martedì 14 ottobre 2025

Il silenzio degli ebrei

Carlo Greppi
Gite ad Auschwitz, Roccella e gli scheletri nell'armadio

il manifesto, 14 ottobre 2025

Chiunque in questi anni abbia organizzato viaggi della memoria ad Auschwitz, dopo percorsi preparatori sulla persecuzione e sullo sterminio degli ebrei d’Europa e delle altre minoranze – rom e sinti in primis – assassinate in massa perché colpevoli di esistere, sa perfettamente una cosa.

Che il termine “gite” è già di suo volutamente svilente. Chiunque abbia viaggiato con centinaia di studenti è pienamente consapevole del fatto che la dimensione collettiva di queste esperienze sia stata puro ossigeno in un’epoca segnata dall’atomizzazione.

Ma non è questo il vulnus principale delle irricevibili dichiarazioni virali di una ministra della Repubblica, Eugenia Roccella, tornata ora agli onori della cronaca. La sua tesi, enunciata a un convegno dell’Ucei – e non confutata in quella sede, come rilevato tempestivamente sui social da Anna Foa -, è che le suddette “gite” siano state «incoraggiate e valorizzate» perché avevano come bersaglio «una precisa area (storico-politica): il fascismo». Segue un lapsus su quello che avrebbero ribadito (cioè che l’antisemitismo fosse «una questione fascista, e basta»), che svela il messaggio inconscio: «E quindi che il problema era essere antifascisti, non essere antisemiti». Al netto del goffo scivolone, la ministra esplicita sfacciatamente le linee guida di un preciso programma politico. Che ha come suo cardine, e non da oggi, il ribaltamento del giudizio storico sul cuore del Novecento italiano.

Se il fascismo non avesse dominato l’Europa, la Shoah, il Porrajmos e gli altri stermini degli anni Quaranta semplicemente non ci sarebbero stati. A chi continua l’opera di defascistizzazione del fascismo: noi abbiamo ben chiara l’immagine del futuro che fu evitato ottant’anni fa. «Se il fascismo avesse prevalso – scrisse Primo Levi -, l’Europa intera si sarebbe trasformata in un complesso sistema di campi di lavoro forzato e di sterminio» e «ci troveremmo oggi in un mondo spaccato in due, ‘noi’ i signori da una parte, tutti gli altri al loro servizio o sterminati».

Ora, sorvolando sulle cause che le hanno fomentate e sulle quali ci sarà da interrogarsi a fondo in futuro (spoiling: il pensiero identitario è un morbo letale che, una volta iniettato nel tessuto sociale, è difficile da arginare), il solo tentativo di accostare le – deprecabili, disgustose – espressioni di antisemitismo che ogni tanto affiorano anche in questo presente allo sterminio pianificato di milioni di persone opera dei fascismi europei è una tale bestemmia che anche chi lavora con le parole fatica a trovarle, dato che quel genocidio fu opera dei progenitori politici di chi ora sta al governo.

Ma non si può non pensare a chi negli ultimi due anni fa un uso indegno di questa storia: il «Mai più» sul quale migliaia di docenti ed educatori/educatrici hanno speso inquantificabili energie in questi anni avrebbe dovuto essere un monito universale; «Mai più, per nessuno» / «Never again, for anyone». Lo pensa, chi ritiene più grave una scritta antisemita delle decine di migliaia di morti di Gaza, accettando una mostruosa alleanza con i nipoti di chi ha arrestato, deportato e incenerito i suoi antenati? Su una cosa ha ragione l’ex presidente della Comunità ebraica di Roma: «La memoria, se non viene proiettata nel presente, rischia di trasformarsi in un rituale vuoto, incapace di prevenire l’odio sotto nuove forme». E chi usa sfacciatamente quella dell’anus mundi, del buco nero del Novecento europeo con i suoi milioni di morti sul pedigree dei suo fascismi, dei suoi nazionalismi, dei suoi razzismi e delle complicità che li hanno nutriti, chi la usa per giustificare questo genocidio di oggi – «l’odio sotto nuove forme» – o per intorpidire le acque della coscienza pubblica, forse non ha ben chiaro a che gioco sta giocando.

Antisemitismo e islamofobia sono le due facce della stessa medaglia che i fascisti, con o senza prefissi, hanno sempre orgogliosamente appuntato al petto, e che girano in un verso o nell’altro a seconda delle occorrenze. Il nemico è sempre l’Altro, per loro, e di solito quello più debole: e ogni tempo ha il suo. Forse chi ora li sostiene se ne ricorderà, il giorno in cui torneranno a pugnalarlo proprio questi improvvisati amici.

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