giovedì 23 febbraio 2017

Montale sul New Yorker (1935)



Irma Brandeis
Russell Maloney
Poet's brother
The New Yorker, March 16, 1935, p. 13



We have just received, from a very reliable source, an account of an incident that took place a few weeks ago in Italy, at a café in Florence. Eugenio Montale, the Italian poet, was being introduced to Leo Stein, the brother of Gertrude, at a cafe in Florence. Mr. Stein is quite deaf. Montale, a little embarrassed and at loss for something to say, shouted into the mouthpiece of the apparatus on Mr. Stein's breast. "So you are the brother of Gertrude Stein?" "Louder, louder," said Stein, "I can't hear you," "Are you Gertrude's brother?" "Yes," said Stein, "I am." "Do you like her?" "Oh, very much," the Italian screamed, "Well, I don't," said Leo, "I hate her."


Edward Hirsch, Montale's Songbook, The New Yorker, December 21, 1998
BOOKS review of the collected poems of Eugenio Montale translated by Jonathan Galassi.



... Nowhere has the idea of love as a metaphysical affair had more currency that in Italian lyric poetry, where the beloved is a spur and an inspiration, a siren song, a spiritual twin, an alter ego. She becomes an angelic myth, a "goddess who won't become flesh",  a sun-drenched celestial light, a cosmic force, that he has absorbed into himself, a power that counters the evil in history.
Montale's beloved muse was based on Irma Brandeis, an American Italianist, but she was also a literary construction, a potent device. By framing and revealing his story as an allegorical autobiography, a work of devotion, and a songbook, he was working against - working through - a major line of descent that runs from the songs of the troubadours, who invented the idea of courty love, through Dante's "La Vita Nuova" and Petrarch's "Canzoniere". He once wrote of tradition that is continued "not by those who want to do so, but by those who can". It was given to Montale to lower his voice to a whisper in order to raise the lyric to a high power. His work is a modernist rupture with the past, but it is also a joyous fulfillment of Italian poetry.

 

http://machiave.blogspot.it/2015/02/clizia.html

150 milligrammi, con Sidse Babett Knudsen



Simone Lorenzati

150 milligrammi è l'ultima fatica della regista francese Emmanuelle Bercot e vede come ottimi protagonisti Sidse Babett Knudsen e Benoît Magimel. La storia è basata sulla vita del medico pneumologo Irène Frachon, la quale intraprende una lotta titanica contro una casa farmaceutica francese, la Servier, rea di commercializzare il Mediator, farmaco prescritto legalmente per oltre trent'anni e che ha causato morti sospette su più di cinquecento persone. Frachon è interpretata dalla splendida Sidse Babett Knudsen, davvero bravissima, in grado di essere dura quanto sensibile, energetica quanto professionale. La regista Emmanuelle Bercot dà una buona lettura alla storia della "Erin Brockovich francese" lavorando su di un film di denuncia, di impegno sociale e professionale. Ciò che emerge è di disarmante attualità (i fatti sono realmente accaduti oltralpe tra il 2009 ed il 2010 e molti pazienti sono tuttora in attesa della causa legale e dei relativi danni richiesti alla Servier), così come vanno sottolineati il coraggio e la determinazione di una donna che, in nome dei suoi ideali e della sua etica professionale, sceglie di lottare contro i poteri forti, nonostante le numerose e continue difficoltà, per tutelare in primis la salute delle persone. Dopo aver coinvolto il gruppo di ricerca del piccolo ospedale in cui lavora, Frachon ed i suoi ipotizzano la possibilità di una correlazione di causa-effetto tra il farmaco e le valvulopatie da cui i pazienti vengono colpiti. Ha inizio così una guerra impari fra il piccolo team bretone, il Ministero della Salute e soprattutto il colosso farmaceutico che lo commercializza, dall'inizio titubante fino all'esplosione mediatica del caso. Il film della Bercot, che voleva fare il medico come suo padre, è diretto e coinvolge in prima persona lo spettatore nelle paure dei protagonisti e nella loro sete di giustizia. Non mancano aspetti eccessivamente romanzati della storia, a cominciare dalla famiglia della stessa Frachon, famiglia che si divide tra la passione per la musica ed un marito che appare tutto dipinto a suo vantaggio. In ogni caso la pellicola è assolutamente consigliata sia per l'opera in sé e sia per l'ottimismo che trasmette. “Il mondo è un posto pericoloso in cui vivere, non a causa di coloro che compiono azioni malvagie, ma a causa di coloro che stanno a guardare senza fare niente” sosteneva Albert Einstein. Una frase che Frachon sente sua e che sarà la spinta per la sua battaglia.

