mercoledì 31 gennaio 2018

L'innocenza del marziano Galli






Ma dove è vissuto il nobile professore in questi anni? Che cosa ha fatto per spezzare il circolo vizioso che denuncia? Con quanta disinvoltura sputa nel piatto! Una cattiva società produce una cattiva politica, certo. Aggiungiamo che una cattiva politica può produrre la lamentazione apocalittica. Che da noi ha vari promotori: Marco Travaglio, Andrea Scanzi e ora di nuovo l'altolocato paladino Ernesto Galli della Loggia. 

Ernesto Galli della Loggia, La politica e le colpe di un paese, Corriere della Sera, 30 gennaio 2018


... È lungo l’elenco delle nostre colpe sulle quali preferiamo sorvolare. Giusto per dare un’idea e senza nessun ordine: siamo una società che non va abbastanza a scuola perché ha tassi altissimi di abbandono scolastico, e che a scuola consegue in genere pessimi risultati; che ha pochi studenti universitari; che non ha dimestichezza con le biblioteche, con i concerti, con le sale cinematografiche; che non legge né libri né giornali. In compenso guardiamo smisuratamente la tv, stiamo sempre con in mano uno smartphone, ci abboffiamo di selfie, di facebook e chattiamo freneticamente, immersi ad ogni istante in un oceano di chiacchiere e di immagini che alimentano un incontenibile narcisismo di massa. Non meraviglia che nel campo tecnico-scientifico, pur vantando alcune eccellenze, però non riusciamo più a produrre idee come un tempo se è vero che il numero delle domande di brevetti è in Italia la metà della media europea. La nostra vita pubblico-amministrativa è poi segnata da una corruzione vastissima e capillare. Ogni opera pubblica in Italia costa molto più che altrove, un appalto su tre è truccato, le pensioni d’invalidità false non si contano. Egualmente generale e incontenibile è il disprezzo per la legalità fiscale e per ogni altra forma di legalità: appena l’1 per cento dei contribuenti denuncia un reddito superiore ai 100 mila euro; quasi il 30 per cento di tutta l’Iva evasa in Europa è evasa in Italia; per certi tipi di merci e servizi i pagamenti in nero, senza ricevuta fiscale e in denaro contante per non lasciare traccia sono la regola; in buona parte dell’Italia meridionale le polizze automobilistiche arrivano ad avere un costo più alto fino al doppio rispetto alle regioni del centro-nord in ragione delle truffe di massa organizzate contro le società d’assicurazione.
Ma perché mai un Paese così – e le cose stanno proprio così o forse anche peggio, visto che l’elenco di cui sopra è certamente parziale – perché mai un Paese così, mi chiedo, dovrebbe avere una classe politica diversa da quella che ha, dei candidati al Parlamento diversi da quelli che gli sono stati appena somministrati dai partiti? Non è assurdo pretendere di avere governanti di un livello «normale», cioè più o meno analogo a quello di altre realtà con cui ci piace confrontarci, mentre noi, mentre il Paese, è viceversa così visibilmente «anomalo» rispetto alle suddette realtà? Rassegniamoci alla verità: sono una sparuta minoranza (e i politici lo sanno!) gli italiani che vogliono veramente un Paese diverso: dove veramente significa essendo disposti a pagare il prezzo necessario ad averlo. A tutti gli altri, invece, va più o meno bene il Paese che c’è: naturalmente riservandosi il diritto di imprecare ad ogni momento che «in Italia è tutto uno schifo».
Ma dove è vissuto il nobile professore in questi anni? Che cosa ha fatto per spezzare il circolo vizioso che denuncia? Con quanta sicumera sputa nel piatto! Una cattiva società produce una cattiva politica, certo. Aggiungiamo che una cattiva politica può produrre la lamentazione apocalittica. Che da noi ha vari promotori: Marco Travaglio, Andrea Scanzi e ora Ernesto Galli della Loggia. 

