Andrea Malaguti
Contro l'odio abituiamoci all'ascolto radicale
La Stampa, 12 ottobre 2025
«La verità non è il privilegio di nessuno e nasce solo dall’aperto contrasto delle opinioni avverse»
Oggetto: la pace a Gaza e l’agonia della verità. Viviamo una guerra civile dell’anima. Forse è la rottura del tempo evocata da Stefan Zweig o forse siamo schiavi di quell’era dei Predatori così ben raccontata nell’ultimo libro di Giuliano da Empoli. Difficile trovare un nesso tra le facoltà intellettuali e la capacità politica di chi decide le sorti del mondo e, più modestamente, delle nostre. Il tentativo di cessate il fuoco nella Striscia, e la gestione cinicamente aziendalistica prevista da arabi, israeliani e americani per una delle zone più martoriate della Terra, è solo il clamoroso esempio dell’ennesima rivoluzione della Storia.
Il ragionamento non serve più. Tanto meno la visione e la strategia. Si procede in una dinamica di situazionismo bruto, in cui ogni accordo può essere smentito e smontato il giorno successivo, semplicemente sulla base dell’ultimo istinto e dell’ultimo interesse di Trump, di Netanyahu, di Putin o di Xi Jinping.
Sconfitta dal ruggito dei nuovi Imperatori, la politica non cambia più il nostro futuro. Oggi applaudiamo la vincente follia trumpiana come applaudiremmo un gladiatore al Colosseo che ha abbattuto un leone. Incrociamo le dita perché si arresti davvero la carneficina, speriamo che i gazawi riscoprano la loro dignità calpestata e che non si ricominci con le minacce a Pechino e con l’ordalia commerciale, premessa spaventosa di una definitiva crisi globale.
Le scelte americane in Medio Oriente sono strategiche? Difficile dirlo, di sicuro hanno un sapore più affaristico che diplomatico.
In un pianeta in cui il diritto ha lasciato il posto alla forza, tutto si riduce ad una serie di atti improvvisati e slegati, che non sono anelli di una catena coerente, ma bastoncini dello shanghai del potere lanciati a caso nell’aria contaminata. Inutile fare previsioni, inutile fare prediche e profezie. È il tempo del caos e della violenza virtuosa, ossimoro simbolo di un’era infelice.
L’unica pretesa che davvero dovremmo avere - per rispetto di noi stessi, della nostra integrità psichica e morale - è la ricerca della verità, così come teorizzata da Luigi Einaudi. «La verità non è il privilegio di nessuno e nasce solo dall’aperto contrasto delle opinioni avverse». La diversità di opinioni è, con tutta evidenza, l’unica merce che non ci manca e sulla quale dovremmo riflettere. Ma questa settimana, avremo finalmente accesso ad una serie di risposte che sarebbe bello gestire con onestà intellettuale.
Se Hamas cederà le armi, gli ostaggi torneranno a casa e gli aiuti umanitari potranno finalmente entrare a Gaza, potremo cominciare a ragionare su quello che ci siamo detti, senza capirci, negli ultimi due anni feroci.
I morti erano solo propaganda di Hamas? La fame un’invenzione? Le decisioni di Netanyahu erano inevitabili o solo il tentativo di proteggere sé stesso dai tribunali di Tel Aviv? L’irricevibile antisemitismo di ritorno era solo la risposta alla violenza quotidiana o il frutto avvelenato di un conflitto che ha risvegliato gli istinti barbari degli estremisti planetari?
Gaza città aperta, abbiamo titolato ieri mattina. È il momento di confrontarsi con l’abisso. Per la prima volta lo possiamo fare davvero. Avremo la forza di reggere lo sguardo sul disvelamento della verità?
Risposte che dovremmo darci anche in Italia, dove la destra ha attaccato indiscriminatamente piazze di milioni di persone e la sinistra le ha pateticamente inseguite, scivolando con le sue frange più incattivite in una propaganda cretina e suicida.
Stabilito che senza la marea umana scesa in strada in mezzo mondo forse oggi non assisteremmo al ritiro dell’Idf da metà della Striscia, una prima domanda alla nostra premier è obbligatorio farla: adesso che l’accordo della Casa Bianca ha esaudito le precondizioni da lei invocate, ce l’ha la forza di riconoscere un nuovo Stato palestinese? Possiamo sapere la verità?
