Massimiliano Castellani
Addio a James Senese, anima Black di Napoli
Avvenire, 29 ottobre 2025
È stato l’anema e core di Napoli, eppure se fosse nato in America sarebbe stato molto più di un “Brother in soul”, titolo onorifico tributatogli nel 1990 a New York, in una serata memorabile all’Apollo Theatre. Uno dei momenti di gloria vissuti da quello scugnizzo dalla pelle nera che è stato James Senese, che a 80 anni - a causa di una polmonite - saluta la sua gente e se ne va. Ascoltarlo suonare il suo sax magico e la sua voce era un groove unico, mai sentito prima nella città in cui era venuto al mondo nel gennaio del ’45 da Anna Senese, rimasta incinta di un soldato afroamericano, James Smith. Il padre mai conosciuto e rivolato in America quando il piccolo Gaetano (nome del nonno materno) aveva due anni. Da allora, per la gente di Vico Parise, a Miano, James è stato sempre «Gems o’ nnire».
Anima black e cuore napoletano, una fusione che lo ha reso unico, fin da bambino, quando frequentava le lezioni di musica del maestro Santoro, a Piscinola. Nato ai bordi di periferia questo talento precoce e futuro caposcuola della Neapolitan Power, ma prima c’è stata la fase dell’apprendistato con gli Showmen, la band fondata con Mario Musella. «Pure suo padre era un militare, un indiano d’America, un cherokee, ma Mario l’ha saputo dopo». Assieme hanno fatto un Sessantotto: con la cover riarrangiata di Un’ora sola ti vorrei vincono il Cantagiro di quell’anno. Soldi, successo, ma la terza “s”, quella del sound, li divide. Perché James scopre di non essere un’anima pop, è tarantolato dal jazz e a illuminare la sua strada spunta il faro luminoso, il sax di John Coltrane. «Sperimentazione, fondere jazz e rock progressive in un unico suono, era il mio primo comandamento» e quello lo mette in pratica con i Napoli Centrale, il gruppo nato mezzo secolo fa e di cui era riconosciuto ancora come il leader maximo.
Carisma musicale di chi parla alla gente, agli ultimi, ai lavoratori della terra, come la hit Campagna che nel ’74 «fa nu terremoto», scala la classifica e vende quasi 100mila copie. Un vero trionfo, anzi un miracolo di san Gennaro per la musica indipendente. Quattro anni dopo, alla porta di casa Senese bussa un guaglione folgorato da quella musica e chiede di entrare a far parte dei Napoli Centrale. Era l’uomo di Napule è, Pino Daniele. Un fratello. «Pino lo conoscevo da sempre, da prima che venisse a cercarmi, eravamo la stessa cosa. È stato un amore reciproco che solo io e lui potevamo capire e spiegare a noi stessi. Quello con Pino rimane un incontro unico e irripetibile, come anche quello con Mario (Musella)», confidava l’ultima volta ad "Avvenire" in occasione della presentazione del suo ultimo disco, Stiamo cercando il mondo.
A 80 anni James Senese come tutti i grandi nei live aveva mantenuto lo stesso timbro, quel sax suonava dal vivo come nei dischi, limpido, perfetto e sporco all’occorrenza. Il tempo non era passato per James, fedele alla sua città, alla tradizione, grazie anche a una spiritualità innata. Nel brano dell’ultimo album Senza libertà a un certo punto canta: «C’h nascunnimmo pure a Dio… Ce sta ‘a guerra, ce sta ‘a famme, Chest’anime innocenti anna crescere e muri’ accussì…». Brano di un’attualità straordinaria visti i venti di guerra che sferzano il mondo. «Infatti questa canzone è la storia dei nostri giorni. Noi ci illudiamo di vivere in un mondo libero, ma liberi non lo siamo mai stati. E te ne rendi conto soprattutto quando un pazzo si sveglia alla mattina e manda ragazzi a morire e a sparare ai civili, ai bambini alle povere anime innocenti, che poi sono le vere vittime di tutte le guerre», disse convinto con il piglio dell’eterno ragazzo dei Napoli Centrale. «Noi abbiamo la fortuna di parlare una lingua universale che è anche musicale, ma ci vuole molto coraggio a cantare in napoletano. Oggi ci provano i rapper, i neomelodici, ma sti’ guaglioni non hanno ancora capito che per cantare il vero napoletano devi andare alla radice. Devi imparare a riconoscere e devi studiare fino a sentirtela nell’anima la Napoli dei grandi poeti, del teatro e della canzone tradizionale. I giovani napoletani, lo dico con il cuore, da questo punto di vista non stanno facendo “nu c…” (bip)».
Si arrabbiava James, come nella scena del film di No grazie, il caffè mi rende nervoso in cui se la prende con il povero giornalista del “Mattino”, Lello Arena. Furie passeggere, piccole nubi in una testa votata all’ironia e all’arte dell’incontro. Un musicista spirituale che con Jesus is love, un brano strumentale dalle cromature sax celestiali, aveva raggiunto le vette insospettabili della propria fede personale. «Io mi considero un “credente-credente” e non uno di quelli che fanno piangere alla Madonna. La fede l’ho cercata e la fede mi ha trovato. Volevo vedere qualcosa in più e non è da tutti andare oltre in questa ricerca di Dio. Io credo di esserci riuscito, anche grazie alla musica. Certe canzoni che ho scritto come Jesus is love o in passato O’ Sanghe , in fondo sono delle preghiere d’amore verso il Signore. E noi siamo poca cosa davanti a Lui, per questo siamo nelle sue mani. Capito?».
Come contraddire l’artista più aperto e disponibile della scena napoletana che non ha mai voluto lasciare la sua Napoli per inseguire le sirene lontane dal mare e dal Vesuvio. «Io sono uno che vede e sente, e che a differenza di tanti che si dicono “napoletani” e che sono scappati via alla prima occasione, sono rimasto qua a difendere e a difendermi dal male e dall’invidia…». Sognava di tornare in America, magari al mitico Village Vanguard di New York. «Lì non ci ho mai suonato e certo sarebbe bello, ma è un viaggio troppo lungo per me, specie adesso che tengo gli acciacchi…», disse salutandoci. Salutiamo per sempre James Senese, partito per questo ultimo viaggio: era nato per farci divertire e sognare con la sua musica, ma in fondo l’ha sempre saputo che il suo sax era destinato a suonare per gli angeli.
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