma non si precisa quando e come il suo mandato prenderà fine. Di fronte a questa palese stortura è opportuno e necessario ribadire le ragioni della verità e della giustizia. "Necesse est enim ut veniant scandala", ovvero "è necessario che si producano scandali" (Matteo, 18,7) per citare di nuovo il Vangelo. Quasi un precetto illuministico. Poi vengono le considerazioni sullo stato dell'opinione pubblica e su ciò che conviene o non conviene fare per sostenere l'azione di protesta. Questo nulla toglie al valore dell'azione compiuta dalla Flotilla sulle coste di Gaza. 


Alessandro De Angelis
Ma la politica non insegua la piazza

La Stampa, 3 ottobre 2025

Sembra un paradosso, eppure non lo è. Giorgia Meloni (e Matteo Salvini) hanno contribuito a creare il contesto quasi perfetto per l’altrui mobilitazione: se irridi la gente che va in piazza, equiparando lo sciopero a una scampagnata, se ricorri alla precettazione neanche fosse uno scalpo da mostrare, così facendo sposti la discussione dal merito, discutibile o meno, all’esercizio di un diritto. Che in una democrazia è sacrosanto. Sfugge il calcolo. Forse – semplicemente – è la natura. Sia come sia, chi oggi scende in piazza, in fondo, dovrebbe ringraziarli: l’avversario che vuole silenziarti aiuta a coprire anche il rumore di una mobilitazione che, per come sta prendendo forma, pone qualche interrogativo.

Secondo la grammatica tradizionale della grande politica novecentesca, lo sciopero generale è l’extrema ratio. Non è una generica manifestazione, che pure ha degli obiettivi. Vi ricorri come prova di forza finale per dare impulso a un negoziato su una tua piattaforma. Erano cioè i grandi sindacati e i grandi partiti che chiamavano il popolo alla mobilitazione, la guidavano politicamente e anche organizzativamente con i propri servizi d’ordine, consapevoli che le teste calde avrebbero potuto sporcare le sacrosante ragioni delle masse tranquille. Insomma, come diceva Pietro Ingrao, uno che di lotte se ne intendeva: «Non basta l’indignazione». Occorreva, a quell’indignazione, dare una forma e uno «sbocco politico».

Ecco, qui lo schema è esattamente rovesciato. È vero: nel Paese c’è molta indignazione su Gaza e sulla vicenda della Flotilla. C’è nella famosa maggioranza silenziosa. C’è anche nelle manifestazioni per lo più spontanee. Da tempo non si vedeva tale coinvolgimento. Lo sciopero promosso dalla Cgil però non rappresenta l’avvio di un processo organizzato che ricerca un “sentiment” largo che parli a tutto il Paese. Si accoda, anche nelle parole d’ordine, alla parte più effervescente. E infatti Landini, per non essere scavalcato a sinistra, segue i Cobas, Schlein segue Landini e anche un po’ Conte e Fratoianni, tutti seguono l’indignazione senza preoccuparsi della forma e dello sbocco. Non sono loro che costruiscono politicamente e sentimentalmente un popolo su un disegno di insieme. Piuttosto, con vocazione squisitamente minoritaria, si buttano nel gorgo alla ricerca di un “corpo” sociale per supplire alle proprie autonome capacità di mobilitazione. Non a caso la parola d’ordine è «blocchiamo tutto», come nelle proteste francesi. Altra novità, perché «bloccare tutto» è semmai uno strumento di lotta, non il fine.

In questo gioco politico a rincorrersi e ad assumere, secondo un modello mutuato dai social, ciò che è più radicale, il rischio, come è accaduto nella discussione ieri in Parlamento, è che si perda il contatto con la “macro-storia”. Quella attorno a cui andrebbe costruito un disegno su cui aggregare. La Flotilla è un pezzo, sia pur rilevante e simbolico, di una storia più grande. E lo sciopero prescinde, e non è un dettaglio, proprio dal piano di pace, nel momento in cui il mondo sta facendo pressioni su Hamas perché accetti. Non sarà l’optimum, ma è la soluzione che può cambiare lo scenario. Nell’immediato consente la fine delle ostilità, la ripresa degli aiuti gestita dalle Nazioni Unite, la liberazione degli ostaggi. E, in prospettiva, un processo che può portare ai due Stati. Tutti i leader della sinistra europea, da Pedro Sanchez a Keir Starmer, lo hanno lodato, così il segretario generale dell’Onu Antonio Guterrez. Solo la sinistra italiana lo ha accolto in modo tiepido e, in alcune componenti, con palese ostilità. Così come, per seguire la medesima postura, aveva ignorato le parole di Sergio Mattarella sulla Flotilla, e per fortuna non è finita troppo male.

Attenzione, le piazze sono cose da professionisti. Non è detto che creare disagi e dare solo libero sfogo all’indignazione aiuti a sensibilizzare sulla causa e a creare un consenso politico, erodendo quello altrui. Normalmente, poi, quando la situazione degenera, il popolo reclama l’ordine.

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-valore-della-vera-testimonianza-e-tre-dubbi-realistici-e-scomodi



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