Stuart Jeffreys, Grand Hotel Abisso. Biografia avventurosa della Scuola di Francoforte, Traduzione dall'inglese di Bruno Amato, EDT, Torino 2023
[Karl] Mannheim (1893-1947) era caratterialmente diverso dall'angelo di Benjamin: si voltava e osava guardare nel futuro, e immaginava che questo avrebbe contenuto un'utopia. Il potere di cambiare le condizioni presenti immaginando utopie era per lui la forza trainante della storia e qualcosa di essenziale per il benessere della società.
Questo, in un certo senso, non era molto ebraico. Il marxismo, filosofia politica ideata da un ebreo, è notoriamente poco capace di immaginare il futuro comunista per il quale il proletariato si sta apparentemente battendo. Forse questa carenza in fatto di immaginazione ha origini antiche. "È noto che agli ebrei era vietato investigare il futuro", scriveva Benjamin poche pagine dopo la descrizione dell'angelo. "La Torah e la preghiera li istruiscono invece nella rammemorazione. Ciò liberava per loro dall'incantesimo il futuro, quel futuro di cui sono succubi quanti cercano responsi presso gli indovini". Il marxismo di Benjamin diede una nuova svolta ai tradizionali rituali ebraici del lutto e del ricordo di sofferenze ancestrali. Questo però non era l'unico aspetto rilevante del suo marxismo: "Ma non perciò il futuro diventò per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto. Poiché in esso ogni secondo era la piccola porta attraverso la quale poteva entrare il messia".
Per Mannheim, il compito dell'intellettuale era proiettare in quel tempo omogeneo e vuoto una speranza ispiratrice, immaginare l'utopia e quindi fare un passo verso la sua realizzazione. La Scuola di Francoforte, in netto contrasto, disprezzava quel ruolo e durante gli anni Trenta e Quaranta si ritrasse da ogni idea che potesse avere avuto in precedenza sul trasformare la società.
Luigi Anepeta
https://www.nilalienum.it/Sezioni/Bibliografia/Sociologia/MannheimIdeologiaUtopia.html
Nella misura in cui la concezione totale dell'ideologia rivela che un intero gruppo sociale e i suoi singoli membri leggono la realtà in una maniera, almeno parzialmente, poco fedele allo stato di cose esistente, minimizzando, mettendo tra parentesi o rimuovendo i fatti che contrastano con una determinata visione del mondo, essa "solleva un problema che è stato sinora adombrato, ma che adesso acquista un più ampio significato. Il problema, vogliamo dire, di come sia sorta la "falsa coscienza", di come sia nato un pensiero capace di falsare quanto viene a cadere sotto il suo dominio" (p. 78). La genesi di un'ideologia è sempre da ricondursi al tentativo di conservare uno status quo: "il conoscere è ideologico, quando non riesce a rendersi conto dei nuovi elementi insiti nella situazione o quando tenta di passare loro sopra considerandoli in termini ormai del tutto inadeguati" (p. 103).
La funzione dell'utopia è proprio quella di portare alla luce questi nuovi elementi e di valorizzarli in massimo grado: "una mentalità si dice utopica quando è in contraddizione con la realtà presente" (p. 211). Non ogni stato della coscienza che trascende la realtà immediata si può considerare però, secondo Mannheim, utopico: "Utopici possono invero considerarsi soltanto quegli orientamenti che, quando si traducono in pratica, tendono, in maniera parziale o totale, a rompere l'ordine prevalente" (p. 211). "Noi consideriamo utopie tutte le idee (e non soltanto, quindi, la proiezione dei desideri) trascendenti una situazione data, le quali hanno comunque un effetto nella trasformazione dell'ordine storico-sociale esistente" (p. 225).
L'utopia è dunque una potenzialità evolutiva implicita in ogni sistema sociale. A tale potenzialità si può dare un significato univocamente rivoluzionario: "Da questo punto di vista, ogni evento storico si presenta come una continua liberazione dall'ordine esistente per mezzo dell'utopia, che da esso ha origine. Solo nell'utopia e nella rivoluzione si dà una vita autentica, mentre l'ordine istituzionale non rappresenta altro che il cattivo residuo delle rivoluzioni e delle utopie in fase di declino. Così il cammino della storia conduce da una "topia" (o realtà esistente) ad un'utopia e quindi ad una successiva "topia", ecc." (p. 217). Si tratta però di null'altro che di una nuova ideologia, il cui merito "consiste, tuttavia, nel fatto che, in opposizione all'idea conservatrice di un ordine stabilito, essa impedisce alla realtà esistente di tramutarsi in assoluta, concependola invece come una delle possibili "topie", da cui scaturiranno quegli elementi utopici che a loro volta porranno in crisi lo stato attuale" (p. 217). Ciò porta a intravedere il significato "dialettico" del rapporto tra utopia e ordine esistente:" Ogni epoca produce (nei gruppi sociali diversamente situati) quelle idee e quei valori in cui si condensano, per così dire, le tendenze non ancora realizzate e soddisfatte, che rappresentano I bisogni di ciascuna età. Codesti elementi intellettuali costituiscono allora il materiale esplosivo per far saltare in aria l'ordinamento esistente. La realtà presente dà origine alle utopie che, a loro volta, ne rompono I confini per lasciarla libera di svilupparsi nella direzione dell'ordine successivo" (p. 218).

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