Flavia Perina
Il Pd movimentista destinato a perdere
La Stampa, 8 ottobre 2025
A Francesca Albanese il Pd sta concedendo l’inimmaginabile: non solo il diritto a imbizzarrirsi per la citazione del nome di Liliana Segre, ma il privilegio di mortificare il sindaco di Reggio Emilia, la medaglia della cittadinanza onoraria di Bologna, il palcoscenico di Genova nella fatale ricorrenza del 7 ottobre, il ruolo di opinion maker prevalente nel dibattito sulla crisi in Palestina.
La sensazione è che non si guardi più a lei come a una persona, a una voce titolare di un’opinione forte e magari di molte simpatie, ma come a un Fattore Politico con le maiuscole, il Fattore che conquisterà alla sinistra parlamentare il movimentismo filo-palestinese e le masse che si muovono sull’onda delle emozioni per Gaza.
Sappiamo tutti che in politica deve avere un suo spazio la pesca delle occasioni. È successo a destra durante il Covid, quando un mondo votato al “legge e ordine” cavalcò l’onda No Vax inneggiando alla disobbedienza civile con uno spregiudicato cambio di prospettiva. Ma questo tipo di cinismo risulta perdonabile solo se porta risultati: nessuna delle svolte movimentiste della sinistra finora ha ottenuto effetti in questo senso.
Non ha funzionato il Fattore Greta Thumberg, non ha funzionato il Fattore Mimmo Lucano, non ha funzionato il Fattore Soumahoro, le tre figure-simbolo della mobilitazione progressista per l’ambiente, l’integrazione, l’apertura indiscriminata agli immigrati, adottate in virtù del loro assoluto estremismo e dell’indisponibilità ai compromessi.
Il Fattore Palestina, Gaza, Albanese per ora ha avuto le stesse conseguenze - inesistenti - sul consenso e, al di là dell’ovvio diritto della relatrice Onu di difendere le sue idee, viene da chiedersi: perché questa mancanza di misura nell’inchino?
Due i dubbi. Il primo è che il Pd, partito governista fin dall’epoca della Prima Repubblica, abbia problemi con il ruolo dell’opposizione e con la faticosa costanza che richiede. Elly Schlein aveva ben descritto gli obbiettivi nel suo discorso di insediamento al Nazareno - la difesa dell’Italia che fa più fatica, dei precari, dei lavoratori sfruttati «per alzare i salari e le loro tutele» – ma poi a quel racconto non è riuscita a dare una sostanza e il vuoto è stato riempito dal riflesso movimentista.
Il secondo è che abbia agito di nuovo l’abbagliante mito della spallata, dannazione di ogni generazione politica, e cioè l’idea che si possa tirare giù un governo con le piazze, la protesta, l’indignazione delle genti, e che dunque ogni fermento che mobilita grandi folle vada inseguito e se possibile cavalcato.
E così assistiamo a paradossi estremi, che fanno perdere ogni bussola politica. La sinistra solo sei anni fa, nel 2019, avanzò sospetti neri (razzisti, fascisti, eccetera) sulla scelta del centrodestra di astenersi sulla Commissione contro l’antisemitismo proposta da Liliana Segre. Oggi, davanti alla destra che cita a modello la medesima Segre, si alza e se ne va (metaforicamente) al seguito di Francesca Albanese, forse senza neanche accorgersi della rilevanza dello strappo

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