venerdì 31 ottobre 2025

Se il radicalismo sfocia nell'intolleranza


Guido Vitiello 
Il terrorismo intellettuale di Tomaso Montanari
Il Foglio, 30 ottobre 2025

Il terrorismo intellettuale, ossia la tagliola ricattatoria fatta scattare a difesa di un’idea o di un’ideologia, esiste da secoli, forse perfino da prima dei giacobini, ma nell’ultima stagione ha preso una forma che definirei passivo-aggressiva. Funziona così: si erige intorno alla propria posizione una muraglia sdegnosa, proclamando che a cementarla è di volta in volta la scienza, il diritto, la competenza, il consenso unanime di tutti gli studiosi perbene, e da quella cittadella di certezze immaginarie ci si prende il lusso di spregiare tutte le opinioni difformi, di degradare moralmente chi le sostiene, di irridere le orde barbariche dei “negazionisti” (accusa che ormai si porta su tutto). Quando a comportarsi così è un influencer scemo raccatta-like si può soprassedere, un po’ più grave è che se ne compiaccia il rettore di un’università.

Tomaso Montanari – uno che predica la parresìa ma deve averla confusa con la prosopopea – scrive su Instagram che lui non inviterebbe quelli di Sinistra per Israele nella sua università, anzi, che nessuna università dovrebbe invitarli, perché pur criticando Netanyahu (su questo Fiano strappa il diciotto politico) rifiutano di parlare di genocidio “con sommo spregio per i coerenti pronunciamenti della scienza giuridica e di quella storica”. E’ intellettualmente e pedagogicamente avvilente che il rettore di un’università, dunque di uno spazio deputato alla discussione civile e tollerante, diffonda un’immagine così catechistica e rattrappita delle “scienze” dietro cui sceglie di trincerare la sua spocchia. Forse, nelle pause tra un talk-show e l’altro, potrebbe trovare il tempo di leggere (nemmeno tutto: bastano i capitoli dall’11 al 13) un libricino appena pubblicato da Laterza, Caos. La giustizia internazionale sotto attacco, di Marcello Flores ed Emanuela Fronza, che sono appunto uno storico e una giurista. Dopo questa infarinatura, potrà continuare tranquillamente a chiamarlo genocidio, ma con tutte le cautele che si addicono a uno studioso. Magari potrà perfino invitare Emanuele Fiano a discuterne con lui. 

Voltaire
Trattato sulla tolleranza (1763)
Prefazione di Palmiro Togliatti (1949)

