Lorenzo Kamel, Strisciarossa, 25 giugno 2021
"In Italia il confronto si polarizza quasi subito, da una parte e dall’altra. Quando parlo e scrivo in inglese, in un ambito internazionale, succede assai meno; preferisco confrontarmi in quel mare grande, dove può nascere qualche contrasto, ma trovo più spazio di manovra".
Anche in Israele il confronto è più gestibile rispetto all’Italia?
“Nel nostro Paese spesso si percepisce Israele come se fosse un monolite. In realtà la società israeliana è un coacervo di gruppi e quasi tutti si sentono minoranza rispetto a un’altra componente. Ci sono enormi differenze; persino tra gli ultra-ortodossi esistono tantissime fazioni che spesso sono in aperto contrasto l’una con l’altra. Alcuni di essi considerano persino lo Stato d’Israele come una sorta di blasfemia e rifiutano di servire nell’esercito, nonostante farlo sia necessario per ottenere servizi e benefici elementari: se si vuole ricevere un mutuo immobiliare, solo per fare un esempio tra mille, è necessario dimostrare di avere fatto il servizio militare.
Ebbene, mi trovo meglio a discutere di queste cose e altre questioni in Israele e in Palestina, dove l’ho fatto tante volte: perché, al di là di tutto, ci sono spesso più predisposizione al dialogo, più flessibilità, più voglia di capire le cose da un’angolazione diversa. Come tendenza generale, non vedo la stessa disponibilità in Italia. Rispetto ad altri contesti, qui ravviso una maggiore violenza verbale quando ci si confronta su questi temi”.
Per
esempio che cosa le capita?
“Capita
che un mio intervento mi faccia guadagnare, nello stesso tempo,
l’accusa di essere un simpatizzante sionista o un sostenitore di
Hamas. C’è chi preferisce il tifo da stadio, probabilmente perché
è poco interessato ad andare alle radici delle questioni”.
Lorenzo Kamel, Micromega, 1 febbraio 2024
Non ho mai “parteggiato” per una data etnia o religione. Seguo solo i princìpi in cui credo. Le persone possono deludere, i princìpi no. Mark Twain, durante il suo viaggio in Terra Santa, nel 1867, disse che gli occorreva disimparare molte cose a proposito della Palestina. Che cosa dobbiamo disimparare per capire l’attuale situazione?
Lorenzo Kamel, Il Fatto quotidiano, 29 gennaio 2024
“Questo non è un conflitto religioso, ma un conflitto basato sull’odio tra le due parti. I palestinesi sono vittime dell’odio israeliano già dal ’48: villaggi rasi al suolo, donne stuprate, espulsioni. Una cicatrice enorme per i palestinesi. La violenza e la deumanizzazione dell’altro appartengono a entrambe le parti. Se qualcuno le vede solo per una parte, evidentemente non conosce bene o la storia o la realtà locale”.
Lorenzo Kamel, Città nuova, 3 giugno 2024
... il contesto o vale sempre – e penso sia l’opzione auspicabile – o non vale mai. Studiarlo non deve mai essere inteso come un modo per condonare crimini e violenze, bensì come uno strumento per andare alle radici delle questioni. Queste ultime, senza esperienza diretta sul campo e mancanza di competenze linguistiche e di carattere storico, appaiono sovente sfocate e si prestano a letture ideologiche.
Giovanni Carpinelli
La critica del progetto sionista in Francesca Albanese
Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, è diventata una delle figure più polarizzanti del dibattito contemporaneo sul conflitto israelo-palestinese. Mentre le sue prime dichiarazioni pubbliche sembravano collocarsi entro il quadro classico della critica alle politiche israeliane nei territori occupati, negli ultimi anni il suo discorso si è spostato verso una formulazione più ampia e totalizzante. In esso Israele non appare più soltanto come uno Stato che viola il diritto internazionale, ma come l’espressione di un progetto politico-ideologico – il sionismo – strutturalmente generatore di dominio e violenza.
Dalla critica dell’occupazione alla condanna del sistema
Nei primi interventi pubblici, Albanese si atteneva alla linea dei suoi predecessori, come Michael Lynk e Richard Falk. Tuttavia, già nei rapporti del 2023-2024 emergeva un ampliamento del quadro: Israele veniva descritto come un regime istituzionalizzato di apartheid e di colonialismo di insediamento. Questo lessico segna il passaggio da una critica delle azioni a una condanna delle strutture, implicando che il problema non risieda più in singole scelte politiche ma nella logica costitutiva dello Stato stesso.
L’economia del genocidio: la svolta del 2025
Il rapporto ONU del 2025, 'From Economy of Occupation to Economy of Genocide', rappresenta la fase più avanzata di questa radicalizzazione. Il testo propone la tesi che il sistema economico israeliano, con la complicità di imprese internazionali, sia organico a un processo genocidario volto a cancellare la presenza palestinese. Da un punto di vista politico-ideologico, la violenza diventa non un effetto del sionismo, ma la sua manifestazione essenziale.
Ricezione e accuse di delegittimazione
La pubblicazione del rapporto ha scatenato reazioni forti da parte di Israele e di diversi governi occidentali. Albanese ha respinto le critiche, denunciando una strategia di riduzione al silenzio. Per i critici, ella avrebbe adottato una griglia interpretativa mutuata dal post-colonialismo radicale; per i sostenitori, invece, tale griglia è necessaria per comprendere il dominio coloniale persistente.
Critica del sionismo o negazione di Israele
Formalmente, Albanese non nega il diritto all’esistenza di Israele. Tuttavia, il suo approccio tende a dissolvere la distinzione tra critica alle politiche e negazione della legittimità statale. Nel suo discorso, l’abbandono del progetto sionista diventa la premessa necessaria per il raggiungimento della pace e per il trionfo della giustizia, trasformando la critica per il mancato rispetto dei diritti umani in una petizione di principio etica e militante al tempo stesso.
Conclusione
La parabola discorsiva di Francesca Albanese mostra il passaggio da una critica immanente del potere israeliano a una critica trascendente del progetto sionista. Non esiste un testo in cui Albanese rigetti esplicitamente Israele, ma la logica interna del suo discorso porta a una delegittimazione strutturale dello Stato come entità politica. Il caso Albanese riflette un più ampio mutamento nel pensiero critico contemporaneo: l’assorbimento del linguaggio dei diritti umani in un paradigma che riduce il sionismo a una pura operazione di tipo coloniale, mirando non a una riforma più o meno ampia, ma a una soppressione radicale del sistema. Rimane da vedere chi potrebbe attuare un tale cambiamento. Non certo un governo attuale o futuro di Israele, e neppure la comunità internazionale che può promuovere la ricostituzione di uno spazio palestinese autonomo, non la cancellazione di un impianto statale consolidato.
Note e riferimenti
1. Francesca Albanese, *From Economy of Occupation to Economy of Genocide*, Rapporto ONU, giugno 2025.
2. Michael Lynk, *Report of the Special Rapporteur on the Situation of Human Rights in the Palestinian Territories*, ONU, 2021.
3. Amnesty International, *Israel’s Apartheid Against Palestinians: Cruel System of Domination and Crime Against Humanity*, Londra, 2022.
4. Wired Italia, “Francesca Albanese: The Big Interview”, marzo 2025.
5. TPI, “Economia del genocidio a Gaza: intervista a Francesca Albanese”, luglio 2025.
6. UN Watch, “Analysis of Francesca Albanese’s Mandate and Bias”, Ginevra, 2025.
7. The Guardian, “UN Expert Faces Backlash Over Israel Genocide Report”, giugno 2025.

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