venerdì 24 ottobre 2025

L'arresto di Sarkozy

Luigi Manconi 
La Francia e il senso della pena

la Repubblica, 22 ottobre 2025 

Non c’è alcun happy end nelle ultime ore della lunga vicenda umana, politica e giudiziaria di Nicolas Sarkozy. Nulla di felice e, all’opposto, tantissimo di malinconico: perché è sempre infinitamente mesto il procedere di qualcuno verso una cella. Che sia un innocente o anche un briccone. D’altra parte, le favole contemporanee sono così, sottilmente sinistre: un po’ crime story e un po’ magnifica avventura, romanzo sentimentale e traffici loschi, passioni ardenti e miserabili corruttele.
Qui balza in primo piano la figura della Moglie, e che moglie, Carla Gilberta Bruni Tedeschi. Attraverso lei Sarkozy, erede di un lignaggio che combina aristocrazia ungherese e tradizione ebrea sefardita, incontra una grande famiglia europea dove imprenditoria e arte trovano un miracoloso equilibrio. Quella stessa imprevedibile composizione che le due figure di Carla e Nicolas e i loro corpi così ineguali riescono a creare nel corso di vent’anni di unione.
Lei è sempre là, perfettamente a suo agio. Si dovrebbe dire mai un capello fuori posto, se in realtà una simile immagine non fosse al di sotto del quadro di inappuntabilità borghese che Carla ha garantito con assoluta naturalezza lungo anni di vicissitudini giudiziarie e finanziarie, di accuse e di condanne, di rivelazioni e di ritrattazioni, di vergogna e di fierezza. Non è questione di decoro – roba in definitiva piccolo-borghese – bensì l’esito di quella eleganza consolidata dalla antica consuetudine con la ricchezza e la cultura.
Fino all’ultimo atto: Nicolas e Carla che, mano nella mano, si avviano verso l’ignominia del carcere, mentre amici e sostenitori intonano la Marsigliese (ed è un vero peccato che non sia stato possibile differire la scena fino alla luce tremolante del tramonto, come un regista accorto avrebbe preferito).
La destinazione, ovvero il carcere parigino della Santé, ha una storia di tragica grandezza, avendo recluso, tra gli altri, Guillaume Apollinaire e Henri Desirè Landru detto Barbablù, Alfred Dreyfus, Jean Genet e Ahmed Ben Bella, futuro leader dell’Algeria indipendente.
Un congedo dalla libertà, quello di Sarkozy, interpretato con grande dignità e con una forte rivendicazione di innocenza: “Continuerò a denunciare questo scandalo giudiziario”. Poi, è indubbio che quanto fin qui detto possa essere rovesciato nel suo esatto contrario: e così viene fatto, in queste ore, da milioni di francesi che nella detenzione dell’ex presidente vedono l’inverarsi della giustizia come la Grande Livellatrice della letteratura libertaria ottocentesca, che azzera i privilegi e cancella le sperequazioni.
In nome di una sacralità della pena che tutto omologa. E, dunque, non guarda in faccia nessuno: nemmeno un ex capo dello Stato. È questo, indubbiamente, il sentimento che prevale tra il pubblico che osserva la consegna di Sarkozy ai suoi carcerieri: è un esteso moto revanscista di rivalsa e di rivincita proprio del conflitto secolare tra popolo ed élite, ma oggi potentemente radicalizzato dallo spirito del tempo.
Questa tensione così acuta tra “la folla” e le classi dominanti è ormai da decenni il fattore politologico e politico più significativo delle democrazie contemporanee e il connotato più rilevante di tutte le politiche populiste, di destra come di sinistra.
In questo scenario la detenzione di Sarkozy costituisce l’occasione di coagulo di tanti degli umori che attraversano la società francese: dal “ribellismo senza causa” all’odio contro i ricchi e i potenti, dal disprezzo verso la politica e i politicanti all’ostilità verso il cosmopolitismo che qualifica i gruppi dirigenti. Umori e malumori, livori e rancori oscuri e lutulenti che rafforzano un’idea brutale della giustizia come resa dei conti e come vendetta.
Dunque, il diritto non come equilibrato esercizio di equità e ponderazione nel giudicare i fatti e sanzionarli secondo quanto prevedono i codici, bensì come rappresentazione emotiva della riparazione dei torti e come risarcimento simbolico delle ingiustizie sociali. Il che induce a escludere qualsiasi possibilità di interrogarsi sul senso della pena e sulla sua utilità e, di conseguenza, sul significato che essa può avere se applicata nei confronti di un uomo della personalità e dell’età di Sarkozy.
Sia chiaro: i reati per i quali è stato condannato sono gravissimi; e, in ultimo, il 25 settembre scorso un tribunale lo ha riconosciuto colpevole di associazione a delinquere per aver consentito che i suoi collaboratori chiedessero finanziamenti illeciti al regime di Muammar Gheddafi, al fine di sostenere la campagna elettorale per le presidenziali del 2007.
Dunque, qui non si intende discutere della sua colpevolezza o della sua innocenza. Piuttosto, si solleva un dubbio sulla congruità e adeguatezza della sanzione inflitta, ed è un ragionamento che non interessa solo i cittadini francesi. In Italia i detenuti di settant’anni e oltre sono attualmente 1293, reclusi per le più diverse tipologie di reato.
Per quanti di loro, considerando la fattispecie penale di cui ciascuno deve rispondere, la reclusione in cella costituisce la pena più giusta ed efficace? Rispetto a Sarkozy, la sanzione morale rappresentata di per sé dalla condanna e la condizione di inoffensività nella quale ormai si trova non rendono superflua, forse, quella pena aggiuntiva che è lo stato di cattività dietro le sbarre?

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