Lo scritto di Voltaire sulla tolleranza, che per la prima volta [1949] viene presentato al pubblico italiano in edizione popolare, è senza dubbio tra le opere più singolari del grande scrittore francese, ed è tra quelle che più contribuirono, in Francia e in Europa, a procurargli quella larga fama di combattente contro le ingiustizie e le infamie del fanatismo clericale, che superò anche la fama sua di filosofo e letterato. Le circostanze che dettero origine allo scritto non occorre rievocarle qui: si legga il primo capitolo, che ne dà una esposizione drammatica e concisa. Una esplosione di fanatismo religioso, poi uno di quei processi che disonorano giudici e giustizia, e ancora oggi e troppo di frequente offendono gli animi onesti: la passione umana e il genio politico e letterario di Voltaire seppero, mossi da questi fatti, suscitare attorno ad essi una commozione così profonda e generale da costringere le autorità della Francia feudale a un intervento riparatore. Il Trattato ci si presenta quindi come un piccolo capolavoro di polemica civile e politica, prima che storica e filosofica, dove tutta l'argomentazione è subordinata allo scopo di allargare il fronte dell'attacco e rendere questo più efficace. Ciò dà un valore particolare e quasi una giustificazione persino ad alcune posizioni oggi per noi non ammissibili, come l'accettazione di alcune misure di discriminazione politica a danno dei non cattolici in uno Stato dove la religione cattolica sia dominante. È vero che la cosa è coerente con la concezione politica moderata dell'autore ed è inoltre giustificata, ai suoi occhi, dall'esempio dell'Inghilterra dove tale discriminazione, in paese protestante, esisteva a danno dei cattolici. Nel contesto di questo scritto, però, l'impressione che queste posizioni non conseguentemente liberali suscitano nell'attento lettore è piuttosto quella di concessioni astute fatte con spirito molto realistico (od opportunistico, se così si vuole) agli avversari e anche agli amici non troppo convinti, allo scopo di ottenere la necessaria larga adesione delle sfere dirigenti intellettuali alla tesi essenziale della necessità che nella società civile prevalga un clima di tolleranza religiosa, e sia negata alle gerarchie ecclesiastiche la facoltà di avvelenare, turbare, lacerare l'umanità con le loro vacue controversie, con le condanne ridicole, con le persecuzioni insensate. La battaglia per la tolleranza, infatti, che alcuni anni or sono poteva sembrare a tutti superata per sempre, ma che recenti episodi e il risorgere di una baldanza clericale al servizio di una estrema resistenza e reazione capitalistica rendono invece ancora una volta attuale, non fu facile a vincersi. Il merito del razionalismo settecentesco e in particolare degli illuministi francesi sta nell'averla condotta con la più grande decisione, senza esitare di fronte ai colossi dell'autorità e della tradizione, di fronte ai poteri minacciosi di una gerarchia che si affermava spirituale e di un governo che si proclamava ed era assoluto, con fiducia illimitata nella propria forza intellettuale e morale, il che vuol dire, in sostanza, con illimitata fiducia nelle facoltà della ragione umana. La portata della battaglia per la tolleranza superò perciò largamente la semplice rivendicazione e attuazione di un nuovo e più moderno regime nelle relazioni tra lo Stato e la Chiesa, per cui gli "altri culti" dovevano alla fine riconoscersi "tollerati": fu una grande vittoria del razionalismo moderno contro l'oscurantismo della Controriforma, il punto culminante di uno svolgimento di pensiero partito dal Rinascimento, sostenuto dalle rinnovate ricerche scientifiche, dalla demolizione del metodo della filosofia scolastica, dal trionfo dei princìpi del libero esame e del materialismo. Non si poteva infatti sostenere contro il fanatismo religioso la tesi della tolleranza, se non respingendo le basi dottrinali del sistema di pensiero su cui quel fanatismo poggiava, e se oggi sentiamo che la battaglia dell'illuminismo contro il fanatismo religioso può ridiventare attuale, ciò è anche in legame con la degenerazione filosofica e culturale per cui i "superatori" del razionalismo hanno contribuito a restaurare le vecchie correnti oscurantistiche e clericali. E qui assume il necessario rilievo il problema del metodo di quel ragionare che fu proprio del razionalismo settecentesco. È stato a lungo ed è tuttora di moda, sembra, irridere ad esso, come a cosa ingenua, superficiale, astratta, lontana da quel senso della storia che sarebbe il tratto nuovo, caratteristico, del pensiero moderno più progredito. Che Voltaire e gli altri della sua statura fossero ingenui, è difficile crederlo. Sapevano con chi avevano a che fare, sapevano quello che volevano: la loro polemica è quindi sempre concretamente diretta contro un nemico presente; il loro ragionare e lo stesso stile loro è continua schermaglia, dove il sottinteso, l'ironia, il sarcasmo hanno una ben precisa funzione, non tanto dimostrativa, quanto distruttiva. Sapevano, soprattutto, che era loro compito liberare da un pesante giogo intellettuale milioni di uomini. Perciò erano chiari, limpidi, efficaci. In seguito e purtroppo, il campo è stato di nuovo invaso da gente diversa, di cui si può ripetere ciò che Cartesio diceva degli scolastici, "che possono parlare di ogni cosa con tanto ardire come se la conoscessero, e sostenere tutto ciò che dicono contro i più sottili e i più abili, senza che vi sia il mezzo di convincerli; simili in ciò a un cieco che, per battersi senza svantaggio contro un veggente, lo facesse scendere nel fondo di qualche cantina molto scura". Si sentono in Voltaire, senza dubbio, le lacune dell'indagine erudita del tempo suo, ma tra il suo robusto giudicare dei fatti storici secondo buon senso e ragione, e le ipocrite e contorte giustificazioni di qualsiasi obbrobrio in nome della idealità del reale, la nostra scelta non è dubbia. Per lo meno la critica volteriana fu principio ed anima di un'azione grandiosa, mossa dal proposito di trasformare il mondo, e a qualche cosa nuova ha pur messo capo! Tra il razionalismo illuministico e il marxismo la differenza è senza dubbio grande. La nostra concezione del mondo e della storia non fa luogo soltanto a quelle istanze razionali da cui mosse il materialismo settecentesco. La nostra dottrina è del tutto nuova, perché trova nella realtà stessa e nel suo sviluppo la ragione e la molla del rinnovamento del mondo. Ma in coloro che, come gli illuministi, animati dalla fiducia più grande nell'uomo e nelle sue facoltà, impiegarono le armi del loro sapere per aprire un'èra di rinnovamento dell'umanità, non possiamo non riconoscere dei precursori. Il bagno razionalistico era indispensabile per aprire al pensiero e all'azione degli uomini le strade di un'èra nuova. La cosa è tanto vera ed evidente che quelle correnti culturali le quali credettero di poter superare o respingere il razionalismo illuministico senza essersi immerse in esso sino ad appropriarsi tutto quello che ebbe e realizzò di positivo e progressivo nella distruzione del passato oscurantistico e clericale, hanno finito per metter capo ancora una volta a questo passato, o per aprire la strada alla sua resurrezione. Per questo crediamo che soprattutto in Italia un "ritorno al razionalismo" sia cosa da augurarsi, se non altro nel senso di rinnovata conoscenza diretta dei principali testi e momenti di una grande battaglia culturale e filosofica progressiva, e non ci dispiace dare a questo ritorno, nei limiti di una iniziativa editoriale, il nostro contributo. 

Palmiro Togliatti luglio 1949

Nessun commento:

Posta un commento