Ernesto Galli della Loggia, La politica e le colpe di un paese, Corriere della Sera, 30 gennaio 2018


... È lungo l’elenco delle nostre colpe sulle quali preferiamo sorvolare. Giusto per dare un’idea e senza nessun ordine: siamo una società che non va abbastanza a scuola perché ha tassi altissimi di abbandono scolastico, e che a scuola consegue in genere pessimi risultati; che ha pochi studenti universitari; che non ha dimestichezza con le biblioteche, con i concerti, con le sale cinematografiche; che non legge né libri né giornali. In compenso guardiamo smisuratamente la tv, stiamo sempre con in mano uno smartphone, ci abboffiamo di selfie, di facebook e chattiamo freneticamente, immersi ad ogni istante in un oceano di chiacchiere e di immagini che alimentano un incontenibile narcisismo di massa. Non meraviglia che nel campo tecnico-scientifico, pur vantando alcune eccellenze, però non riusciamo più a produrre idee come un tempo se è vero che il numero delle domande di brevetti è in Italia la metà della media europea. La nostra vita pubblico-amministrativa è poi segnata da una corruzione vastissima e capillare. Ogni opera pubblica in Italia costa molto più che altrove, un appalto su tre è truccato, le pensioni d’invalidità false non si contano. Egualmente generale e incontenibile è il disprezzo per la legalità fiscale e per ogni altra forma di legalità: appena l’1 per cento dei contribuenti denuncia un reddito superiore ai 100 mila euro; quasi il 30 per cento di tutta l’Iva evasa in Europa è evasa in Italia; per certi tipi di merci e servizi i pagamenti in nero, senza ricevuta fiscale e in denaro contante per non lasciare traccia sono la regola; in buona parte dell’Italia meridionale le polizze automobilistiche arrivano ad avere un costo più alto fino al doppio rispetto alle regioni del centro-nord in ragione delle truffe di massa organizzate contro le società d’assicurazione.
Ma perché mai un Paese così – e le cose stanno proprio così o forse anche peggio, visto che l’elenco di cui sopra è certamente parziale – perché mai un Paese così, mi chiedo, dovrebbe avere una classe politica diversa da quella che ha, dei candidati al Parlamento diversi da quelli che gli sono stati appena somministrati dai partiti? Non è assurdo pretendere di avere governanti di un livello «normale», cioè più o meno analogo a quello di altre realtà con cui ci piace confrontarci, mentre noi, mentre il Paese, è viceversa così visibilmente «anomalo» rispetto alle suddette realtà? Rassegniamoci alla verità: sono una sparuta minoranza (e i politici lo sanno!) gli italiani che vogliono veramente un Paese diverso: dove veramente significa essendo disposti a pagare il prezzo necessario ad averlo. A tutti gli altri, invece, va più o meno bene il Paese che c’è: naturalmente riservandosi il diritto di imprecare ad ogni momento che «in Italia è tutto uno schifo».

