venerdì 31 ottobre 2025

Quale Pasolini


Christian Raimo
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Qualche giorno fa Il Foglio ha fatto un'intervista al presidente della commissione cultura della Camera Federico Mollicone a proposito del cinquantenario della morte di Pasolini. Mollicone, che si sta occupando delle varie iniziative per ricordarlo, dice: "Pasolini? La sinistra lo strumentalizza. Ma non sa che fu fascista". Ha avuto coraggio Il Foglio a pubblicare questa roba.
Perché è chiaro che si può mistificare ogni memoria, e aprire finestre di Overton per fare entrare venti velenosi appena si può, ma Pasolini fascista è un osceno ossimoro che nemmeno chi ha fatto della contraddizione una sua cifra d'elezione può tollerare. Per Pasolini il fascismo era l'orrore in purezza.
Quest'intervista dice molto sulla risibilità della controegemonia della destra postfascista. Ma dice molto anche su Pasolini, diventato ormai un significante vuoto se non il modello dei significanti vuoti culturali. Il feticcio per eccellenza.
Scrivevo due tre anni fa su Domani che il rischio di fare di Pasolini un’icona pop si è già avverato: gli occhiali con la montatura pesante, il giacchetto di pelle, lo sguardo intenso, i capelli scompigliati. Quell’icona lì è già sulle pareti dei locali hipster da vent’anni. Il suo sguardo è riprodotto in serie negli infiniti servizi fotografici in bianco e nero su qualunque borgata con i ragazzini con le facce antiche e qualche palestra di pugilato. Il giornalismo “pasoliniano” è un genere da più di trent’anni.
Così come quello di fare di Pasolini un feticcio dell’impegno ridotto a merce è uno dei modi più usuali in cui abbiamo a che fare con la sua opera e la sua vita. La generazione neonata o superstite alla morte cristologica di Pasolini ha spesso letto Il romanzo delle stragi, quel famoso apologo dell’«io so, ma non ho le prove» come un j’accuse e un testamento insieme, e interpretato la sua poetica evocativa o la sua testimonianza di isolamento come capacità visionaria: Pasolini che aveva intuito, aveva previsto, aveva profetizzato.
Questo ha concesso spesso agli scrittori di autolegittimarsi una via più corta – aruspicina se non oracolare – per comprendere e dire la propria su questioni vaste e complesse. Il talento con cui Pasolini si è inventato tanti mestieri diversi essendo un letterato di formazione: romanziere, poeta, critico culturale, drammaturgo, editorialista, sceneggiatore, documentarista, reporter, regista, … e soprattutto la dedizione con cui ha fatto l’intellettuale pubblico militante non gli ha però consentito per esempio di imparare velocemente a praticare il giornalismo d’inchiesta, come forse stava tentando negli ultimi anni della sua vita rispetto alla vicenda Eni; e chissà se non sia stata quest’imperizia a averlo avvicinato alla morte.
Franco Ferrarotti notava già nel 1974 come il pasolinismo potesse essere facilmente alterarsi in un antimetodo: «Questo esploratore notturno delle borgate romane in Alfa Romeo 2000 Gran turismo fa sistematicamente coincidere la ricerca del suo piacere personale privato con una missione politica pubblica. È l’antico vezzo dell’intellettuale italiano: il mondo ridotto a pretesto».
Siti lo scriveva con nettezza: «Pasolini non era un avversario del consumismo, ne era un modello». Sono giudizi impietosi che oggi vanno a loro volta datati e discussi, ma sicuramente questo segmento del mito Pasolini ha finito anche per consentire a chi lo coltiva la soddisfazione di avere delle opinioni forti senza bisogno di controllarle sui libri o nello studio sul campo.
Ecco Pasolini è diventato, suo malgrado, il modello dello scrittore come icona, merce, brand. Frasi decontestualizzate possono fare da slogan a campagne pubblicitarie o auguri di compleanno: il verso «Ti impediranno di splendere. E tu splendi invece» cos’è se non un claim motivazionale?
Si può ragionare su questo genere di questioni, senza moralismi o facili soluzioni. La prima riguarda l’uso pubblico delle memorie culturali. Anche a Roma anche ci sarà un profluvio di iniziative su Pasolini, e sono stati stanziati un bel po’ di fondi dall’assessorato alla Cultura. Come usarli al meglio?
La seconda mette in discussione la centralità invadente che hanno assunto gli anniversari anche nel dibattito culturale, tra pagine dei giornali e nuove pubblicazioni dedicate.
È chiaro che in questo modo è molto facile che si finisca per fare dell’iconolatria anche con i convinti iconoclasti – il caso di Pasolini è paradigmatico. Ma soprattutto la possibilità che si rischia di mancare è quella con la contestualizzazione, che vuol dire con l’attrito che le opere e gli autori hanno con la storia, e fare un cattivo servizio alle memorie.
Dovrebbe essere evidente come l’abitudine nel fare degli autori sempre degli scrittori di temi o scrittori civili, non vuol dire politicizzarli ma depoliticizzarli, renderli buoni per ogni battaglia se non per ogni presa di posizione.
È il destino toccato persino a Pasolini mostrificato in un cantore della polizia, a partire dalla sua poesia su Valle Giulia. O il destino toccato a Pasolini o Flaiano a cui in modo alternato si attribuisce la frase «il fascismo degli antifascisti», per farne dei paradossali riferimenti per il mondo neofascista (nella straordinaria operazione di cura da parte di Garzanti dell’opera pasoliniana c’è l’eccezione vile del pamphlet Il fascismo degli antifascisti). Ha fatto bene qualche anno fa Wu Ming a decostruire queste calcificazioni ormai invalse.
Ma questo genere di analisi sulle distorsioni e gli eccessi delle commemorazioni sono rare. Le pagine culturali sono spesso dettate dalla scansione degli anniversari, e la riflessione storica anche sulla storia letteraria è molto condizionata dalla necessità degli omaggi e dall’impulso all’idealizzazione.
Serve tutto questo? Serve inondare le librerie di testi che nascono sulla scorta di un anniversario? Serve rendere ogni ricorrenza una sorta di giornata della memoria o del ricordo?
Quale antidoto sperimentare contro questa smania celebrativa? Ci sono forse un paio di possibilità da percorrere. La prima è quella di reimmaginare le iniziative culturali – che siano su un giornale, o su un territorio – sempre di più come una costruzione di spazi di studio e di dibattito permanente.
Sarebbe bello avere in città a Roma, per esempio un archivio Pasolini, o costruire almeno online un archivio audiovideo in cui raccogliere materiali, fonti primarie, secondarie, anche per non disperdere quello che si produce durante le occasioni dedicate, che sia un anniversario o una mostra.
La seconda è quella di collegare le battaglie culturali e politiche degli autori che ricordiamo a quelle attuali. Pasolini si è occupato molte volte dello scempio urbanistico delle città, del dolore degli sfrattati, dei baraccati. Su Raiplay si trova un suo documentario poco conosciuto, La forma della città, dove ragiona sui limiti di un'edilizia pubblica sviluppista. Fa impressione paragonare quello che dice ai dibattiti sulla speculazione nelle città italiane di oggi e sull'emergenza casa: https://www.raiplay.it/programmi/pasolinielaformadellacitta
Qui il saggio di Wu Ming sulla strumentalizzazione del Pasolini fascista: https://www.wumingfoundation.com/.../pasolini-antifascismo/

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