lunedì 27 ottobre 2025

Donna e spiazzante

Alice Valeria Oliveri
Jennifer Lawrence, la Monica Vitti d'America che non ha paura di essere "cringe"

Domani, 27 ottobre 2025

«Ma di che natura è il mio male? Ho avuto un trauma, sono sotto shock, è un disturbo neurovegetativo o è perché sono mignotta?» dice Adelaide Ciafrocchi al medico che la visita mentre lei si strugge fino al collasso per il triangolo amoroso con Oreste e Nello.

Dramma della gelosia, che per il pubblico estero divenne didascalicamente Pizza Triangle, è il film di Ettore Scola che più si è convertito in energia memetica rinnovabile, fonte di ispirazione per riproposizioni virtuali tra l’ironia e il citazionismo, come per questa battuta della protagonista ormai assorbita dal grande catalogo di internet.

Fonte inesauribile di riproposizione assicurata, oltre l’evidente qualità della commedia scoliana, sintesi perfetta di comicità e tragedia nazionalpopolare, è la presenza di Monica Vitti.

Lo testimonia anche la scomparsa recente di Diane Keaton: il grande apparato mediatico contemporaneo, fatto di frammenti ripescati dal passato e selezione fluttuante di ciò da cui si attinge nell’immenso archivio del Novecento che abbiamo a disposizione in rete, non si accontenta di un’immagine bidimensionale.

Le attrici che, grazie a intelligenza, senso dell’umorismo e ottime scelte professionali, hanno lasciato materiale per i posteri (e soprattutto per i post) sono quelle a cui possiamo attribuire frasi e aneddoti divertenti, guizzi di umorismo, fascino decostruito, una cravatta col gilet, una capigliatura bionda “iconica”, come si dice adesso di ciò che salta all’occhio per estro e originalità.

Sono perlopiù quelle che, come Monica Vitti, hanno fatto spola tra serietà e leggerezza, film di grandi registi e commedie memorabili, con personalità a cavallo tra il concetto di it-girl e quello di musa, parola assai abusata ma figlia di un tempo in cui a dirigere i film erano perlopiù uomini e alle donne con talento toccava accollarsi questa etichetta di passività supposta.

Vitti, in sostanza, è immortale perché non è mai inattuale. Non soccombe, non va contestualizzata, non si deteriora, non ha neanche un’immagine smaccatamente legata al periodo in cui ha lavorato, forse anche per quel suo misterioso invecchiare nascosto che l’ha preservata come una sorta di Dorian Grey del Pincio: era già futura nel passato. E nel presente cosa abbiamo?

I paragoni che si spingono fino oltreoceano sono pericolosi per le tante ragioni che conosciamo. Il cinema italiano, specialmente quello degli anni Sessanta e Settanta, è diverso, è un cinema letterario, di sottrazione, di scrittura, di provincia, nel senso più nobile del termine, e così erano anche le nostre dive, per quanto internazionali.

In questo mondo globalizzato che tenta in tutti i modi di mettere confini, paletti, dazi e muri però, siamo molto più amalgamati, se non per pensieri e parole sicuramente per quanto riguarda l’iconografia contemporanea – basti pensare che uno dei fenomeni virali internettiani più esteso degli ultimi tempi si chiama “Italian Brainrot” e ha una voce fatta con l’Ia che parla la nostra lingua.

E dunque, con le dovute differenze e preso atto dei contrasti spazio temporali, si potrebbe forse dire che la Monica Vitti del contemporaneo esiste, è nata nel Kentucky nel 1990 e si chiama Jennifer Lawrence.

Un modo di essere donne

Che fosse un paragone azzardato era stato premesso nel paragrafo precedente, quindi è doveroso argomentare. La prima ragione per cui potremmo sovrapporre Monica Vitti e Jennifer Lawrence è perché, molto banalmente, si somigliano.

Occhi chiari tagliati, viso ovalissimo, carnagione chiara e lentigginosa, naso dritto, vaporosi capelli biondi. La bellezza che le lega, seppur in modo superficiale ma fondamentale nell’imprimersi di fotogrammi per il cinema, fa da contenitore a una vicinanza più profonda.

Negli ultimi anni si è cominciato a catalogare con alcuni termini più o meno lusinghieri, perlopiù derisori, un certo modo di essere femminile che nel cinema, fabbrica di simboli, trova una sua grande espressione, anche solo per il fatto di essere spesso frutto di un’idea di femminilità filtrata dal cosiddetto male gaze – anche questa espressione, utile a guardare con una lente diversa gran parte dell’arte a nostra disposizione, è di uso recente.

