martedì 28 ottobre 2025

Sorprese argentine

Federico Rampini
Sorprese argentine

Corriere della Sera, 28 ottobre 2025

Bisogna risalire ai tempi di Juan Perón e di Evita per ritrovare l’Argentina al centro dell’attenzione mondiale. Stavolta lo si deve non solo a quel personaggio spettacolare che è Javier Milei, ma ai suoi sponsor americani: Donald Trump, Elon Musk. L’inattesa vittoria elettorale di Milei viene vista come un successo del trumpismo in quell’America latina che è il «cortile di casa» di Washington da due secoli. Ma gli elettori argentini non sono andati alle urne per questo. Hanno ben altri problemi: un’economia sempre sull’orlo della bancarotta, con alta inflazione e livelli di povertà spaventosi.

L’avverbio «sempre» è decisivo, per spiegare il risultato elettorale. Che è stato una sorpresa solo perché, a quanto pare, i sondaggi ormai sbagliano sistematicamente quando gli umori dell’elettorato si discostano dall’ortodossia delle élite. «Sempre», significa che lo stato disastroso dell’economia argentina è l’eredità del peronismo, per lunghi periodi al potere a Buenos Aires e la cui impronta è stata dominante nelle politiche economiche. Il peronismo è stato un movimento politico che si potrebbe descrivere come un populismo autoritario e di sinistra. Aveva alle origini qualcosa del fascismo italiano, con una forte connotazione sociale: strapotere dei sindacati, spesa pubblica dilatata per erogare assistenzialismo, clientelismo, corruzione. La banca centrale era un Bancomat, stampava moneta per finanziare le elargizioni dei politici. Risultato: iperinflazione, svalutazioni, fughe di capitali, bancarotte sovrane, salvataggi del Fondo monetario internazionale.

Eredità fallimentare

Da questa eredità fallimentare l’Argentina non poteva liberarsi nel breve arco di tempo in cui Milei è stato presidente: neppure due anni. Tanto più che la sua vittoria nel 2023 alle presidenziali non si era accompagnata a una maggioranza parlamentare. Milei ha potuto solo cominciare ad applicare, in modo parziale e fra mille ostacoli, la sua ricetta liberista a base di tagli alla spesa pubblica assistenziale, riduzione della burocrazia e del clientelismo. Qualche risultato si è visto, l’inflazione è scesa dal 200% al 32%. La povertà resta drammatica ma lo era già prima: il peronismo non l’aveva debellata, anzi rovinando la base industriale del Paese ne era stato la causa.

Gli argentini hanno più che raddoppiato i voti per il partito di Milei non per omaggiare Trump o Musk. Hanno voluto dare al presidente i mezzi per governare. Hanno voluto dare all’esperimento liberista il tempo necessario, prima di giudicarlo. Hanno bocciato un ritorno al potere dei peronisti, perché il ricordo dei loro disastri è ancora troppo vivo.

La memoria storica degli elettori non si è appiattita sugli ultimi due anni, non ha cancellato gli 80 precedenti in cui lo statalismo ha trasformato in mendicante quello che era stato un Paese ricchissimo. Negli anni Trenta del secolo scorso l’argentina fu una delle nazioni più prospere del pianeta, tuttora la sua dotazione in ricchezze naturali è invidiabile.

Esperimento liberista

Milei ha attirato su di sé il dileggio internazionale per i suoi modi a dir poco pittoreschi. Ma dietro la provocazione della motosega con cui ha promesso di tagliare la spesa pubblica, molti argentini vedono la sostanza: l’assistenzialismo li ha rovinati, forse è il momento di provare l’economia di mercato, pur sapendo che la transizione è dolorosa. Milei si ispira più a Ronald Reagan, Margaret Thatcher, Milton Friedman, che non a Trump. In questo senso è più vicino alle idee di Musk che non al comportamento populista del presidente americano.

Dottrina Monroe

L’appoggio di Trump gli sarà utile. Gli Stati Uniti restano gli azionisti di maggioranza relativa del Fmi e grazie a loro continuerà il salvataggio in corso, un programma di prestiti dell’ordine di 44 miliardi di dollari. A questo si aggiungeranno aiuti Usa che potrebbero valere quasi altrettanto. Per Washington l’argentina è un alleato prezioso nella nuova sfida geopolitica in tutta l’America latina. Trump vorrebbe ridimensionare il ruolo della Russia e soprattutto della Cina che attraverso aiuti militari e varie organizzazioni — Brics o Nuove Vie della Seta — influenzano un arco di paesi che va da Cuba al Venezuela al Brasile. Non è una partita nuova, dai tempi di James Monroe (1823) a quelli di Theodore Roosevelt, fino a Kennedy, Nixon e Reagan, gli Stati Uniti hanno sempre avversato le influenze esterne nel loro emisfero. Con Trump cambiano stile, modi, linguaggi e regole d’ingaggio, ma la realtà sottostante è vecchia quanto lo status di superpotenza degli Stati Uniti.

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