venerdì 26 gennaio 2018

Vincitori senza futuro

La Grande Armée attraversa il Niemen

Qualcosa del genere è già avvenuto nella storia. Alla vigilia di uno scontro sembra esserci a volte un vincitore atteso, se non che il corso degli eventi muta inaspettatamente. In Italia nel 1994, per esempio, sembrava che la gioiosa macchina da guerra capeggiata dagli ex-comunisti fosse destinata a vincere le elezioni. Poi ci fu la novità di Berlusconi con Forza Italia e il quadro non fu più lo stesso. 
In Europa, nel 1812, pure sembrava esserci in un primo tempo un vincitore obbligato. Il 24 giugno di quell'anno, la Grande Armée, forte di 600mila uomini, attraversò il Niemen per addentrarsi nel territorio russo. Fino ad allora, Napoleone aveva sempre vinto negli scontri campali. Era come se non ci fosse stata scelta. La partita era già chiusa, secondo molti. Bastava che il vincitore designato facesse normalmente la sua parte. E il vincitore designato un po' ci credeva, andava in giro a distribuire sorrisi, riceveva omaggi inaspettati dai suoi sostenitori del momento. Poi arrivò la sorpresa. L'abilità di sempre nella manovra non funzionava e l'esito sperato non si produsse. 
Nella campagna per le elezioni del 4 marzo i pentastellati partivano favoriti. C'è poi stata una prima sorpresa, la ricomposizione della destra. La sorpresa più grande è venuta ancora dopo. In un primo tempo sembrava che le promesse fossero uno strumento utile per attrarre nuovi elettori. Attaccare i politici, promettere l'impossibile: la ricetta era facile, troppo facile. Non solo i pentastellati, anche i loro concorrenti abbondarono in concessioni future a carico del bilancio statale, senza calcolare le ricadute in termini fiscali. Il gioco era sporco e l'opinione pubblica non tardò a avvertire la presa in giro più o meno nascosta. La campagna elettorale si stava traducendo in una occasione per delegittimare ancora più gravemente che in passato l'intera classe politica, grillini compresi:
"Più di un sondaggio ha rilevato che solo il 25% degli italiani intervistati ritiene credibile che la mole di impegni e di annunci che sta caratterizzando questa campagna elettorale possa essere realizzata. Tre cittadini su quattro, al contrario, pensano che le tante promesse elencate non verranno mai mantenute. E da tale valutazione discende, naturalmente, un giudizio assai critico sul modo di agire e sul senso di responsabilità dei partiti in competizione" (Federico Geremicca).
C'è stata addirittura una denuncia dei vescovi che hanno definito immorale la pratica delle promesse a vuoto. Non che ci fosse bisogno di questo allarme per capire. I vescovi si sono uniti al coro dei cittadini indignati e hanno certificato l'errore commesso dai millantatori. 
Adesso, come nel gioco dell'oca, si torna alla casella di partenza. La partita rimane aperta, la percentuale degli astenuti prevedibili resta alta. Forse non suonerà proprio adesso l'ora della politica. Altre follie potranno scatenarsi prima che si arrivi alla fase del ragionamento pacato. Quando saranno resi noti i risultati, si scoprirà quello che gli osservatori più lucidi sanno già. Le elezioni non avranno un vincitore netto e l'incarico di formare il governo dovrebbe andare a una figura di mediatore. E nella misura del possibile sarà prescelto qualcuno che garantisca il mantenimento del legame europeo. Berlusconi lo sa e si sta attrezzando di conseguenza. Sembra poco probabile che il gioco finisca nelle mani dei pentastellati e della Lega. E se questo dovesse accadere, l'esperimento avrebbe una breve durata. Trump, certo, dimostra il contrario. Nel suo caso l'estremismo al potere dura. Non vuol dire. Gli Stati Uniti sono un continente, l'Italia potrebbe avere una politica estera più coraggiosa, non può certo permettersi una cavalcata solitaria con la zavorra di un debito pubblico reso più ampio dagli esercizi di finanza allegra. Esistono spazi di manovra. Chi dovesse tentare una inversione a U, finirebbe fuori strada in un tempo assai breve.
   



Oblomov







Ivàn Gonciàrov, Oblomov, traduzione di Laura Simoni Malavasi, Rizzoli, Milano 1966, incipit


In via Goròchovaja, in uno di quei grandi edifici, i cui inquilini sarebbero bastati essi soli a popolare tutta una cittadina distrettuale, nel suo appartamento, Ilià Ilic' Oblomov stava passando la mattinata a letto.
Era questi un uomo di circa trentadue anni, di media statura, di aspetto piacente, con occhi di un grigio scuro, ma sui tratti del suo volto non v'era segno di un'idea ben definita, né di una qualunque forma di concentrazione mentale. Il pensiero gli passava sul volto come un libero uccello nell'aria, svolazzava negli occhi, si posava sulle labbra socchiuse, si nascondeva tra le rughe della fronte, per sparire poi completamente, e allora su quel volto splendeva soltanto la tranquilla luce dell'indolenza. Dal volto, l'indolenza si comunicava all'atteggiamento di tutta la persona e perfino alle pieghe della vestaglia.
Di tanto in tanto, lo sguardo gli si offuscava in un'espressione come di stanchezza o di noia, ma né la stanchezza né la noia potevano cancellare, non fosse che per un attimo, la dolcezza che era l'espressione abituale e dominante, non soltanto del volto, ma di tutta l'anima; e l'anima splendeva limpida e aperta negli occhi, nel sorriso ein ogni moto del capo e delle mani.




venerdì 19 gennaio 2018

Repubblica contro Repubblica



Questa disputa è un segno del disfacimento che ha colpito le classi dirigenti italiane. L'antico insegue l'antico. Scalfari si aggrappa a Berlusconi. De Benedetti attacca Scalfari e Repubblica. Nessuno si fa avanti, nessuno indica una vera via d'uscita. Tutti cercano un rifugio in qualche pezzo più o meno squalificato della tradizione. "Il coraggio, se uno non ce l'ha, non se lo può dare". Certo. Cosa vale il coraggio, poi, senza una visione? Di eroi disperati non abbiamo bisogno.

