domenica 27 gennaio 2019

L'élite che non c'è



Si fa un gran parlare negli ultimi tempi dell'élite. Molti affrontano il tema senza nemmeno interrogarsi sul senso originario e proprio della parola stessa. Elite a loro sembra un equivalente di "classe dominante", in altre parole sta per "quelli che stanno in alto" e soprattutto per "casta formata dai detentori del potere". Naturalmente si può decidere che il nuovo significato della parola è questo.
Non sarebbe male tuttavia interrogarsi sulla reale presenza di una élite nel senso più antico della parola in Italia oggi o negli anni successivi alle elezioni del 2013. Ebbene, non ci vuole uno studio prolungato delle carte per giungere alla conclusione che già con Renzi e con Gentiloni l'élite era ridotta a essere il simulacro di se stessa. Per i padri fondatori della ricerca scientifica in materia, per Mosca e per Pareto, la classe politica non era formata da casuali detentori del potere. Per Pareto l'élite era una aristocrazia che includeva davvero i migliori elementi di una società. Per Mosca le minoranze governanti erano ordinariamente composte da individui che si distinguevano dalla massa dei governati per caratteristiche tali da conferire loro "una certa superiorità materiale ed intellettuale o anche morale".
Il rispetto per la qualità umana e la competenza dei dirigenti politici aveva subito un duro colpo al tempo del governo Monti e dopo di allora aveva raggiunto livelli ancora più bassi, se si esclude la prima fase del governo Renzi. L'intera vicenda comporta un andamento anche più semplice di quel che può sembrare in apparenza. La situazione dei disoccupati e dei precari esclusi dai benefici della globalizzazione era peggiorata e nulla, o ben poco, era stato fatto per rovesciare la tendenza. Una élite per essere tale deve essere formata da individui in grado di affrontare con successo le difficoltà del momento. Il partito democratico di Renzi inseguendo la vittoria nel referendum sulla riforma della Costituzione si era perso in una deriva autoreferenziale che lo avrebbe condannato a un fatale declino.
In questo modo si arriva al predominio dei 5 stelle e della Lega. La vecchia classe dirigente è stata sconfitta dalle circostanze più che dai suoi avversari politici. Alla fine sulla scena rimangono da una parte i perdenti delle battaglie contro il declassamento economico e sociale dell'Italia, dall'altra i promotori di una azione volta a risarcire le vittime della crisi. Tutte persone ordinarie, ormai. La nuova classe dominante dovrebbe consentire al popolo rimasto senza rappresentanza di occupare il centro della scena e di recuperare il terreno perduto. Che ci riesca o no, una cosa è certa: sulla scena al momento non c'è nessuna élite in grado di sciogliere i nodi strutturali che hanno bloccato lo sviluppo del paese. Ci sono tutt'al più una élite fallita e una élite inadeguata. Manca una élite nuova da promuovere. Sarà il futuro a designare concorrenti più seri alla corsa per la leadership, o per l'egemonia. Al potere per ora ci sono solo i becchini del vecchio sistema.



https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2018-07-19/la-notte-elite-e-l-alba-populista-214246.shtml?uuid=AEPooWOF
https://www.lastampa.it/2016/12/22/cultura/perch-la-politica-ha-bisogno-di-unlite-06rz46qfqSHpnPUbrKQBjJ/pagina.html
https://www.wittgenstein.it/2019/01/15/quando-parliamo-di-elite/

giovedì 24 gennaio 2019

Una bestia selvaggia



Sigmund Freud, Il disagio della civiltà (1929)