Domani Giorgia Meloni sarà in Egitto per l’ambitissima foto-opportunity della pacificazione. Complicato riconoscerle un ruolo in ciò che è accaduto – se non la capacità di restare sul potente carro israelo-americano della vittoria – ma l’occasione le consegna la possibilità di essere finalmente generosa. Di mettere da parte l’acredine da campagna elettorale permanente, indossando i panni della guida di tutti. Se non fosse l’istinto a suggerirglielo dovrebbe essere perlomeno il calcolo. Le manifestazioni hanno testimoniato il bisogno della società civile di riprendersi il diritto di parola, dopo che l’opinione pubblica, anestetizzata, era diventata non più soggetto, ma solo “oggetto” monitorato dai sondaggi. Oggi non è più così e sarebbe pericoloso sottovalutarlo. Un Paese lo governi solo se ne senti il battito del cuore e lo analizzi. Non puoi comportarti come un ortopedico che si limita ad aggiustare le ossa rotte. L’anestesia emotiva si è conclusa ad un passo dall’abisso, cancellata dalla sempre sorprendente aritmetica della compassione. Se questo non cambia le carte in tavola, che cosa può cambiarle?
Negli Stati Uniti il mondo Maga (Make America Great Again) ha avvisato con chiarezza Trump dopo il bombardamento israeliano in Qatar. L’America bianca, suprematista e nazistella non è più disposta a sopportare il machismo omicida di Netanyahu. La Casa Bianca ne ha tenuto conto per non vedere franare la sua base elettorale.
In Italia le cose sono diverse. Giorgia Meloni è il brand di sé stessa. La sua presenza in ogni campagna elettorale, dalle Marche alla Calabria, è lì a testimoniarlo. Il centrodestra è lei, come prima di lei era stato Silvio Berlusconi. Ecco perché non cederà ad un comportamento ecumenico. Ecco perché sarebbe bellissimo se lo facesse.
Pochi giorni fa, qui a Torino, c’è stato un incontro – magnifico – della Fondazione Einaudi, per parlare d’Europa con i ragazzi delle scuole superiori. Sul palco c’era anche il direttore del Museo Egizio, Christian Greco, forse uno dei cinque intellettuali più lucidi e raffinati di questo Paese. Il suo intervento andrebbe insegnato a scuola. Io mi limito a riprenderne un paio di passaggi per me centrali. Il primo: «Dobbiamo educarci all’ascolto radicale, la nostra non è l’unica ragione che esiste e questa politica polarizzante dovrebbe capirlo». Per spiegarlo ha citato la grande manifestazione di Amsterdam dove musulmani, ebrei e cristiani hanno marciato insieme per la Pace a Gaza. Una ragazza ebrea ha detto in tv: «Molti nella mia comunità non mi hanno capito, ma se non parliamo gli uni con gli altri è tutto finito».
Il secondo: «Dobbiamo ripartire dall’Europa, rinunciando a parte della nostra sovranità, e dalla lotta alla povertà scolastica. Gli antichi Egizi dicevano: ti farò amare i libri più di tua madre, perché passeranno anche le piramidi con le porte di bronzo, ma ciò che non passerà sono le parole di coloro che sanno».
Traduco banalizzando. Ci serve la forza di ragionare anche contro noi stessi, superando la nostra stessa propaganda. Dobbiamo dire No alla verità rivelata e Sì ai punti di vista. Accettare che sbagliamo, accettando che anche gli altri sbagliano. La libertà pretende la discussione tra tentativo ed errore.
E qui torna prepotente la necessità dell’ascolto radicale. Appena qualcun altro dice qualcosa che non ci piace lo interrompiamo. È il principio del conflitto eterno. Ed invece dovremmo avere scolpito nella testa il discorso che proprio Luigi Einaudi fece nel giorno del suo insediamento al Quirinale nel maggio del 1948. «Una delle mie più grandi gioie è quella di essere costretto dalle argomentazioni altrui ad ammettere di avere torto»

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