martedì 7 ottobre 2025

Aritmetica senza idee

Annalisa Cuzzocrea 
La sconfitta di Tridico in Calabria: il centrosinistra e il progetto che non c'è
la Repubblica, 7 ottobre 2025

Senza un vero programma condiviso e senza una leader o un leader riconoscibile è difficile vincere le elezioni regionali. Le Marche sono state la prima prova, la Calabria è ora la seconda. Nessuno pensava che in soli due mesi il centrosinistra potesse rimontare su un presidente di Regione, Roberto Occhiuto, che ha vissuto il suo intero mandato come una corsa elettorale. E che si è dimesso – interrompendolo - per ricandidarsi in modo da favorire il centrodestra in questa campagna d’autunno. Garantendo quello che sarà il probabile risultato finale dopo che avranno votato anche Toscana, Puglia, Campania, Veneto: un tre a tre al posto di un quattro a due per il centrosinistra.

L’indagine che pesa su Occhiuto andrà comunque avanti, ed è difficile credere che la sua capacità di governare sarà ora – grazie alla rielezione - maggiore di quella che aveva fino a due mesi fa. E di certo se la sinistra avesse avuto più tempo per preparare la sfida, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ma i numeri della sconfitta dicono molto più di questo, ed è il momento per chi vuole dar vita a un’alternativa di governo di leggerli in modo corretto.

L’astensione ben oltre il 50 per cento, in linea con quella della tornata precedente in Calabria, non può essere una scusa. È anzi un’aggravante. Perché mostra come mettere insieme più forze politiche in nome di una nuova unità non abbia creato alcun effetto positivo, alcuno slancio, non abbia aggiunto nulla o forse abbia addirittura tolto alle diverse forze politiche. Quando succede questo, come già nelle Marche, significa che dietro quella somma non c’è un progetto convincente. E se non c’è non è perché siamo in un mondo brutto e cattivo, ma perché nessuno si è messo seriamente al lavoro per costruirlo.

Non c’è stata mai, in tutti questi mesi, una riunione di programma tra i leader dei partiti che hanno dato vita alla coalizione di centrosinistra. Ci sono state decisioni surreali, come quella di candidare in Calabria la filosofa romana Donatella Di Cesare, nota per non credere al massacro di Mariupol e per aver difeso più volte le ragioni di Vladimir Putin, come volto di punta di Alleanza Verdi Sinistra. C’è stata la scelta di un candidato alla presidenza che viene dal Movimento 5 stelle, ma che lì è arrivato non da un passato di militanza. Pasquale Tridico era, come Giuseppe Conte, tra i “professori” che Luigi Di Maio si era messo a cercare per dar vita al “governo ombra elettorale” del Movimento nella campagna per le politiche del 2018. Dopo il successo dei 5 stelle, è stato messo alla guida dell’Inps e poi candidato alle elezioni Europee. Non ha la residenza in Calabria, né ha pensato di prenderla. Non ha potuto votare. Così come, ora che è stato sconfitto, è del tutto probabile che torni a fare l’europarlamentare europeo, con buona pace del lavoro di opposizione che bisognerebbe fare in una Regione così piena di bellezza e di problemi.

Checché ne dica chi non conosce la Calabria, non basta evocare redditi di cittadinanza regionali o esenzioni sul bollo auto per vincere le elezioni o per promettere un cambiamento. Serviva un lavoro molto più serio, per sradicare la destra dove è entrata in profondità, e quel lavoro purtroppo non c’è stato. Finché il centrosinistra penserà a vincere col pallottoliere, non farà che consolidarsi dove già governa e dove resta forte – Toscana, Puglia, Campania – senza fare lo scatto che serve all’alternativa. Finché i partiti che lo compongono non lavoreranno davvero insieme, o finché qualcuno non assumerà la guida e il volto della coalizione dandogli corpo e un sogno in cui credere, la destra continuerà a rafforzarsi come sta facendo. Finché le segreterie di partito saranno sempre più autoreferenziali e sempre più ristrette, e le decisioni resteranno appannaggio di pochi, sarà difficile mettere in circolo idee che possano risultare attrattive per un elettorato confuso, spaventato, disorientato dall’arroganza e dall’irresponsabilità delle nuove destre. Meloni ha scelto: per vincere in queste condizioni, le basta far contento il suo elettorato e considerare tutti gli altri nemici del popolo. Se la sinistra ha un senso, deve recuperare quei cittadini e dare loro percorsi istituzionali da seguire.

