giovedì 23 ottobre 2025

La grande illusione di Trump

Mario Del Pero
Il sovranismo mondiale degli Usa. La grande illusione di Trump

Domani, 23 ottobre 2025

Donald Trump ha una visione di politica estera? Una grand strategy che ne riassume categorie, logiche, obiettivi e mezzi? Quali sono i suoi tratti e quali le sue contraddizioni e limiti, per come peraltro questi ultimi si stanno manifestando in tanti teatri dell’azione internazionale degli Usa, a partire ovviamente da quello ucraino? Alla prime due domande non si può che rispondere affermativamente. Quelle di Trump sono una visione e una strategia basiche, finanche rozze, ma chiaramente delineate. Sono ispirate da alcuni presupposti essenziali, su tutti che gli Usa dispongono ancor oggi di leve – a partire dal loro mercato e dalle loro armi – che li permettono di piegare gran parte degli altri attori alle loro volontà, come ben abbiamo visto nei negoziati con l’Europa sui dazi.

E si basano sul presupposto che non esistano, né debbano esistere, alleanze naturali e permanenti o comunità di valori e di princìpi, ma solo relazioni transazionali: fondate su uno scambio che, vista la loro superiorità, con gli Usa non può che essere asimmetrico, ponendo l’interlocutore di turno in una condizione di strutturale subalternità a Washington.

In tale contesto, la declinazione dell’interesse nazionale – che è, a volte lo si dimentica, storicamente e politicamente determinato – è espressione della rozzezza dell’analisi e rappresentativa di una visione a somma zero degli equilibri internazionali, nella quale al successo di una parte corrisponderebbe automaticamente la proporzionale sconfitta di un'altra.

Gli obiettivi diventano così abbastanza semplici da definire. Si intende agire liberi dalle costrizioni dell’interdipendenza, per come queste sono istituzionalizzate dal diritto internazionale e da un sistema di governance globale ormai delegittimato e in patente crisi in tutte le sue principali istituzioni, a partire da Onu e Wto. Si celebra il recupero di sovranità che ne conseguirebbe. Si definisce l’interesse nazionale con parametri molti materiali e tangibili, al punto che Trump è il primo presidente da quasi due secoli a questa parte a indicare esplicitamente l’espansione territoriale come obiettivo. Si difendono con aggressività (e platealità) inusuali gli interessi di alcuni grandi gruppi economici, come si è visto sul caso dei giganti digitali statunitensi operanti in Europa. E vi si aggiunge – elemento di evidente novità – una dimensione patrimonialista e familistica nella quale l’arricchimento personale e della propria famiglia finisce per costituire cruciale variabile aggiuntiva. 

Sono obiettivi in parte realizzabili, questi, ché la superiorità di potenza degli Usa non è affatto venuta meno. Ma sono anche obiettivi che finiscono per alimentare inevitabili cortocircuiti.

Tre grandi illusioni, in particolare, meritano di essere menzionate. La prima riguarda l’ambizione di emanciparsi dall’interdipendenza, recuperando sovranità e piena autonomia di azione. Non vi è oggi al mondo, nazione più “sovrana” degli Stati Uniti, che dal dollaro alla forza militare all’autosufficienza energetica continua a godere di impareggiabili privilegi egemonici. I quali però non bastano per scardinare catene di valore transnazionali dentro cui stanno beni intermedi e finiti che giungeranno poi in America (a dispetto di tutto, il 2025 terminerà con il più alto deficit commerciale di sempre per gli Usa). O a ottenere forme di invulnerabilità assoluta, non più immaginabili nell’era atomica.

La seconda illusione è quella di azzerare la agency – l’autonomo agire – di altri attori. Che nei primitivi schemi trumpiani sarebbero sempre piegabili o comprabili. Ma che, come abbiamo in fondo visto sia in Ucraina sia in Medio Oriente, possono essere mossi da ragioni altre che non sia il loro tornaconto immediato per come questo viene definito a Washington.

La terza e ultima illusione è proprio quella della pretesa natura transazionale e a-ideologica della propria politica estera. Dalle pressioni commerciali sul Brasile per cercare di proteggere Bolsonaro alla massiccia linea di credito attivata per salvare Milei all’alleato speciale Orban che in Ungheria dà in realtà carta bianca agli investimenti cinesi, i casi in cui l’ideologia prevale sugli interessi sono davvero tanti e ci obbligano a ripensare la lettura del Trump semplice, ma concreto e iperrealista, che tanto piace ad alcuni commentatori.

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