Massimo Rostagno pubblica da Armando editore un Dizionario minimo dei complottismi. Libro quanto mai utile, pubblicazione tempestiva, opportuna in un momento storico come l'attuale, così ricco di sospetti e leggende date per buone, chiamate a sostituire un resoconto fedele dei fatti. Certo il resoconto fedele in assoluto non esiste. Ogni narrazione per quanto fondata su evidenze incontestabili reca inevitabilmente il segno di una percezione anche soggettiva, particolare, distinta. La stessa neutralità ricercata a tutti i costi diventa sospetta in quanto non aiuta a ritrovare la logica dei diversi attori coinvolti in una vicenda. Forse la neutralità più proficua è quella che include distinguendoli le visioni proprie dei principali protagonisti. Tutto questo presuppone che vi sia un interesse per la conoscenza della verità.
I complottismi appartengono invece a un altro ordine di fenomeni. Qui la scena è dominata dalle false rappresentazioni, dalle narrazioni immaginarie, eppure date per vere e assunte come tali da un vasto pubblico. Su come una tale anomalia sia giunta a occupare gran parte della scena pubblica Rostagno si dilunga nell'introduzione al volume. I complottismi sono figli della partecipazione politica. Si affermano in un tempo caratterizzato dall'avvento delle masse.
Il libro che ha un chiaro intento divulgativo si basa su un solido impianto concettuale. Nelle pagine introduttive vengono presentati tre tipi di approccio all'argomento trattato. Il primo vede i complottismi come dovuti a un errore di percezione, ancor più a una fallacia conoscitiva; ha il suo limite nella debolezza del rimedio al quale sembra condurre: i pregiudizi non si lasciano sconfiggere dal semplice richiamo a una versione più aderente alla realtà dei fatti. Un secondo tipo di approccio insiste sull'aspetto individuale e più peculiarmente soggettivo della fede pregiudiziale nell'esistenza di complotti. Aspetto che esiste senza dubbio ma che non appare importante quanto quello sociale e collettivo messo in evidenza da un terzo tipo di approccio. In questo caso a prevalere non è tanto il contenuto della teoria cospirazionista quanto la sua funzione. I complottismi danno luogo a una forma di rivolta contro il potere. Al dunque le diverse visioni del problema si intrecciano e si contaminano, come è giusto che sia, se si tratta di capire qual è il modo migliore per combattere il pregiudizio.
Il repertorio dei complottismi disposto in ordine alfabetico costituisce la parte di gran lunga più ampia del volume, oltre 170 pagine sulle 202 totali. Le voci contemplate sono 68 e vanno da Adenocromo a Wakefield (che non è il vicario, ma un Andrew Wakefield precursore dei no-vax). Curiosamente nel libro non si parla mai dei complotti veri che pure nella storia ci sono stati. Si pensi alle macchinazioni che hanno permesso al primo Napoleone e al terzo (suo nipote) di accedere in modo stabile al potere. La storia dell'Italia repubblicana è ricca di cospirazioni mal riuscite o fallite, ma pur sempre documentate, dal piano Solo alla Rosa dei Venti alla P 2. Nella storia della Germania nazista l'attentato del 20 luglio 1944 certamente ebbe origine in un complotto. Più interessanti sono quei casi in cui alla cospirazione immaginaria corrisponde un fenomeno reale meno perverso e per nulla diabolico. Il Deep State per esempio può corrispondere più semplicemente a qualcosa come la permanenza delle strutture burocratiche nelle loro ramificazioni varie nei ministeri e nelle reti connesse sul territorio. Alla teoria fantasiosa di Barruel si affianca il giacobinismo visto da Augustin Cochin come la cristallizzazione di una mentalità diffusa e uniforme attraverso le società di pensiero. Il marxismo culturale ha il suo equivalente effettivo nella proliferazione naturale dei movimenti portatori di istanze nuove dai neri ai gay, passando per le femministe, i favorevoli alla legalizzazione dell'aborto, i volontari attivi nell'assistenza ai migranti o gli stessi migranti.
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