Fabrizio Arena
Dal Nepal al Madagascar, l'urlo della generazione Z dietro le proteste globali
Domani, 3 ottobre 2025
«Non ci sono più i giovani di una volta», una frase appartenuta a ogni generazione nella storia dell’umanità. Ora è il turno della Gen Z, che sta dimostrando di essere davvero diversa dai suoi predecessori, ma in un modo diverso da quello che ci si aspettava: nessuno li ha visti arrivare. Dall’Indonesia al Nepal, passando per Filippine, Madagascar, Perù, Kenya e Marocco. Sono i giovani del sud globale a guidare le proteste che stanno facendo tremare i governi del mondo. Ad accomunarli è la rabbia nei confronti di un sistema che percepiscono come indifferente. Le richieste: basta con la corruzione, con le disuguaglianze sociali e con l’autoritarismo.
Gli scontri
In Nepal, le proteste sono scoppiate a inizio settembre quando il governo ha temporaneamente bloccato 26 social network in tutto il Paese. Questo, aggiunto al malcontento economico e alla corruzione generalizzata della classe politica, ha portato alla caduta del governo dopo cruenti scontri. In Asia gli hanno fatto eco Indonesia e Filippine dove si è protestato contro le prospettive economiche sempre peggiori e le riforme governative giudicate corrotte e autoritarie. C’è poi il Marocco con i GenZ212 per le strade delle principali città contro il costo della vita troppo alto e le pessime condizioni del servizio sanitario nazionale. Anche il Madagascar si è accesso a causa dell’ennesimo scandalo che ha travolto la classe dirigente. Dopo violenti scontri il presidente ha sciolto il governo. Prima di loro i giovani kenioti avevano già infiammato le vie di Nairobi. Infine, in Sud America si è accesa la fiamma dei giovani che in Perù hanno invaso le strade di Lima contro la leader Dina Boluarte. Si potrebbero anche aggiungere le proteste nelle piazze italiane a favore della Palestina e quelle antigovernative in Francia dopo la caduta del governo Bayrou. Ancor prima i ragazzi serbi che da quasi un anno protestano accusando il governo di corruzione e della strage per il crollo di una tettoia alla stazione di Novi Sad.
Una generazione resiliente
I Gen Z, nati tra il 1997 e il 2012, sono stati spesso descritti come molli e disimpegnati, ma è da tempo in realtà che stanno mostrando al mondo un altro volto. Sono giovani nati sullo sfondo della recessione economica del 2008, entrati nell’età adulta durante la pandemia di Covid-19 e, nonostante siano più istruiti dei loro predecessori, fronteggiano alti tassi di disoccupazione e instabilità economica. A differenza dei Millenials, i Gen Z non hanno assorbito passivamente le difficoltà sociali ma mostrano una partecipazione attiva più interessata. Giovani più resilienti, meglio disposti ai cambiamenti e più sensibili a questioni etiche e climatiche. Sono una delle generazioni, ad esempio, che partecipa maggiormente al crowdfunding, più che donare cercano coinvolgimento. Sulla piattaforma Rete del Dono circa un fundraiser su tre appartiene proprio alla Gen Z.
Social media e nessun leader
I social media non sono il capriccio di una generazione viziata, ma uno strumento innovativo grazie a cui le manifestazioni sembrano più difficili da arginare che in passato. Grazie ai social e ai suoi simboli la Gen Z trasforma l’indignazione spontanea in una protesta organizzata nell’arco di poche ore, prima che si possa intervenire. Internet garantisce un accesso comune a informazioni per organizzarsi e mobilitarsi rapidamente. Tra le piatteforme più usate ci sono Tik Tok, Telegram e Discord, app su cui i giovani nepalesi hanno anche indetto votazioni popolari per eleggere, riuscendo, una guida per il governo di transizione.
I gruppi di manifestanti che nascono sono così senza un leader ed è qui che risiede la loro forza. Senza una guida chiara, i movimenti di protesta diventano paradossalmente più stabili anche se fluidi, perché non c’è una testa al vertice da tagliare o arrestare senza cui il gruppo collasserebbe. La Gen Z sta ridefinendo il concetto di leadership, non intendendola più come figura apicale e carismatica, ma orizzontale e soprattutto collettiva. Un’arma che, va detto, può ritorcersi però contro gli stessi manifestanti. L’assenza di una guida, infatti, da un lato aiuta a eludere la repressione ma dall’altro, una volta eliminato lo status quo, ostacola il processo decisionale a lungo termine.
