domenica 28 settembre 2025

Dario Fo a Canelli

Giuliano Giovine
Quando mio padre portò Dario Fo a sgraffignare ciliegie

Astigiani, settembre 2025, n°52

Andé a la maròda * era un rito monellesco assai diffuso nelle campagne piemontesi, fino agli anni '60 e '70. Consisteva nell'intrufolarsi, con il favore delle tenebre, in terreni altrui per banchettare con frutta varia (dalle ciliegie alle mele, dalle pere all'uva). La banda era solitamente composta da ragazzini adolescenti ma a volte c'era anche qualche giovanotto maggiorenne. Una regola condivisa e scupolosamente rispettata era che nessuna quantità di frutta doveva essere asportata. Si consumava sul posto, senza esagerare nell'abbuffarsi. Il piacere era soprattutto nel farla franca. La maroda era un rito di trasgressione contadina: si provava l'emozione di superare un divieto, oltrepassare un limite, infrangere una norma. A turno, uno dei partecipanti faceva il palo. Al primo segnale di un movimento sospetto o dell'abbaiare di un cane, scattava l'allarme e la fuga era precipitosa, con il cuore in gola. Si rischiava qualche ceffone o calcio nel sedere da parte del contadino danneggiato. Un rischio accettabile che faceva parte del gioco e contribuiva ad alimentare il fascino della birichinata. Un particolare importante: dalle mie parti, a Canelli, il terreno prescelto per la maroda doveva presentare un certo coefficiente di difficoltà. Non c'era gusto a vincere facile.

Questa premessa è necessaria per introdurre il protagonista del ricordo. Nel 1972 l'attore Dario Fo, futuro premio Nobel, accompagnato da Franca Rame, venne a Canelli a presentare, alla Casa del Popolo, una delle sue più famose e riuscite rappresentazioni teatrali: Morte accidentale di un anarchico, dedicata a Giuseppe Pinelli accusato ingiustamente della strage di piazza Fontana del 1969. Dopo lo spettacolo gli artisti erano ospitati, per una settimana, dall'indimenticato e indimenticabile Pierino Testore**, segretario del PCI di Canelli, nella regione dei Caffi, frazione di Cassinasco, amena località collinare dove Pierino gestiva un ristorante-pizzeria. Ai Caffi abitava mio padre Giovanni (classe 1925), di mestiere era muratore, un passato da partigiano nei Maquis in Francia. Mio padre amava la vita e la buona compagnia. Con Pierino erano grandi amici e l'arrivo di Dario Fo e Franca Rame ai Caffi andava festeggiato. La compagna di mio padre era cuoca nel ristorante di Testore. Tra mio padre e Dario Fo scattò subito la scintilla di una simpatia reciproca, istintiva e naturale. Fin dal primo giorno, mio padre portò Dario Fo a visitare i dintorni della campagna con i suoi vigneti e i suoi alberi di frutta. Dario Fo, ammirato dai frutteti, commentò: "Certo che qui la frutta non manca e deve essere sicuramente buona!". Al che mio padre, incautamente, rispose: "Certamente, per essere buona è buona. Ma non è buona come quella che ho mangiato da ragazzino quando andavo alla maroda!". Dario Fo incuriosito chiese informazioni sul significato dell'andare alla maroda. Mio padre gli spiegò che consisteva nell'andare di nascosto, nottetempo, a mangiare la frutta o l'uva senza farsi scoprire dai contadini proprietari, perchè la cosa poteva essere rischiosa. Dario Fo non disse nulla, limitandosi a sorridere. Ma verso l'una del mattino, mio padre fu svegliato dal ticchettio sulla finestra al primo piano dove dormiva. Aprì la finestra, Dario Fo, infervorato, gli disse: "Dai, Giovanni, vestiti che andiamo alla maroda". Mio padre non ebbe esitazioni. E così per i giorni che Dario Fo rimase ai Caffi la maroda fu praticata, ogni sera in un posto diverso, con grande divertimento di Dario Fo: "Hai ragione, Giovanni, la frutta della maroda è più buona, più saporita". Quelle scorribande da ragazzini divertivano molto il futuro premio Nobel che, a quel tempo, di anni ne aveva già 46. Mio padre si strappò un paio di pantaloni per superare del filo spinato e, per questo, fu redarguito severamente in famiglia; ebbe anche qualche problema intestinale causato da una indigestione di frutta. Di questa straordinaria amicizia non sono purtoppo rimaste fotografie, ma il ricordo di mio padre era preciso e divertito. Quando mi raccontò la vicenda ridendo disse: "Che mattacchione Dario Fo! Peccato che sia stato qui ai Caffi solo pochi giorni".

Giovanni Giovine è il terzo da sinistra in primo piano

maraude, s.f., furto m., rapina, razzia, ruberia (di prodotti agricoli o pollame nei campi): aller à la maraude andare a fare razzia.
Maraudeur, 
s.m. (f. -deuse), (voleur) ladro, ladruncolo (di prodotti agricoli o pollame nei campi).
Georges Moustaki, Le métèque
Avec ma gueule de métèque
De Juif errant, de pâtre grec
Et mes cheveux aux quatre vents
Avec mes yeux tout délavés
Qui me donnent l'air de rêver
Moi qui ne rêve plus souvent
Avec mes mains de maraudeur
De musicien et de rôdeur
Qui ont pillé tant de jardins


** La vita di Pierino Testore, partigiano, dirigente comunista, sindaco di Canelli, è stata ricordata dal figlio Franco su Astigiani, dicembre 2022. numero 41.

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