L'uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d'amore, capace al massimo di difendersi quando è attaccata; è vero invece che occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressività. Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale soccorritore e oggetto sessuale, ma anche un oggetto su cui può magari sfogare la propria aggressività, sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, abusarne sessualmente senza il suo consenso, sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, umiliarlo, farlo soffrire, torturarlo e ucciderlo. Homo homini lupus: chi ha coraggio di contestare quest'affermazione dopo tutte le esperienze della vita e della storia? Questa crudele aggressività è di regola in attesa di una provocazione, oppure si mette al servizio di qualche altro scopo, che si sarebbe potuto raggiungere anche con mezzi meno brutali. In circostanze che le sono propizie, quando le forze psichiche contrarie che ordinariamente la inibiscono cessano di operare, essa si manifesta anche spontaneamente e rivela nell'uomo una bestia selvaggia, alla quale è estraneo il rispetto per la propria specie.

domenica 20 gennaio 2019

Preferirei di no



Elena Pulcini,"Preferirei di no". Ritrovate la libertà di dissentire dal mondo in cui vivete, Corriere della Sera, 11 gennaio 2019
Qualche settimana fa, durante una conferenza all'Istituto filosofico di Napoli in cui cercavo di sensibilizzare gli studenti sulla crisi ecologica e sull’urgenza di prendersi cura del mondo, un ragazzo mi ha chiesto: «Sì, lei ha ragione, ma noi che possiamo fare? Io, che posso fare?». Invece di ricorrere affannosamente al repertorio accumulato in anni di ricerca, ho sentito me stessa rispondere, con una naturalezza inattesa: «Cominciate col riconquistare la libertà di dissentire dal mondo in cui vivete, chiedendovi come potrebbe essere il mondo che volete». Cosa tutt’altro che facile, certo, perché non basta attingere al pensiero critico, che peraltro non gode di buona salute da qualche tempo a questa parte.
Insensata avidità e brutale inclinazione a sfruttare

La libertà di dissentire prevede sì la consapevolezza critica che ciò che accade è colpa nostra, della nostra insensata avidità e brutale inclinazione a sfruttare tutto ciò che serve al nostro utile. Ma prevede anche un gesto, un gesto deciso e imperturbabile come quello del Bartleby di Melville con il suo «preferirei di no»: tanto più inesorabile quanto più serafico nella sua capacità di disidentificarsi dalla tirannia dell’ovvio, dall’incontestabile potere dell’esistente, dal mantra che non si stanca di recitare «there is no alternative». È la libertà di dire di no alle infinite illusioni nelle quali ci troviamo intrappolati dalla società dello spettacolo che, come aveva precocemente intuito Guy Debord, tutto mercifica; che ci abbaglia e ci seduce con il luccichio delle cose, le sirene del successo, il potere del denaro.
Il coraggio del prigioniero platonico

Come il prigioniero del mito platonico, dobbiamo avere il coraggio di uscire dalla caverna per aprirsi ad un «nuovo inizio», direbbe Hannah Arendt: liberi di immaginare, pensare e costruire un altro mondo. La libertà di dissentire prelude al coraggio di cambiare, di abbandonare il rifugio narcotizzante dell’indifferenza per recuperare la capacità di stupirsi, di meravigliarsi. Una capacità sempre più demodée in un mondo che anticipa e plasma i desideri a sua immagine e somiglianza. E tuttavia salvifica, sembra suggerirci Sloterdijk, se vogliamo essere in grado di accogliere, come accadde a Rilke nelle sale del Louvre, la voce che gli sussurrava «devi cambiare la tua vita».
*Elena Pulcini insegna Filosofia sociale all’Università di Firenze. Il suo ultimo lavoro è Cura ed emozioni (con Sophie Bourgault) Il Mulino 2018

sabato 19 gennaio 2019

L'apparizione di Trott



Benedetta Cibrario, Rossovermiglio, Feltrinelli, Milano 2007

"Vous êtes toujours si triste, Madame?"
La sfrontatezza della domanda mi gela.
Sto ancora guardando la tavola della baronessa e la sua scelta di fiori bianchi. Prendo fiato, prima di mettere a fuoco le parole glaciali con le quali rispondere all'impertinenza. Sono Peak, il mio baio, quando ha paura del tuono.
Mi si gonfia la vena sul muso, gli occhi fissano nel vuoto, le narici fremono.
Scalcio, non mi lascio tenere per la cavezza, do strattoni. Il cuore mi pulsa all'impazzata.
Nulla di questa mia trasformazione trapela all'esterno.
Poi, lentamente, mi volto alla mia sinistra.
Sono immobile, ma dentro mi sento cadere.
Precipito nel vuoto.
Non vedo né sento più altro.
Tutto ciò avviene in un attimo: le fate sono assai svelte nelle loro faccende.
Ho davanti un uomo di vent'otto, trent'anni. Ho davanti Trott.

