martedì 7 ottobre 2025

Francia. Il cortocircuito totale

Anais Ginori
Marc Lazar: 
 "Eliseo irrazionale, in Francia anche con nuove elezioni rischiamo la paralisi"
la Repubblica, 7 ottobre 2025

PARIGI – «È sconcertante». Marc Lazar, storico e politologo, confida lo sgomento davanti a una giornata che ha portato al collasso del brevissimo governo Lecornu e all’avvio di incerte consultazioni all’Eliseo. «Siamo in una situazione assurda, in cui il presidente della Repubblica sembra aver perso ogni razionalità politica», osserva Lazar, professore a Sciences Po e titolare della cattedra “Relazioni italo-francesi per l’Europa” alla Luiss.

PARIGI – «È sconcertante». Marc Lazar, storico e politologo, confida lo sgomento davanti a una giornata che ha portato al collasso del brevissimo governo Lecornu e all’avvio di incerte consultazioni all’Eliseo. «Siamo in una situazione assurda, in cui il presidente della Repubblica sembra aver perso ogni razionalità politica», osserva Lazar, professore a Sciences Po e titolare della cattedra “Relazioni italo-francesi per l’Europa” alla Luiss.

Perché vede una “perdita di razionalità” da parte di Emmanuel Macron?

«Perché ha nominato Lecornu, poi ha accettato le sue dimissioni, e infine lo ha rimesso in pista per due giorni, nonostante il rigetto generale. Oggi non solo i francesi, ma anche i partiti, compresi quelli macronisti e i Républicains, rifiutano Lecornu. È un cortocircuito politico totale. L’unica spiegazione di quello che fa Macron è forse la volontà di costruire un’alleanza spostando l’asse verso un centrodestra dichiarato. L’idea sarebbe quindi rafforzare la presenza dei Républicains nel governo, pur sapendo che poi l’esecutivo sarà comunque sfiduciato».

Lei scommette quindi sullo scioglimento dell’Assemblea nazionale?

«Macron potrebbe ancora tentare un colpo di scena, ma la direzione è quella. Un sondaggio Ifop indica che il 66 per cento dei francesi vuole lo scioglimento. I francesi non solo sono delusi, ma giudicano la classe politica con un disprezzo crescente. È un rigetto generale delle istituzioni che ricorda la fine della Quarta Repubblica. E anche i partiti ormai sembrano proiettarsi verso nuove elezioni».

Nuove elezioni non rischiano di riprodurre un parlamento senza maggioranza?

«È un’ipotesi molto probabile. Tutti i sondaggi mostrano una caduta verticale del blocco macronista e una leggera progressione della sinistra. I socialisti sperano di passare da 66 a 100 deputati, ma non basta per governare. Senza un’alleanza chiara tra centro e destra, il Paese rischia una nuova impasse istituzionale e a quel punto aumenterà la pressione per le dimissioni di Macron. Non solo nei partiti, ma anche tra gli elettori. Già sei francesi su dieci pensano che il capo dello Stato dovrebbe lasciare».

E se a vincere fosse l’estrema destra?

«Non si può escludere. La dinamica del Rassemblement national è fortissima. Un sondaggio mostra che il 43 per cento dei francesi vorrebbe un governo guidato da quel partito, dieci punti in più rispetto al suo peso elettorale. Inoltre, il famoso “fronte repubblicano”, che nel 2024 aveva frenato Le Pen, questa volta potrebbe non funzionare più. Ma c’è una terza ipotesi, un Rassemblement national con maggioranza relativa. In quel caso, sono convinto che diversi parlamentari dei Républicains accetterebbero di sostenere un governo guidato da Jordan Bardella. Una parte della destra tradizionale sarebbe pronta a fare il passo, con in mente un obiettivo politico preciso: un governo Bardella oggi, ma un candidato della destra classica alle presidenziali del 2027 soprattutto se l’ineleggibilità di Le Pen sarà confermata».

Perché Macron non prova un governo di coabitazione guidato dalla sinistra, come già successo in passato?

«Macron si è spostato a destra fin dall’inizio del suo secondo mandato e non ha mai voluto fare un gesto verso la sinistra. E poi c’è l’ostacolo simbolico della riforma delle pensioni. È la sua riforma “madre”, quella che vuole lasciare come parte della sua eredità politica. Accettare un governo di sinistra significherebbe metterla in discussione, persino abrogarla. Impensabile per lui».

Questa crisi potrebbe aprire uno spazio per la sinistra moderata e la candidatura di Raphaël Glucksmann?

«Sì, lui ci crede molto. L’idea è attrarre gli elettori di centro-sinistra che nel 2022 votarono per Macron e oggi si sentono traditi o smarriti. Dopo il successo alle europee e sondaggi incoraggianti, Glucksmann punta a ricostruire una sinistra riformista credibile, che possa tornare competitiva rispetto alla France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. Lui però non ha un vero partito alle spalle e, se è vero che ha una forte dimensione intellettuale ed europea, resta vago sull’economia. Questo può indebolirlo».

Che impatto può avere questa crisi francese sull’Europa?

«Le lezioni di questa crisi sono due. La Quinta Repubblica non garantisce più la stabilità e la democrazia parlamentare in Francia non funziona. E quindi tutti, tra partiti, leader e istituzioni, sono responsabili di questo fallimento. L’impatto per l’Europa è enorme. Oggi la crisi politica si è trasformata in una crisi finanziaria. La Borsa di Parigi è in calo, lo spread sale, l’euro perde terreno. È un segnale chiarissimo. L’instabilità francese avrà conseguenze su tutta l’Unione europea. Debito più alto, minore fiducia dei mercati. E chi in Italia si rallegra della crisi francese commette un grave errore. Come nel 2011 durante la crisi italiana, anche oggi la fragilità francese si ripercuoterà su tutta l’Europa».

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