domenica 8 novembre 2020

La compagnia del libro


Diego Gabutti, Lascia la fabbrica e vende libri, Italiaoggi, 7 novembre 2020

Non è ancora fuori corso come l'hula hoop, l'orologio da taschino o le radio a transistor ma poco ci manca. Per il libro in carta e inchiostro sono tempi difficili. Non che sia morto, o stia per morire: il libro cartaceo sopravvive agli eBook di Amazon e delle altre librerie digitali proprio grazie alle librerie on line, che in 24 ore recapitano a casa di chi li ordina libri d'ogni ordine e specie (compresi i libri di editori periferici, e a malapena conosciuti, che sarebbe impossibile trovare sia nella piccola libreria di quartiere sia nei grandi stores del centro). Davvero fuori corso, di questi tempi, sembra essere soprattutto il libro usato, il libro da bouquin, da bancarella (insieme a tutto ciò che non riguarda l'immediato, il talk show permanente dei libri effimeri, ma la memoria, le spalle dei giganti sulle quali si sono issati i nani e le ballerine del tempo presente). Morti i grandi cataloghi editoriali, moribonde le biblioteche, svaniti les livres d'antan, restano le novità del giorno, per chi se ne accontenta. Nessuno, o ben pochi, cercano vecchi libri sulle bancarelle, sempre meno numerose, ma ecco che un ex operaio torinese lascia la fabbrica e si dà al commercio di libri usati, come racconta questo memoir a più voci sulle avventure d'un bouquiniste sabaudo. Aprire una bancarella, impilare all'inizio titoli di scarso interesse, scelti senza una particolare competenza, per lo più fondi di magazzino, robe invendibili, sembra il peggiore dei business possibili, ed effettivamente lo è. Ma il libraio (e avventuriero) in questione, Marco Addonisio, impara in fretta a distinguere il bene dal male, i libri sensati da quelli senz'arte né parte, le prime edizioni da quelle meno blasonate, la clientela passionale da quella no.
Nel libro curato da Giovanni Carpinelli, cultore (la parola è grossa, ma appropriata) del libro usato, la storia di Marco Addonisio e del suo commercio di vecchi libri, venduti nelle fiere, su eBay, nei mercatini rionali, diventa il racconto esemplare d'una vocazione a trasmettere non diciamo la «cultura» (questo sì, sarebbe un parolone) ma lo splendore letterario del mondo di ieri. La compagnia del libro non si limita a parlare di letteratura (in senso borgesiano, dove tutto è letteratura, anche la scienza, anche la teologia) e neppure s'accontenta di celebrarla ma è letteratura esso stesso.
Qua e là, diciamolo, esagera e drammatizza il valore del libro, fino a prendere partito per il bibliofilo, che ama i libri per il loro contenuto, e contro il bibliomane, che stravede feticisticamente per l'oggetto in sé. Personalmente, se posso dirlo, io tifo per il bibliomane, perché somiglia più al maniaco sessuale, o peggio al filatelico, che a Daria Bignardi e Alessandro Baricco , e che si diverte con i libri come un vecchio reprobo nelle serate di burlesque). Leggere libri «per migliorarsi» è molto più disonorevole, se mi è concessa una licenza moralistica à la Baricco o à la Bignardi, che farne puramente e semplicemente incetta (chi vuol migliorarsi davvero non si dia alle buone letture ma alle buone opere). 
Francesista, curatrice e postillatrice dell'opera proustiana, Mariolina Bertini ricorda, nel romanzesco (e toccante) prologo al libro di Giovanni Carpinelli, l'ultima grande stagione delle bancarelle torinesi: gli anni sessanta e settanta, quando leggere, per chi aveva vent'anni, era la più straordinaria delle avventure. Racconta, in particolare, le rocambolesche battute di caccia al libro d'un amico suo (e mio): Paolo Pianarosa, sempre di guardia «tra le bancarelle di Piazza Carlo Alberto», tanto che la sua presenza faceva pensare a «una sorta di genius loci, uno spiritello tutelare che vegliava su quel piccolo mondo e ne conosceva ogni anfratto». Più in piccolo, meno compulsivi, meno ossessivi, c'erano molti altri Pianarosa in giro per bancarelle negli anni intorno al Sessantotto, quando di libri, nelle case della maggior parte dei giovani approdati alla scuola di massa, ce n'erano pochi, anzi nessuno, e leggere era quasi sempre un'esperienza memorabile.
Dentro ogni libro, come giù per la tana del Bianconiglio, c'erano mondi inimmaginabili da esplorare. E sono ancora tutti lì, conservati nel cloud, in forma digitale, oppure sulle bancarelle superstiti, poco frequentate e tuttavia irriducibili.