Quando Lilly Gruber chiede a Carlo De Benedetti, ospite di Otto e mezzo, se sia interessato a fondare un nuovo giornale, la risposta è perentoria: "Mai. Nella vita io sono un monogamo, in questo senso, la mia unica moglie è Repubblica". Oggi tuttavia i suoi rapporti con il quotidiano, ha spiegato l'Ingegnere, sono "assenti" ed "è per questo che soffro", ha aggiunto. Ma come si è arrivati a questo punto? Un veloce ripasso dello scontro tra il presidente onorario del Gruppo Gedi e Eugenio Scalfari e il direttore di Repubblica Mario Calabresi.

23 GIUGNO 2017

Carlo De Benedetti si dimette da presidente e consigliere del cda di Gedi Gruppo Editoriale Spa. Al suo posto diventa presidente il figlio Marco.


24 NOVEMBRE 2017

Ospite a diMartedì Eugenio Scalfari dichiara: “Tra Di Maio e Berlusconi sceglierei Berlusconi

3 DICEMBRE 2017

In un’intervista al Corriere della Sera, Carlo De Benedetti critica Scalfari: “Tra Di Maio e Berlusconi mi asterrei. Scalfari farebbe meglio a preservare il suo passato. Penso l’abbia fatto per vanità, per riconquistare la scena. Ma è stato un pugno nello stomaco per gran parte dei lettori di Repubblica, me compreso”.

 
10 GENNAIO 2018

Ospite di Bianca Berlinguer a Cartabianca, Eugenio Scalfari replica alle critiche di De Benedetti: “È stato molto critico con me. Da allora io non più rapporti con lui. Se mi dispiace di come siano andate le cose? Chi supera il decennio della morte e arriva al decennio dei 90, se ne fotte”.

13 GENNAIO 2018

Esplode il caso della telefonata tra l’allora premier Matteo Renzi e Carlo De Benedetti sulla riforma delle banche popolari. In prima pagina di Repubblica viene pubblicato un editoriale, non firmato, dal titolo “Indipendenza e libertà al servizio dei lettori”. “Nessun interesse improprio - si legge - ha mai guidato le scelte giornalistiche di Repubblica e nessun conflitto di interessi ne ha mai influenzato le valutazioni. Le posizioni che il giornale ha preso in questi anni sono il frutto della libera scelta dei giornalisti, nella linea tracciata da Eugenio Scalfari e poi proseguita da Ezio Mauro. I rapporti, i giudizi, le iniziative di Carlo De Benedetti sono fatti personali dell’Ingegnere”.

17 GENNAIO 2018

Ospite di Otto e mezzo, Carlo De Benedetti torna ad attaccare Scalfari: “Non voglio più commentare un signore molto anziano che non è più in grado di sostenere domande e risposte. Con me deve stare zitto, gli ho dato un pacco di miliardi, è un ingrato”. E quando Lilly Gruber gli chiede di dare un consiglio al direttore di Repubblica Mario Calabresi aggiunge: “Don Abbondio diceva che il coraggio uno non se lo può dare. Se non ce l’ha non se lo può dare”.

17 GENNAIO 2018

Il Cdr di Repubblica risponde con un comunicato: “Non è la prima volta che Carlo De Benedetti, da quando ha lasciato gli incarichi operativi all’interno dl Gruppo Espresso, si unisce al coro di chi con cadenza quasi quotidiana attacca questo giornale e ciò che rappresenta. Vogliamo tranquillizzarlo: l’identità e il coraggio che Repubblica dimostra nell’informare i propri lettori e nel portare avanti le proprie battaglie sono vivi e sono testimoniati innanzitutto dal lavoro dei giornalisti che ogni giorno difendono e dimostrano la propria indipendenza senza bisogno che qualcuno gliela conceda”.

 https://www.ilfoglio.it/politica/2018/01/18/video/de-benedetti-scalfari-repubblica-scontro-storia-173775/

sabato 13 gennaio 2018

D'Annunzio, Notturno (1916)