mercoledì 16 gennaio 2019

Il Chiampa






Stefano Rizzi, Così l'highlander Chiamparino può davvero fare il miracolo
Lo Spiffero, 13 gennaio 2019
E' solo un’impressione, favorita dalla presenza massiccia sulla scena politica nazionale e sui media, oppure Chiamparino davvero è già diventato per l’ancora ignoto avversario del centrodestra assai più temibile di quanto lo si ritenesse fino a non molto tempo fa?
Lo
Spiffero lo ha chiesto a Paolo Natale, docente di Metodologia delle scienze sociali all’Università di Milano e consulente dell’istituto di ricerca Ipsos, autore di numerosi saggi tra cui alcuni dedicati al M5s così come al Pd, che già commentando a caldo la manifestazione dello scorso 10 novembre aveva osservato come più che il Pd, a farsi interprete di quelle istanze – ribadite ieri – “potrebbe essere una figura come quella di Chiamparino”.
Fughiamo subito un dubbio, professor Natale: Chiamparino sta crescendo nei consensi?
“Diciamo che si nota un deciso e costante recupero rispetto ad alcuni mesi fa e, in maniera ancor più netta se si guarda a quando la sua candidatura era ancora in forse”.
Quindi hanno ragione a preoccuparsi, anche se non lo ammettono, i suoi avversari di centrodestra?
“Intanto, mi pare debbano ancora individuare il candidato per la presidenza. E questo, oggettivamente, resta un vantaggio per Chiamparino”.
Cambierà qualcosa se lo esprimerà, come pare, Forza Italia oppure la Lega?
“Credo cambierebbe molto. La Lega nonostante tutto è quotata ancora molto nell’orientamento di voto. Naturale che a Chiamparino converrebbe avere come avversario un esponente di Forza Italia, a meno che non si tratti una personalità di così alto profilo e che non venga identificata come di Forza Italia. Penso, per esempio a una figura del mondo dell’impresa, ma di spessore, radicata sul territorio e conosciuta”.
Resta il problema di un Partito Democratico che non riesce a riconquistare consensi e si avvicina a un congresso con tutte le incognite del caso. Questo lascia supporre non sia di grande aiuto per Chiamparino che già sta attrezzandosi con liste civiche. Una strategia giusta?
“Per intercettare il malumore di alcuni strati sociali e interpretare istanze sempre più chiare e decise da vari ambiti sociali, l’unica speranza è distanziarsi quanto basti dal Pd, oggi oggettivamente in difficoltà oggettiva, con Matteo Renzi ancora in campo e senza che si vedano per la segreteria figure forti. Come ho già avuto modo di dire, una certa eccentricità di Chiamparino rispetto al Pd può essergli di aiuto”.
Il suo ruolo nella vicenda Tav allarga l’appeal elettorale?
“Credo di sì. Teniamo anche conto che i ceti produttivi temono l’unione di Salvini con i Cinquestelle e una parte di elettori di centrodestra non sono particolarmente contenti di questa alleanza”.
Quindi Chiamparino potrebbe rosicchiare voti nell’elettorato storico di Forza Italia e in quello moderato della Lega?
“Premesso che da tempo la volatilità del voto è molto forte, sicuramente in alcuni ambienti si può pensare ci sia chi possa dire: meglio Chiamparino che un salto nel buio”.
Deve però presidiare anche il fianco sinistro.
“Probabilmente la sinistra estrema andrà per i fatti suoi senza grossi risultati, il resto che ha un atteggiamento abbastanza riprovevole verso i Cinquestelle, con un candidato come Chiamparino, diciamo, non organico al Pd romano vedo possibile un’alleanza ampia anche su quel fronte”.
Con Chiamparino forte e un Pd debole resta pur sempre il rischio dell’anatra zoppa, è d’accordo?
Il rischio esiste. Però va tenuto conto che i Cinquestelle alle amministrative hanno meno appeal e per le regionali non c’è il secondo turno. Insomma, un effetto Chiara Appendino con la destra che portò voti ai Cinquestelle, a parti invertite mi pare assai difficile”.