Senza un vero programma condiviso e senza una leader o un leader riconoscibile è difficile vincere le elezioni regionali. Le Marche sono state la prima prova, la Calabria è ora la seconda. Nessuno pensava che in soli due mesi il centrosinistra potesse rimontare su un presidente di Regione, Roberto Occhiuto, che ha vissuto il suo intero mandato come una corsa elettorale. E che si è dimesso – interrompendolo - per ricandidarsi in modo da favorire il centrodestra in questa campagna d’autunno. Garantendo quello che sarà il probabile risultato finale dopo che avranno votato anche Toscana, Puglia, Campania, Veneto: un tre a tre al posto di un quattro a due per il centrosinistra.

L’indagine che pesa su Occhiuto andrà comunque avanti, ed è difficile credere che la sua capacità di governare sarà ora – grazie alla rielezione - maggiore di quella che aveva fino a due mesi fa. E di certo se la sinistra avesse avuto più tempo per preparare la sfida, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ma i numeri della sconfitta dicono molto più di questo, ed è il momento per chi vuole dar vita a un’alternativa di governo di leggerli in modo corretto.

L’astensione ben oltre il 50 per cento, in linea con quella della tornata precedente in Calabria, non può essere una scusa. È anzi un’aggravante. Perché mostra come mettere insieme più forze politiche in nome di una nuova unità non abbia creato alcun effetto positivo, alcuno slancio, non abbia aggiunto nulla o forse abbia addirittura tolto alle diverse forze politiche. Quando succede questo, come già nelle Marche, significa che dietro quella somma non c’è un progetto convincente. E se non c’è non è perché siamo in un mondo brutto e cattivo, ma perché nessuno si è messo seriamente al lavoro per costruirlo.

Non c’è stata mai, in tutti questi mesi, una riunione di programma tra i leader dei partiti che hanno dato vita alla coalizione di centrosinistra. Ci sono state decisioni surreali, come quella di candidare in Calabria la filosofa romana Donatella Di Cesare, nota per non credere al massacro di Mariupol e per aver difeso più volte le ragioni di Vladimir Putin, come volto di punta di Alleanza Verdi Sinistra. C’è stata la scelta di un candidato alla presidenza che viene dal Movimento 5 stelle, ma che lì è arrivato non da un passato di militanza. Pasquale Tridico era, come Giuseppe Conte, tra i “professori” che Luigi Di Maio si era messo a cercare per dar vita al “governo ombra elettorale” del Movimento nella campagna per le politiche del 2018. Dopo il successo dei 5 stelle, è stato messo alla guida dell’Inps e poi candidato alle elezioni Europee. Non ha la residenza in Calabria, né ha pensato di prenderla. Non ha potuto votare. Così come, ora che è stato sconfitto, è del tutto probabile che torni a fare l’europarlamentare europeo, con buona pace del lavoro di opposizione che bisognerebbe fare in una Regione così piena di bellezza e di problemi.

Checché ne dica chi non conosce la Calabria, non basta evocare redditi di cittadinanza regionali o esenzioni sul bollo auto per vincere le elezioni o per promettere un cambiamento. Serviva un lavoro molto più serio, per sradicare la destra dove è entrata in profondità, e quel lavoro purtroppo non c’è stato. Finché il centrosinistra penserà a vincere col pallottoliere, non farà che consolidarsi dove già governa e dove resta forte – Toscana, Puglia, Campania – senza fare lo scatto che serve all’alternativa. Finché i partiti che lo compongono non lavoreranno davvero insieme, o finché qualcuno non assumerà la guida e il volto della coalizione dandogli corpo e un sogno in cui credere, la destra continuerà a rafforzarsi come sta facendo. Finché le segreterie di partito saranno sempre più autoreferenziali e sempre più ristrette, e le decisioni resteranno appannaggio di pochi, sarà difficile mettere in circolo idee che possano risultare attrattive per un elettorato confuso, spaventato, disorientato dall’arroganza e dall’irresponsabilità delle nuove destre. Meloni ha scelto: per vincere in queste condizioni, le basta far contento il suo elettorato e considerare tutti gli altri nemici del popolo. Se la sinistra ha un senso, deve recuperare quei cittadini e dare loro percorsi istituzionali da seguire.

Non è un lavoro facile, è già stato molto complicato tenere tutti insieme dietro candidati comuni, ma è un lavoro ineludibile. Ed Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, perfino Matteo Renzi, dovrebbero cominciare a pensarci seriamente. Aprendo una discussione all’interno dei loro partiti o movimenti che siano, e poi all’esterno. Interloquendo con una società in fermento che non sanno più leggere. E con i cittadini che, pur non amando nulla di quel che accade loro intorno, non sentono di avere scelta. Così restano a casa, rinunciando all’unica arma legittima di una vera democrazia.

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