domenica 26 ottobre 2025

Il Caravaggio del Nord

Lara Crinò
La Tour, una luce nella notte del mondo

la Repubblica, 22 ottobre 2025

Quando arriva la guerra, è notte anche di giorno. Scende il buio sulle cose e sulle persone: il buio della morte violenta, della malattia e della fame. Dei figli strappati ai genitori, dell’angoscia per chi viene mandato a combattere lontano e per chi resta a casa, indifeso. Le donne, i bambini, i vecchi. Il mondo intero si impoverisce e si fa scuro. La prima vittima della guerra è la luce, e lo sapeva bene Georges de La Tour, meraviglioso pittore secentesco che ora il Musée Jacquemart-André di Parigi celebra con Entre ombre et lumière (fino al 25 gennaio 2026). Tutta la sua vita, la vita di un artista in un secolo violento, fu forse solo una fuga da quel buio, che allora si chiamò Guerra dei trent’anni e insanguinò l’Europa. Figlio di fornai (era nato nel 1593), pittore per i duchi di Lorena, fu a causa dell’incendio della casa e della proprietà in cui viveva, proprio durante quella guerra, che dalla provincia giunse a Parigi. Alla corte di Luigi XIII fu nominato “pittore del re”, ma poi tornò a Lunéville dove, ormai inserito nella piccola nobiltà grazie alle origini della moglie, morì nel 1652 a causa di un’epidemia. Dei suoi dieci figli, solo tre raggiunsero l’età adulta: a Étienne, pittore, toccò il compito di portare avanti la fiorente bottega paterna, dedicandosi a varianti e repliche delle opere più popolari. E poi? De La Tour fu praticamente dimenticato fino a quando, agli inizi del XX secolo, venne riscoperto dallo storico dell’arte tedesco Hermann Voss. Da allora, in qualche modo, divenne per tutti il “Caravaggio del nord”. Ma il paragone regge? E soprattutto ci basta per raccontarlo? La mostra allestita nelle sale di questo prezioso museo della Parigi haussmanniana, accanto a una collezione che spazia da Mantegna a Fragonard, permette al visitatore di cercare da solo una risposta. Un’antologica dedicata al lorenese mancava in Francia dal 1997, mentre in Italia c’è stata l’occasione, funestata dall’arrivo del Covid, della mostra al Palazzo Reale di Milano nel 2020; la curò Francesca Cappelletti che ora guida la Galleria Borghese.

Ma torniamo nelle stanze del Jacquemart-André, dove l’esposizione pensata da Gail Feigenbaum, già al Getty Research Institute, e da Pierre Curie, curatore capo del museo, vuole raccontare de La Tour non solo inserendolo nel contesto storico e mettendolo a confronto con gli artisti del suo tempo ma anche mostrandolo accanto ai suoi doppi. Poiché le opere autografe certe sono poche (una quarantina in tutto, qui ne sono esposte trenta), accostarle ai quadri prodotti dalla bottega e alle copie può – soprattutto quando gli originali sono perduti – servire a precisare temi e stilemi del maestro; in questo caso, inoltre, si mostra per contrasto la sublime qualità del suo fare pittorico. Lo scopo, più che continuare a iscrivere il pittore nella corrente del caravaggismo europeo, dato ormai acquisito, è infatti mostrarne le peculiarità. Certo i temi, religiosi e laici, sono spesso gli stessi: arriva da Nantes Il rinnegamento di San Pietro (1650); da Los Angeles, La Maddalena penitente (1635); mancano invece i due quadri “americani” più celebri: La buona ventura del Metropolitan di New York e Il baro con l’asso di fiori del Kimbell di Fort Worth, Texas.

Ad accomunare de La Tour a Caravaggio c’è, ovviamente, la predilezione per gli umili, qui raccontata all’inizio del percorso espositivo da una straordinaria serie di tele giovanili, oggi disperse in tutto il mondo, dipinte in Lorena tra il 1618 e il 1620, molto lontane dai notturni che seguiranno. Sono ritratti tipizzanti, Il vecchio e La vecchia (provenienti dal San Francisco Fine Arts Museum) e i Mangiatori di piselli (dalla Gemäldegalerie di Berlino) in cui i personaggi si stagliano su uno sfondo chiaro, uniforme, quasi una quinta di teatro: povera gente in posa sul difficile palcoscenico della vita, verrebbe da dire, con tinte che ricordano la pietas di un altro grande artista, coevo ma lontano geograficamente, lo spagnolo Francisco de Zurbarán; lo stesso espediente, pochi anni dopo, l’artista lo utilizzerà per dipingere i suoi sant’uomini: in mostra, della serie cosiddetta degli Apostoli di Albi, figurano il San Giacomo maggiore, il San Giacomo Minatore, il San Filippo e il San Tommaso: nessuna posa magniloquente, in questi santi, ma un’umanità pensosa e dolente.

E l’umiltà, una visione dell’esistenza umana in minore, caratterizza gli altri capolavori in mostra, quelli con cui più facilmente identifichiamo de La Tour, facendo emergere la sua cifra tra le opere dei contemporanei votati al chiaroscuro, pur valentissimi, qui convocati (in particolare, il fiammingo Adam de Coster, in mostra con varie tele). In un silenzio che non fatichiamo a immaginare, le sue figure fanno gesti minimi, come se la quiete faticosamente raggiunta nelle ore della notte, dopo il continuo travaglio quotidiano, potesse essere turbata in da un’intemperanza improvvisa. Ecco dunque La donna che si spulcia (1638, solitamente conservato a Nancy), una servetta dal capo coperto con un turbante che seminuda compie, davanti a noi, un gesto privatissimo, ma anche il giovane Soffiatore di pipa (1646) arrivato da Tokyo e La ragazza con il braciere (1640, in prestito dal Louvre Abu Dhabi).Il gran finale è tutto per Il neonato o Natività, il capolavoro datato 1647-1648 che si trova, dai tempi della Rivoluzione francese, nel museo di Belle Arti di Rennes. Per farlo arrivare al Jacquemart il museo ha proposto lo scambio, per la durata della mostra, con un capolavoro della sua collezione permanente, La cena di Emmaus dipinta da Rembrandt nel 1628.

Per capire il mistero del chiaroscuro, quello di de La Tour a confronto con quello di Caravaggio, basta posare gli occhi su questo quadro commovente. Qui la luce proviene da una candela tenuta dalla nutrice; la fiamma, con un magnifico espediente, è nascosta dalla sua mano. Così al centro della tela si staglia un doppio enigma: quello di una nascita, forse divina forse solo umana, e quello di questa piccola luce che squarcia l’oscurità. In Caravaggio la luce è rivelazione: entra in scena come grande protagonista, a mostrare plasticamente l’alternativa alla vita violenta, dissoluta, perduta dei personaggi della storia. In de La Tour la luce è mistero. Siamo immersi nelle tenebre e nel dolore, è vero. Ma talvolta accade un miracolo che non sappiamo spiegare e tutto si illumina. Come il profilo di un bambino appena nato, da stringere forte tra le braccia.

https://machiave.blogspot.com/2024/09/la-maddalena-di-la-tour-una-rassegna.html

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