Andrea Siravo
Il rimorso dell’ex compagno di Pamela Genini: “Era perseguitata da mesi, avrei potuto fare di più”
La Stampa, 16 ottobre 2025
Milano. Ha provato fino all’ultimo ad aiutare Pamela, l’ex fidanzata di cui era divenuto il confidente. A lui raccontava le violenze subite e sempre lui, Francesco D. , imprenditore di 40 anni, è stata l’ultima persona con cui ha parlato, in un’ultima, drammatica, telefonata d’aiuto.
Francesco, perché Pamela non aveva mai denunciato Soncin alle forze dell’ordine?
«Aveva chiamato più volte polizia e carabinieri, ma non è mai riuscita a formalizzare le accuse. Subito dopo le botte lui si scusava promettendo di non farlo più, ma poi passava alle minacce. Più volte le ha detto: “Se mi denunci ammazzo tua madre...”».
Quando Pamela si è accorta che Soncin era un violento?
«Fin dall’inizio della frequentazione: Soncin l’ha isolata dalla famiglia, dagli amici, dal lavoro. Le impediva di incontrare altre persone, controllava come si vestiva, ogni suo spostamento. Era ossessionato».
Perché Pamela non è riuscita a chiudere prima la relazione?
«Stava cercando in tutte le maniere di chiudere, poco alla volta. Sapeva a cosa stava andando incontro, ma temeva per i suoi familiari. Li ha tenuti all’oscuro per proteggerli. Solo ieri la mamma ha scoperto delle violenze. Pamela si faceva vedere sempre meno a casa: era per nascondere i lividi».
L’altro ieri finalmente era riuscita a mettere un punto. Era decisa?
«Si, stava preparando la fuga e io la stavo aiutando. L’idea era di allontanarsi da Milano. Le avevo detto che prima di bloccarlo doveva scappare, ma lei si era convinta di avercela fatta e mi diceva: “Ora sono libera”. Purtroppo non è stato così».
Ci racconta l’ultima telefonata?
«L’ho sentita gridare: “Aiuto, aiuto”. Ho subito chiamato la polizia e mi sono messo in macchina per raggiungerla. Non siamo riusciti a salvarla, nonostante gli agenti siano arrivati subito».
Ha qualche rammarico?
«Sento di non avere fatto abbastanza. Quello che ormai possiamo fare è combattere per dare giustizia a Pamela e per impedire che quanto toccato a lei possa succedere ancora».
Massimo Gramellini
Corriere della Sera
Nell’ennesima storia di femminicidio, emerge anche la figura di un maschio che non mi fa provare vergogna di appartenere alla categoria. L’ex fidanzato di lei.
È con quest’uomo di cui sappiamo solo le iniziali, F.D., che Pamela Genini si sta confidando al telefono, quando l’assassino irrompe nel suo appartamento milanese. Ed è sempre a lui che la vittima chiede aiuto, in un ultimo disperato messaggio. Non a un parente o a un’amica. Al suo ex, che vive a Bergamo e, dopo avere chiamato la polizia, salta in auto alle dieci di sera per precipitarsi a Milano con l’anima in tumulto.
Non è vero che, quando l’amore finisce, si trasforma sempre in indifferenza o in odio. A volte si trasforma in un’altra forma di amore. Non più emozione, ma sentimento. Potente e profondo, come solo i sentimenti autentici. La fine della loro storia non aveva peggiorato i due ex, che sulle ceneri dell’eros avevano edificato il legame più sincero che possa esistere tra un uomo e una donna: l’amicizia che ha sublimato la passione in condivisione.
Impossibile non mettere a confronto la reazione gelida del compagno assassino con il pianto a dirotto dell’ex, che non si perdona di non essere riuscito a salvarla. Proprio lui, che ci ha provato più di ogni altro. Lui che, parlando di Pamela, la paragona a una splendida pianta uccisa dall’edera che le è cresciuta intorno un poco alla volta, nell’incuria generale. Non saprei trovare una descrizione del femminicidio migliore di questa.

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