martedì 15 gennaio 2019

Quando regna la passione

Andrea Saderis

Simone Lorenzati
SADERIS E L'ESPRESSO ITALIA










Quando si entra all'Espresso Italia, bar pinerolese accanto all'omonimo e storico cinema, l'ultima cosa a cui si pensa è la musica. Locale piccolino, disposto sul lungo, con una seconda sala più piccola ancora che dà su di un cortile interno. Eppure, a dispetto delle dimensioni, il bar è ormai un cult per musicisti underground di tutto il mondo.
Sono ormai sei anni che faccio esibire artisti con regolarità, direi grossomodo una decina di concerti al mese” si presenta Andrea Saderis, titolare del locale sito in via Montegrappa 1. “Negli ultimi due anni hanno suonato oltre 320 gruppi o artisti” sciorina numeri in effetti notevolissimi in periodi di magrezza assoluta verso le performance live. Viene da chiedersi come sia possibile avere così tanti concerti, e con artisti di provenienza multipla, dalla Russia passando per la Francia, dagli Stati Uniti (Oregon e Tennessee) al Brasile, dall'Inghilterra alla Germania, e da moltissimi altri paesi. “Organizzo tutto io in prima persona. Passo le mie ore di pausa nel primo pomeriggio ad ascoltare il materiale degli artisti, per lo più quelli distanti ovviamente, che mi contattano per proporre la loro musica. Da lì seleziono con un doppio occhio: chi piace a me chi, soprattutto, ritengo in grado di suscitare interesse” prosegue Saderis. Insomma dalla passione per la musica a 360°, specie underground ovviamente, al farne un’opportunità per il proprio locale il passo è stato breve. E anche se è complicato gestire tutto da solo, l'amore per le sette note diventa preponderante. Il locale, poi, è pieno di fotografie di artisti live, di vinili appesi alle pareti e persino i tavolini hanno la forma degli strumenti musicali. “Devo dire che all'estero c'è più interesse verso la musica, anche per quella live. Specie, poi, nello sperimentare. Qui è molto diffusa la cultura del far suonare l'artista di casa, in modo da avere la pressoché totale certezza di riempire il locale. Ma non è la mia filosofia di vita” sottolinea.
L'idea che sta alla base di tutto, in sostanza, è quella di osare, di cambiare. E non capita solo all'Espresso Italia. “Mi pare si stia creando una sorta di circuito con locali simili al mio, che puntano sul musicista estero, o anche italiano, spesso non di nome, ma capace di diventare un ottimo animale da palcoscenico. Ed in effetti noto che gli artisti che vengono a suonare da me poi proseguono spesso la loro tournee toccando gli stessi club” rimarca Saderis.
E così altri artisti passeranno sul palco dell'Espresso Italia, sulle orme di Joe Victor, Giancane, Mahout, One man 100% Bluez, Al Right Gandhi, P.G. Petricca, Victor Rice, passando per l'ex Festival di Sanremo Tricarico e moltissimi altri (tra cui il compianto jazzista pinerolese Andrea Allione, artista di fama internazionale e già chitarrista di Paolo Conte). Cosa è migliorato nel corso degli anni è l'approccio del pubblico verso il musicista. “Rispetto ai primi tempi, effettivamente, c'è maggiore rispetto verso chi suona. Inizialmente molti parlavano, anche con tono elevato, tanti non ascoltavano, specie gli spettatori occasionali ovviamente. Adesso, invece, forse perché siamo ormai percepiti come un locale di nicchia, le serate sono sempre molto partecipate, e come numero di persone e come ascolto dei brani”.
La passione, tuttavia, è ciò che emerge dalle parole di Saderis: passione per la musica dal vivo innanzitutto. Senza quest'ultima non avrebbe senso sobbarcarsi una marea di costi, dai diritti d'autore al musicista, passando magari per l'hotel dell'artista, il tutto senza far pagare biglietti né maggiorando la prima consumazione. “Sono scelte di vita. Il mio è un lavoro che assorbe la quasi totalità del tempo. Non ho molto spazio per concedermi grossi lussi o semplicemente qualche viaggio. E allora unisco il lavoro alla mia curiosità musicale portando il mondo nel mio locale. La vivo come un'avventura anche dal punto di vista culturale”.
Insomma piccolo è bello parrebbe essere lo slogan. “Molti mi invitano ad aprire un locale più grande, che sicuramente agevolerebbe pubblico e musicisti. Ma perderemmo la nostra particolarità, la bellezza e direi persino la magia che pervade questi muri”. A ben guardare, poi, la stragrande maggioranza dei musicisti nasce proprio dai concerti nei piccoli club.
Spesso si crea un'empatia con l'artista, non è il classico arrivare, mangiare, suonare e andare via. Ci scambiamo impressioni e racconti di vita. Poi, una volta che inizia il concerto, quelle emozioni è bello vederle scambiate tra pubblico e musicista” continua Andrea Saderis. “Amo vedere i bambini ai concerti. Stanno incollati con gli occhi verso l'artista, perché vedere qualcuno suonare è infinitamente migliore che non limitarsi allo stare chiusi in casa. E poi, magari, può nascere una passione, e quel piccolo bambino inizierà a suonare la chitarra ad esempio. Io penso che la musica abbia una funzione sociale e culturale e mi approccio così alle sette note”. E in programma dal prossimo anno dovrebbero esserci anche dei piccoli spettacoli teatrali, con cabaret in primis. “Ma non rinuncerò alla musica live ovviamente. Attendo a breve diversi artisti, sulle orme di Zulù dei 99 Posse, che si è esibito recentissimamente da noi riscuotendo notevole successo” anticipa in conclusione Andrea Saderis.
Per continuare a vedere concerti dal vivo. Nonostante tutto.