martedì 14 febbraio 2017

Un Consiglio comunale a Torino


Simone Lorenzati, Metti un pomeriggio in Sala Rossa


Metti che un giorno tu decida di vedere come funziona davvero. Che tu sia stufo di telegiornali e giornali e voglia osservare come si muove la macchina amministrativa cittadina da vicino. Metti, poi, che tu voglia vedere in prima persona quella che, secondo un sondaggio commissionato poche settimane fa dal Sole 24 ore, è la Sindaca più amata d'Italia. E allora, con in mente questo ed altro, decidi di presenziare al tuo primo Consiglio comunale a Torino (non certo il primo in assoluto), per inciso il quinto da quando si è insediata la Giunta guidata da Chiara Appendino. Decidi di evitare la trafila da giornalista e, abbandonando il tesserino a casa, ti registri come semplice visitatore per poi andare ad accomodarti in “piccionaia”. E già qui la prima sorpresa. Una città di un milione di abitanti e, ad assistere al Consiglio, dall'inizio alla fine, siamo in tre: io e una coppia di signori, con chiaramente decisione presa da lei visto l'interesse che manifesterà lui durante l'intera seduta. Più altri 5 o 6 che restano grossomodo un'ora ciascuno. In effetti, va detto, le tre ore e mezza di durata non aiutano ad entusiasmare e ad avvicinare alla politica. E deve pensarla così anche Appendino che farà, infatti, una fugace apparizione di una ventina di minuti circa verso metà Consiglio. 
Sono quindici le interpellanze presentate dalle varie opposizioni alla maggioranza pentastellata e ben poche verranno accolte (fatta eccezione per una, in finale di seduta, presentata dalla Artesio di Torino in Comune). Il clima ricalca, in formato mignon, ciò che si vede in Parlamento. Il gruppo M5S e il Pd impegnati a giocare uno contro uno, mentre il resto dei gruppi pare più in disparte. Anche se i veri battibecchi arrivano dalle parti del centro-destra. Dopo una replica dell'assessore all'ambiente Giannuzzi, ad una interpellanza su inquinamento e relativi blocchi alle auto, è Osvaldo Napoli (Forza Italia) ad infiammare la seduta dando dell'imbarazzante all'intervento dell'assessore “sia per cosa ha detto sia per come lo ha esposto. Se si scrive le cose almeno a casa le legga un paio di volte prima di venire in aula. Glielo suggerisco davvero come consiglio”. Brusii e rimostranze dai banchi pentastellati mentre Giannuzzi ha preferito non replicare. Altro scontro sulla linea M5S-Lega in merito ad una interpellanza, firmata dal capogruppo Ricca, sul campo rom di via Germagnano: “Vi preoccupate degli adulti ma non dei bambini che qui respirano veleni tutto il giorno giocando in un campo in cui non hanno deciso di stare”. “Sappia che i bambini ci stanno a cuore ma il problema dei campi-rom non è certamente di semplice soluzione. E questa non sono le ruspe come proponete voi” è stata la replica di Appendino nel suo unico intervento in aula. Il Pd, dal canto suo, orfano di Fassino impegnato alla direzione nazionale del partito, si è diviso tra accuse di dilettantismo e inoperosità alla maggioranza e, specie per bocca del capogruppo Lo Russo, offerte di dialogo per il bene della città (tentativi sostanzialmente sempre respinti dai pentastellati). 
L'impressione è che in Commissione sia più visibile come funziona davvero la macchina comunale mentre, in sede consiliare, sia meno comprensibile. Chiaramente anche in città è più semplice stare all'opposizione che non governare e, seppur a ruoli invertiti, lo schema è lo stesso che in Parlamento. Dando per scontato l'amore per Torino da parte di ciascun consigliere, da buon crociano, uscendo dalla Sala Rossa a fine seduta mi è tornata in mente una sua storica frase: il vero politico onesto è il politico capace.

giovedì 9 febbraio 2017

Renzi a malpartito



Carlo Bertini
Esplode la rivolta nel Pd
Renzi userà il congresso per evitare la scissione 