Ho gli occhi bendati.
... E tremo davanti a questa prima linea che sto per tracciare nelle tenebre.
O arte, arte inseguita con tanta passione e intraveduta con tanto desiderio !
Disperato amore della parola incisa per i secoli!
Mistica ebrietà che talvolta della mia stessa carne e del mio sangue stesso faceva il verbo !
Fuoco dell′ispirazione che improvviso fondeva l′antico e il nuovo in una lega incognita!
... Nella rapidità guerriera il sangue inesausto si sparpaglia come grano ventilato.
Ogni fiotto si divide in miriadi, come la polvere della cascata scrosciante ove si crea l'arcobaleno. Non cola ma vola,non cade ma s'alza.
 ... Il pensiero sembra correre sopra un ponte che dietro di lui precipiti. L'arco poggiato alla riva è distrutto, sùbito crolla l'arco mediano. L'ansia raggiunge la riva opposta con uno sgomento di scampo, mentre il terzo arco cede e sparisce.
... Come il rapimento di una melodia che sorge improvvisa da un'orchestra profonda; come la rivelazione d'un verso che sveglia il suono segreto dell'anima; come ilmessaggio delvento che è la rapidità dell'infinito in cammino; con uno spirito senza riva, con un corpo senza forma, con un gaudio che sembra terrore, io sento l'idealità del mondo.
... Usciamo. Mastichiamo la nebbia.
La città è piena di fantasmi.
Gli uomini camminano senza rumore, fasciati di caligine.
I canali fumigano.
Dei ponti non si vede se non l′orlo di pietra bianca per ciascun gradino.
Qualche canto d′ubriaco, qualche vocìo, qualche schiamazzo.
I fanali azzurri nella fumea.
Il grido delle vedette aeree arrochito dalla nebbia.
Una città di sogno, una città d′oltre mondo, una città bagnata dal Lete o dall′Averno.
I fantasmi passano, sfiorano, si dileguano.
... Il sole vermiglio a fior d′acqua. Il cielo puro. Il sole giovine e forte, il sole che balza, che aspira al meriggio.
... C′è la zàgara. E il nome arabico che dà al fiore d′arancio la Sicilia saracena. L′appresi, adolescente, su la mia riva, dal mozzo d′una goletta. Tanto mi piace che, se nomino il nome, sento il profumo.
C′è la zàgara di serra: un gruppo di foglie che al tocco risuonano, e nel mezzo i bocciuoli duri. A uno a uno li sento. Qualcuno è chiuso, qualcuno è fenduto, qualcuno è mezzo aperto. Qualcuno è delicato e sensitivo come un capezzolo che teme la carezza. L′odore è candido, acerbo, infantile. Ma bisogna cercarlo con le narici in mezzo alle foglie diacce e stillanti che m′inumidiscono il mento e mi entrano in bocca.

venerdì 12 gennaio 2018

Golconda

René Magritte, Golconda (1953)


In quest’opera Magritte moltiplica a “stampo” il curioso personaggio presente in molte altre sue opere, caratterizzato dal vestito e dalla bombetta neri. Il paesaggio, composto da case e tetti tipicamente belga e da un cielo opaco e senza nubi, è ancora una volta caratterizzato da un realismo elementare.
Su questo sfondo i personaggi, completamente identici fra loro se non per la direzione degli sguardi e per la loro lontananza e quindi grandezza, sembrano piovere dal cielo come candidi fiocchi di neve.
Non vi è dubbio alcuno circa la magia e la dolcezza poetica, quasi sognante dell’immagine.
Un’immagine che ci lascia perplessi e disorientati: “Com’è possibile e come si spiega questa pioggia umana?”. O forse si tratta di un volo, di un elevazione? Gli ometti neri stanno lentamente risalendo verso il cielo oppure stanno candidamente fioccando dallo stesso? Questo è uno dei tanti misteri racchiusi nel dipinto analizzato che probabilmente nessuno riuscirà mai a chiarire. In ogni caso, quello che si può dire è che vi è una frantumazione di ogni regola fisica e matematica che ci lascia quasi in imbarazzo, dato che rompe ogni nostra certezza riguardo alla consistenza e al peso dei corpi.

Luca Prat e Daniele Lecci

http://www.liceolocarno.ch/Liceo_di_Locarno/materie/storia_arte/magritte/opere/golcondaANALISI.html

 Il nome Golconda probabilmente si riferisce all’omonima città indiana, dove hanno avuto sede due regni molto ricchi che hanno esercitato il loro potere dal quattordicesimo al diciassettesimo secolo.