Elena Stancanelli
US-Open, derby Sinner-Musetti: perché tifo per Lorenzo
la Repubblica, 3 settembre 2025
Lorenzo Musetti ha 23 anni, un figlio e un altro in arrivo, un volto che sembra uscito da un film anni 30 e gioca il rovescio a una mano. Lorenzo Musetti è il numero 10 del mondo, il suo tennis è elegante, sorprendente e ha una natura sospesa, quasi sognante, ma non per questo meno efficace. Per tutte queste ragioni viene considerato un tennista di un altro tempo, quello di Federer ma persino di Edberg. Il tennis giocato dai poeti, come diceva Carmelo Bene. Ma non è una questione di epoca storica, di innovatori nostalgici. Lo sport è quell’attività umana per cui al termine di una gara si vince o si perde. Giusto. Ma prima del risultato c’è, appunto, una gara. Particolare nient’affatto trascurabile. Ci sono giocatori programmati, come robot guidati da un’intelligenza artificiale, per ottenere a tutti i costi il risultato. Proprio come quelle automobili a guida autonoma che scelgono di investire un bambino per evitare un ostacolo più grande. Corpi e menti addestrati alla perfezione per trasformare ogni colpo in un punto, senza pensare ad altro che all’esito finale. Guardando giocare quei giocatori lì, il nostro divertimento sta tutto in quella parte del cervello che secerne adrenalina. Godiamo del fatto che quel giocatore lì non sbaglia mai, e anche stavolta, nonostante tutto, vincerà. E questo ci eccita, ci fa sentire potenti, dalla parte del trionfatore. Ci sono poi altri giocatori che, mentre vincono, regalano allo spettatore uno spettacolo diverso. Sembra sprezzatura, ma è solo bellezza. La bellezza rotonda del gesto che ci farebbe venir voglia non tanto di stringere il pugno verso il cielo gridando ma di toglierci il cappello e sventolarlo, se portassimo ancora un cappello. Di guardare e riguardare quel punto chiedendoci come ha fatto. In quei momenti, che David Foster Wallace chiamava “momenti Federer”, il tempo si ferma, come in un cartone animato, e in campo succede qualcosa che non risponde alle leggi del movimento ma a quelle del soprannaturale. Non la forza bruta, ma la grazia precisa, non la bomba atomica ma il fioretto. Ci sono giocatori che somigliano a Terminator, il cyborg programmato per uccidere, e nessuno di noi vorrebbe averli come avversari. Altri che sembrano invece D’Artagnan, per come manovrano la racchetta ma anche per il modo in cui ti aspetti che alla fine si inchinino per ringraziare il pubblico. Non si tratta di scegliere tra il passato o il futuro, ma tra un killer e un moschettiere. Io sto sempre dalla parte dei moschettieri.

Amo il tennis da sempre. Questo articolo coglie il senso profondo di uno sport che sa ancora essere romantico. Questa giornalista conosce la poesia che il gesto sportivo può esprimere. Grazie Giovanni che l’ha pubblicato
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