Alfio Sciacca
"Ha risposto in lacrime. Rintracciarla è stata dura. Quei sette minuti
mi sono sembrati ore"
Corriere della Sera, 20 ottobre 2025
«Sono anche padre di due figli e questo ti porta a immedesimarti ancor di più di fronte a una ragazza terrorizzata che non faceva che piangere». La voce che al telefono, per sette interminabili minuti, ha sorretto la 19enne perseguitata dal suo ex ha il volto dell’assistente capo Andrea Milioni, 37 anni, dei quali 16 in Polizia.
Quali sono state le maggiori difficoltà?
«Avevamo solo la segnalazione di un nome su un pullman. Solo quando nel nostro sistema abbiamo trovato il numero di una donna che poteva coincidere con la 19enne ci abbiamo provato. Ma ho capito subito. Chi risponderebbe a un numero sconosciuto in lacrime? L’altro scoglio è stato rintracciarla. Lei non conosce la città e solo quando ha parlato di un ippodromo ho capito».
E poi?
«Le ho detto di non parlare fino a quando non vedeva una rotonda. Quando mi ha detto “ci sono” ho fatto intervenire le volanti».
Perché sul pullman lui stava a distanza?
«Penso per non destare sospetti. Se gli altri passeggeri l’avessero visto accanto a una ragazza che piangeva magari sarebbero intervenuti».
Lei all’inizio non voleva denunciarlo.
«Ma solo per paura. Diceva “non denuncio nulla”. “Ti prego no”. Ma poi si è convinta»
E all’arrivo dei suoi colleghi?
«È esplosa in un pianto liberatorio e ha abbracciato la collega Fiammetta Morelli» Cosa ha provato in quel momento?
«Un senso di liberazione. Erano passati sette minuti, ma mi sembravano ore».
Si era già trovato in situazioni simili?
«Ho affrontato altri casi alle Volanti, ma quando c’è il contatto fisico è più facile. Al telefono è decisivo saper infondere fiducia».
Ha incontrato la ragazza?
«No. Avrei voluto, ma non è stato ancora possibile. Non escludo di farlo nei prossimi giorni, mi farebbe tanto piacere».
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- Corriere della Sera
- di Alfio Sciacca
«Sei da sola? C’è lui? Rispondi solo sì o no». Comincia così il serrato dialogo tra un poliziotto della Centrale operativa della Questura di Varese e una ragazza di 19 anni perseguitata dal suo ex, che grazie al tempestivo intervento della polizia è stato arrestato. Anche se dopo due giorni il Gip ne ha deciso la scarcerazione, con il solo divieto di avvicinamento. Forse l’unica nota stonata in una storia in cui, una volta tanto, non si arriva quando ormai è troppo tardi.
Sono le 19 di martedì, appena alcune ore prima che a Milano inizi il calvario di Pamela Genini. La 19enne e il suo ex, un uomo di 45 anni, salgono assieme su un pullman extraurbano. Lui poco prima l’ha aggredita a calci e pugni proprio alla fermata dei bus, poi l’ha costretta a seguirlo. Lei è terrorizzata. Ma questa volta chi ha visto non si gira dall’altra parte. A chiamare il 112 è infatti un conoscente della ragazza che segnala anche dove è diretto l’autobus sul quale sono appena saliti.
Dal nome della ragazza la polizia risale al suo cellulare. L’agente di turno in Centrale, Andrea Milioni, compone il numero e all’altro capo risponde una voce rotta dal pianto. Non ci sono dubbi: è lei. Comincia così un dialogo, durato sette minuti, per capire dove si trovi il pullman. L’uomo che la perseguita è in piedi a poche file di distanza. La 19enne non può parlare esplicitamente per paura che lui capisca. Risponde a monosillabi. L’agente continua a fare domande e quando la ragazza dice di vedere dal finestrino un ippodromo il poliziotto capisce dove inviare le volanti.
Sono minuti che sembrano interminabili. La ragazza è come paralizzata. Continua a piangere e smozzicare poche parole. L’agente cerca di tranquillizzarla e di conquistarne la fiducia. «Il pullman e alla rotonda. I colleghi stanno arrivando. Stai tranquilla, rimango io al telefono». La rassicura: «Adesso ci sono i colleghi. C’è anche una donna. Non la vedere come una poliziotta. È una tua amica. Ti daranno una mano. Sono volati per te. Stai tranquilla». E ancora: «Noi stiamo facendo di tutto per te. Però mi devi promettere una cosa. Dopo devi dirle tutto. Me lo prometti? Ti fidi di me?» «Sì», sussurra lei. «Noi sappiamo tutto — la rincuora l’agente —. Sappiamo che ti ha aggredita e altre persone l’hanno visto. Però se tu vuoi essere aiutata devi fare una piccola cosa: devi dire tutto ai miei colleghi quando siete in ufficio».
Qualche minuto dopo gli agenti bloccano il pullman e salgono a bordo. La ragazza in lacrime abbraccia la poliziotta e le dice «grazie», mentre i colleghi fermano il 45enne. In ospedale la 19enne (con una prognosi di 7 giorni) racconta tutto, presentando formale denuncia. Lo aveva già fatto a giugno per atti persecutori e revenge porn dopo che aveva postato delle sue foto intime.
L’uomo, con precedenti per droga, viene fermato e trasferito in carcere. Ma due giorni fa il Gip di Varese, Alessandro Chionna, nel convalidare il fermo lo ha rimesso in libertà. Per lui ha disposto solo l’unica misura cautelare del divieto di avvicinamento a meno di 500 metri. Neanche il braccialetto elettronico. Una scelta molto discutibile che ha suscitato l’immediata reazione del governatore della Lombardia Attilio Fontana: «È assurdo che l’aggressore sia già stato rimesso in libertà».
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