Manic Pixie Dream GirlQuirky GirlPick Me Girl: tanti modi per dire una sola cosa, ossia che una donna dello spettacolo con una personalità esuberante, goffa, simpatica, stralunata, consapevole della sua avvenenza fuori dal comune, ma abile nel non ridurla a simulacro di bellezza canonica, in molti casi, è guardata con sospetto.

Avremmo detto di Monica Vitti che era una Pick Me Girl quando intervistata diceva con voce roca e sguardo ammaliante che «senza amore la vita è un deserto»? L’avremmo etichettata come “cringe”, se con questo termine intendiamo quel senso di imbarazzo generato dalla troppa disinvoltura, in tutte le sue sfumature di vitalità spudorata, tra canzonette con Sordi, mal di capelli, autodiagnosi da mignotta, esasperazioni degli stereotipi Meridionali talmente carichi da fare il giro? Forse già sessant’anni fa qualcuno riusciva a non prenderla sul serio per il solo fatto di essere una donna divertente, oltre che un’attrice di altissimo livello.

Una storia di gaffe

In questo, Jennifer Lawrence è molto simile. La sua collezione di gaffe e di dichiarazioni improbabili in occasioni formali è tanto vasta da destare il sospetto che si tratti di una precisa strategia di marketing attivata sin da molto giovane, quando ancora ventitreenne vinse un Oscar per la sua interpretazione in Silver Lining Playbook, al fianco di Bradley Cooper.

In quel caso, l’ingresso trionfale sul podio dell’Academy fu interrotto da un inciampo sul suo stesso vestito; quando i giornalisti le chiesero come mai fosse caduta, Lawrence ribaltò l’ovvietà della domanda chiedendo con insolenza se qualcuno si fosse accorto della lunghezza spropositata del suo abito Dior (e aggiunse che si era anche appena fatta uno shot di qualcosa, si presume un superalcolico).

Anche agli Oscar successivi, quelli del 2014, cadde, aggrappandosi alla persona davanti a lei, stavolta però sul red carpet. A Jimmy Fallon ha raccontato di aver confuso per Elizabeth Taylor una donna che non era lei per una serata intera, al collega di Hunger Games Liam Hemsworth ha detto che se fosse stato un attore di serie A come Christian Bale allora sì che si sarebbe lavata i denti prima di baciarlo, giusto per citare alcune delle sue gaffe, tante e plateali quanto il suo talento nella recitazione, che decisamente non è poco.

L’indole comica con tratti catastrofici di Jennifer Lawrence non è rimasta inutilizzata. Dopo gli anni di raccolta con i giganteschi Blockbuster che l’hanno fatta diventare una delle donne più famose del globo – con ripercussioni anche terribili come la diffusione di sue immagini intime dopo un furto di iCloud –, tra X-Men ed eroine distopiche, film con Aronofsky, pellicole di spionaggio, flop imprevisti e recenti scelte di carriera volte a una evidente direzione d’essai del suo futuro sullo schermo, è arrivata la commedia vera e propria.

Prima con Leonardo Di Caprio in Don’t Look Up nell’atmosfera eco-apocalittica di Adam McKay, poi con No Hard Feelings, scorretta e dissacrante rappresentazione dei trent’anni da donna single che pur di salvarsi dallo sfratto si fa escort di un ragazzino un po’ sfigato.

Dramma e ironia

In tutto ciò, Lawrence ha abdicato allo stile di vita hollywoodiano villoni, piscine e mega suv trasferendosi nella caotica City, dove ha sposato Cooke Maroney, gallerista newyorkese di grande avvenenza nonché prestigio, suggellando un’unione che è apoteosi di eleganza alleniana da East Coast, basti vedere le loro paparazzate perfette sui marciapiedi della Grande Mela, abiti minimalisti e stile chic metropolitano.

Ora che l’uscita del suo prossimo film – prodotto da Martin Scorsese e distribuito da Mubi, altro che Blockbuster – si avvicina, Lawrence torna al centro dell’attenzione. La Monica Vitti del Kentucky, che non sarà una musa di Antonioni, né una Adelaide Ciafrocchi di Scola, neppure una Assunta Patanè di Monicelli, ma sa inondare chi la guarda sia con dramma che con ironia, strabordando all’occorrenza, senza timore di passare per cringe.

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