Una donna nella bufera. Amori, politica e passioni: Mafai, romanzo di una vita
la Repubblica Firenze, 21 ottobre 2025
Raccontare la vita di una persona nella bufera di eventi epocali è uno degli esercizi più difficili, specie se l’autore o l’autrice prova ammirazione e una sorta di identificazione con l’oggetto del suo testo. Occorre non solo empatia ma anche giusta distanza. Quanto sopra: per dire che il romanzo E non scappare mai. Miriam Mafai, i segreti e le lotte nella tempesta della storia, di Annalisa Cuzzocrea è un piccolo miracolo, un gioiello della narrazione che rende benissimo la complessità di una biografia di una donna davvero indomita, senza nascondere le sue debolezze, contraddizioni ma anche appunto la sua ostinazione, e pure la tenerezza.
Miriam Mafai (1926-2012) è stata una firma di questo giornale. La sua prosa era di una grande chiarezza e trasparenza. L’aspetto formale rispecchiava la sua onestà e un’etica che metteva insieme principi generali e le esperienze della vita. Ecco, la sua prosa — e basterebbe citare come esempio la cronaca del ritrovamento a via Caetani [recte] a Roma del cadavere di Aldo Moro — è conosciuta per chi ha la memoria di quei tempi. Della sua vita e dell’intreccio — mai risolto — fra la vita pubblica e quella privata si sapeva invece poco. È davvero utile saperlo? Probabilmente Cuzzocrea si era posta questa domanda visto che (giustamente) ha costruito il suo libro come un romanzo, basato su fatti veri, ma dove come in tutti i romanzi lo sguardo dell’autrice è decisivo. E il suo sguardo è anche un atto politico.
E per tornare a Miriam Mafai. Era figlia del pittore Mario Mafai e della pittrice Antonietta Raphaël, ebrea originaria della Lituania. Famiglia di antifascisti. Giovanissima si era unita alla Resistenza, aderì al Partito comunista, pur consapevole delle sue contraddizioni, venne mandata a fare agitatrice politica e organizzatrice in Basilicata e poi negli Abruzzi (esperienze non facili), lavorò nella stampa del Partito e approdò in Parlamento, prima come cronista poi come deputata alla Camera.
Cuzzocrea ha potuto vedere i suoi diari, guardare le foto di famiglia, leggere i biglietti che riceveva dal suo compagno di vita Giancarlo Pajetta. La storia è questa. Mafai ebbe un primo marito, subito dopo la guerra: un ragazzo ebreo egiziano comunista. Fu una tragedia di cui lei non volle parlare. In seconde nozze sposò un uomo incontrato negli Abruzzi, diventò madre, scopri che quel matrimonio era troppo soffocante e finì per accettare la corte di una persona di diciassette anni più grande, uno dei dirigenti più in vista del Partito e una leggenda vivente, Giancarlo Pajetta.
Scrive Cuzzocrea, nell’incipit del capitolo “Nullo” (era questo il nome di battaglia di Pajetta), forse il più bello del libro: «Cominciò prima che li scoprissero». Ecco, nel partito comunista, piuttosto conservatore per quanto riguardava le materie che allora erano considerate “di costume” e ritenute interessanti giusto per “i borghesi” e che oggi sappiamo cruciali per la vita delle persone e il volto della società, certe relazioni non erano ben viste. Guai a chi fosse scoperto. E poi cita due frasi di Miriam che forse sono l’essenza di tutto: «L’assenza di passione è un peccato? E se rovesciassimo la celeberrima frase di Goya così: Il sonno degli istinti genera mostri?». La vita di Mafai, come la racconta l’autrice, è un perenne dilemma: lasciarsi andare alle passioni o organizzare tutto razionalmente. E per questo (anche per questo) è una vita da romanzo in un’epoca feroce ma anche piena di speranze.
Per i figli — un maschio e due femmine — avere una madre come Miriam non era facile, e le sue sfuriate e qualche bizzarria sono raccontate, mai come pettegolezzo ma con solidale empatia appunto. Ma vale pure la pena (da maschio) di citare qualche riga di uno dei biglietti — vergati di solito su cartoncini con l’intestazione della Camera — del compagno Nullo, celebre per la sua lingua tagliente e la durezza di una persona per la quale la politica era tutto, e che invece con Miriam si arrende alle passioni contro ogni presunta razionalità. I due hanno litigato e lei non lo vuole vedere. Lui scrive: «Miriam amore. Cosa è successo? Non so, non capisco niente, proprio niente (…) Se ti dico che mi fai morire dici che è vanità. Ma la vanità la metto sotto i tuoi piedi».

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