Simbolismo
La Gen Z si serve anche di codici culturali contemporanei che le generazioni precedenti faticano a comprendere. La lotta si esprime con tocchi di colore: video, meme o sticker online. C’è un simbolo in particolare che è diventato l’emblema delle manifestazioni, il Jolly Roger della serie anime One Piece. È un teschio stilizzato, sorridente e con due ossa incrociate, in testa porta un cappello di paglia. I pirati che nella serie lo utilizzano hanno lo scopo di combattere il regime del Governo mondiale e lottare per la libertà. Un simbolo a prima vista semplice, goliardico, ma che ha conquistato le piazze del Nepal per poi diffondersi nelle proteste dei giovani di tutto il mondo.
Oltre ai simboli e prima delle lotte antigovernative di settembre, sono stati gli hashtag a diventare simbolo di protesta. Dal #metoo contro gli abusi sessuali, al #blacklivesmatter per la violenza della polizia statunitense contro gli afroamericani, fino a #mahsamini, ragazza curdo-iraniana uccisa dal regime per colpa del velo. Tutte semplici parole che però sono diventate slogan di grandi manifestazioni. L’ultimo è l'hashtag #SEAblings, un gioco di parole che significa fratelli nel Sud-est asiatico.
Slacktivismo
Ma si tratta di vero attivismo social o di slacktivismo? Il termine è composto dalla parola slack, ovvero pigro o fannullone, e activism, attivismo. Già negli anni Novanta era usato per descrivere come inutile e limitato il contributo che le nuove generazioni avrebbero potuto dare alla società. Spesso questo coincideva con la scelta di battaglie sociali considerate minori o di scarsa risonanza. Con lo sviluppo dei social tante delle attività compiute online sono state tacciate di slacktivismo. Un like a una foto, il commento a un post o ricondividere un contenuto: atti considerati inutili e senza un vero impatto sulla comunità reale.
Le rivoluzioni sociali nel sud globale stanno dimostrando il contrario, perché è proprio grazie alla condivisione via social che piccoli gruppi di protesta diventano fiumi di persone capaci di rovesciare un governo. «Ogni volta che si verifica un cambiamento sostanziale nella tecnologia, si verifica necessariamente un adattamento a quella nuova tecnologia, che si manifesta sotto forma di cambiamento sociale», spiega a Sky Roberta Katz, professoressa di antropologia all’Università di Stanford.
Piazze piene ma pochi cambiamenti
Le proteste di massa spontanee, nate e organizzate tramite i social e senza leader formali, sono il nuovo modo di manifestare. Funzionano ma troppo spesso lasciano il vuoto dietro di sé. Mosse da rabbia, indignazione e disorientamento, difficilmente riescono a trasformare alla radice la società. Da una ricerca condotta nel 2022 dalla Carnegie endowment for international peace (Ceip), emerge che tra il 2006 e il 2020 le grandi proteste di massa nel mondo sono triplicate. Allo stesso tempo però l’ottenimento anche delle più minime richieste è ai minimi storici.
In effetti, sono poche le proteste digitali che si sono tradotte in cambiamenti reali sul lungo periodo. «[I social media] per loro natura non sono progettati per un cambiamento a lungo termine» spiega a Bbc il dottor Steven Feldstein, ricercatore senior del Ceip. «È necessario che le persone elaborino strategie politiche valide, non che si limitino a una strategia a somma zero e a bruciare tutto». In un mondo come quello di oggi in cui basta un post dalla propria stanza per scatenare una rivolta, ciò che viene a mancare è una forza solida e stabile che sia radicata alle spalle delle manifestazioni. Nell’era pre-social portare migliaia di persone in piazza era il punto finale di un movimento più ampio. Oggi, è solo il momento inziale di uno spostamento sociale che non si sa dove possa arrivare.
https://www.rainews.it/articoli/2025/09/che-cosa-succede-in-nepal-la-rivolta-della-generazione-z-e-il-ruolo-dei-social-5bf1cb4c-c402-4635-a3a0-aef49a2f1aef.html

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