La Stampa, 9 febbraio 2017


Dopo giorni di rancori soffocati e tempesta incombente, esplode la rivolta nel Pd: «Sta franando tutto», scuote la testa sconsolato uno dei renziani più fedeli al capo. Si può immaginare cosa dicano gli altri. Gli eventi precipitano e sintomo della crisi che sembra mettere una pietra tombale sulla corsa alle urne è la lettera di 41 senatori, tra cui Chiti, Manconi, Tocci, in cui si chiede di sostenere il governo e di «non concedere più nulla alle pulsioni dell’antipolitica». Una dura critica all’assenza di analisi, «le amministrative, il risultato del referendum, il cambio di leadership governativa aspettano ancora una ragione interpretativa. E serve un tempo ragionevole», per capire cosa proporre prima di andare al voto. Nella war room renziana vengono scannerizzati i nomi e si vede che dodici firmatari sono di area Franceschini, otto attribuibili a Orlando. Se ai 41 si aggiungono i 20 bersaniani, la metà del gruppo Pd del Senato è fuori controllo. Ma la vera svolta è la crisi che investe la maggioranza renziana: per due giorni con interruzioni solo per votare la fiducia, in Senato va in scena uno psicodramma impensabile fino a due mesi fa, una rivolta di franceschiniani e renziani vari della seconda ora. «Qui siamo in mezzo alle macerie», dicono i fedelissimi alla fine. Sconcertati dopo aver sentito senatori fino a ieri allineati scaricare sul luogotenente di Renzi, il toscano Andrea Marcucci, una valanga di recriminazioni, con una violenza verbale inusitata. Accusando Renzi di ogni cosa, dalla «sua assenza», alla questione dei vitalizi, al parlare solo di data di elezioni. Un conto salatissimo, messo in carico al leader anche da quelli di Franceschini. Con i renziani presenti imbarazzati al punto che l’intervento finale di Marcucci per parare i colpi riceve un’accoglienza tiepida pure dai suoi.
Renzi è infuriato e lancia la sua cavalleria contro Bersani che gli intima di piantarla con i giochetti, ma sa che sta sfumando il suo progetto di votare a giugno. Idea che malgrado tutto ancora accarezza, cercando di convincere - tramite ambasciatori - pure Berlusconi che se si voterà a febbraio 2018 anche lui potrebbe restare invischiato nell’effetto Monti, per via delle prese in carico di responsabilità nazionale che potrebbe richiedere la manovra lacrime e sangue di autunno. Ma è il Pd il suo fronte più debole, l’ex Cavaliere lo sa e per questo lo lascia cuocere nel suo brodo.
Il partito di governo infatti è una barca che fa acqua, al punto che il segretario sta pensando, consigliato dai suoi, di usare il congresso anticipato come arma per mettere a tacere la rivolta. Mettendo in mora la strategia dei «compagni». Che sarebbero costretti a rinunciare alla scissione. «Meglio, per me lasciare il Pd sarebbe una scelta drammatica, per altri forse no», ammette Miguel Gotor [nella foto]. Se fosse tolto dal tavolo il voto a giugno, sarebbero convocate le assise per la sfida della leadership come chiede Bersani. Il quale ritiene che comunque Renzi parta favorito, tanto che i «compagni» saranno costretti a puntare su un unico «cavallo» per non indebolirsi con più candidati. Oggi Roberto Speranza riunirà la corrente in ebollizione. Ma è indubbio che con il congresso tutto il cantiere della scissione guidato da D’Alema verrebbe messo in crisi, tanto che in camera caritatis anche dirigenti di Sinistra Italiana ammettono di fare il tifo per il voto a giugno, perché la forzatura di Renzi agevolerebbe loro il compito di svuotare il Pd. Insomma col congresso a giugno da chiudere con le primarie a ottobre si riaprirebbero i giochi.

sabato 4 febbraio 2017

John Fante, Le donne di Napoli (1957)


 
John Fante, Lettera alla moglie Joyce, Napoli, ca 27-28 luglio 1957, sta in Id., Tesoro, qui è tutto una follia, trad. Alessandra Osti, Fazi, Roma 1999



Tesoro,
le donne di Napoli sono dei maiali. Sono maiali grassi con dei vestiti sciatti, di solito neri, macchiati di salsa di pomodoro, urina, grasso, o dalla cacca di un bebè. I seni gli arrivano alle ginocchia, e i loro culi pendono come dei palloncini gonfi d’acqua. In realtà non camminano, si trascinano piuttosto, scivolando su dei sandali di legno o cuoio dai quali fanno capolino dieci sudice dita. Ma devo anche spiegare che sono meravigliose, ognuna ha il volto della madre di Dio e le mani contorte, incallite delle donne che hanno passato la loro vita a badare ai propri figli e ai propri uomini. Quei seni giganteschi e scesi, così grotteschi e mostruosi, confortano i bambini che piangono, e non è difficile immaginare che eccitino gli uomini. E' anche possibile che a Napoli gli uomini preferiscano che le loro donne siano corpulente e abbrutite, con pance poderose e occhi che abbiano guardato Dio. Immagino che gli uomini vogliano che le donne abbiano un forte odore di sudore e di mestruazioni perché è animalesco, è come andare il più vicino possibile all’animale continuando a vivere nella civiltà. Perché sono civili, sofisticati, generosi, gentili, educati, valorosi e terribilmente coraggiosi.



Sembra un brano turgidamente iperbolico, ricavato da una lettura non sorvegliata della Pelle di Curzio Malaparte, un pasticcio di morbosità eccitata e di pigmentazione ad effetto, con quel richiamo blasfemo alla Madonna tipicamente fantiano. (Giacomo D'Angelo, L'emigrazione abruzzese e la letteratura)

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/03/23/john-fante-lettere-sull-italia.html
https://palomarblog.wordpress.com/2017/02/05/berlino-est-1960/