sabato 25 ottobre 2025

La solitudine del cittadino globale

Nicoletta Martinelli
La solitudine avanza. E colpisce gli uomini giovani

Avvenire, 25 ottobre 2025

 I soldi non fanno la felicità e chi trova un amico trova un tesoro. La saggezza popolare descrive ancora perfettamente la situazione odierna: come è forse più del reddito, la qualità delle connessioni sociali è una dimensione indispensabile del benessere. Gli amici fanno bene alla salute, così come l’affetto dei parenti: se scarseggiano si rischia una morte prematura e aumenta il pericolo di sviluppare molte malattie fisiche e mentali. Ma la solitudine avanza, reale o percepita, come certifica un’analisi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) dedicata all’argomento: se è vero che la maggior parte delle persone che vive nei Paesi dell’area Ocse dispone di contatti regolari e può contare sull’aiuto di una rete di supporto, una quota non trascurabile (e in crescita) vive forme più o meno profonde e durature di isolamento e solitudine. Emozione tutt’altro che privata e, anzi, sintomo della fragilità delle reti comunitarie e delle istituzioni: per rendere le persone meno sole bisogna agire su più piani, da quello culturale ed educativo a quello urbanistico.
Il 67% degli abitanti dell’area Ocse dichiara di avere contatti quotidiani con amici e familiari (nel 2006 la percentuale era del 75%), per il 25% i contatti sono limitati a una volta a settimana, mentre il restante 8% contatti regolari non ne ha proprio. E in caso di bisogno? Nove persone su dieci hanno qualcuno a cui rivolgersi. Resta un individuo che non può contare su nessuno, il 10% del totale (valore leggermente più alto rispetto a vent’anni fa), e la percentuale sale al 15-18% nei Paesi dell’Europa meridionale e orientale. I livelli di supporto percepito più alti si registrano al Nord e nei Paesi Bassi (oltre il 95%), i più bassi in Turchia, Grecia e Ungheria (meno dell’80%).
Ma mentre i contatti quotidiani, scrive Ocse, stanno diminuendo in tutti i Paesi, soprattutto quelli di persona, aumentano le interazioni digitali: dal 2006 al 2025 il tempo trascorso incontrandosi è diminuito di circa dieci punti percentuali mentre le relazioni a distanza – in chat, sui social o in videochiamata – sono aumentate in modo significativo passando dal 65 all’85%; si trascorrono in media 55 minuti (contro i precedenti 35) in conversazioni a distanza.
Si sa, niente è come guardarsi negli occhi e una emoji sorridente non smuove la dopamina come un sorriso vero: eppure anche gli incontri faccia a faccia sembrano non essere sufficienti a farci sentire supportati e in comunione con il prossimo. Va introdotta una distinzione – come fa l’Ocse – tra “struttura delle relazioni” (che comprende frequenza e ampiezza della rete) e “qualità percepita” (cosa intendiamo per supporto, fiducia e appartenenza). Tenendola in considerazione, non è più così sorprendente scoprire che non sono solo gli anziani a sentirsi soli e abbandonati ma anche i giovani adulti, in particolare i maschi: oggi sono più inclini che in passato a descriversi privi di relazioni soddisfacenti, sebbene – apparentemente – abbiano una vita sociale più intensa.
La quota di chi si sente spesso solo varia tra il 5% e l’8% del campione preso in esame, con punte più alte tra i giovani (16-24 anni) e gli anziani over 75. Ma la sensazione che la qualità delle proprie relazioni si sia degradata è diffusa e trasversale: appartiene a tutte le età, i sessi e le condizioni cosicché tra il 2018 e il 2022 è calata del 3% la quota dei “molto soddisfatti” dei propri rapporti con il prossimo. Non è solo l’età a fare la differenza: diminuendo reddito e istruzione, diminuiscono anche le interazioni sociali. E tra i disoccupati si registra un tasso di solitudine doppio rispetto agli occupati, differenze acuite dalla pandemia di Covid-19.
La solitudine non è un problema del singolo ma una questione di salute pubblica, cosa ormai riconosciuto da gran parte dei Paesi Ocse: il primo a istituire un ministero della solitudine è stato il Regno Unito, il Giappone, la Germania, la Corea e i Paesi nordici hanno introdotto strategie nazionali e programmi interministeriali per contrastare il fenomeno. E anche l’Oms, nel 2024, ha dato vita a una commissione globale sulla connessione sociale mentre, proprio quest’anno, l’Assemblea mondiale della sanità ha formalmente riconosciuto il tema come priorità mondiale. Singole soluzioni efficaci non ce ne sono e, stando all’Ocse, gli interventi più promettenti devono combinare azioni strutturali e iniziative individuali. Significa, da un lato, investire nelle infrastrutture sociali locali, dai centri comunitari ai trasporti, come fattori che rendono possibili le relazioni. Dall’altro, garantire supporto psicologico, investire nei programmi scolastici, promuovere ambienti digitali sani, contrastando l’isolamento online con piattaforme che favoriscano relazioni autentiche.

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