lunedì 7 gennaio 2019

E un Marcel diventa






Dante, Purgatorio, VI, 73-126

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello
 76

Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s’alcuna parte in te di pace gode. 87

Che val perché ti racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz’esso fora la vergogna meno. 90

Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota, 93

guarda come esta fiera è fatta fella*
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
 96

O Alberto tedesco ch’abbandoni
costei ch’è fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni, 99

giusto giudicio da le stelle caggia
sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che ’l tuo successor temenza n’aggia! 102

Ch’avete tu e ’l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto. 105

Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti! 108

Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
d’i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior** com’è oscura! 111

Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e dì e notte chiama:
"Cesare mio, perché non m’accompagne?". 114

Vieni a veder la gente quanto s’ama!
e se nulla di noi pietà ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama. 117

E se licito m’è, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? 


O è preparazion che ne l’abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l’accorger nostro scisso?                                                                                                                            123


Ché le città d’Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene***.                                                                                                                    

°°°
L'aggettivo fella vale “riottosa”, “ribelle”. (N. Fosca)
** la contea di Santafiora, feudo degli Aldobrandeschi, nella regione del Monte Amiata. Era questo uno dei più potenti feudi d'Italia, che aveva dominato un tempo tutta la Toscana meridionale. Ora oscura, cioè decaduta, oscurata nel suo splendore. (A.M. Chiavacci Leonardi)
*** E un Marcel diventa. Come dire: 'e il primo scalzacane che si mette a capo di una fazione 
126s'atteggia a salvatore della patria e restauratore dell'ordine'. (V. Sermonti)