giovedì 25 settembre 2025

Che cosa propone Trump ora


Marta Dassù
Ucraina: le giravolte di Trump

la Repubblica, 25 settembre 2025

Vedremo quanto durerà questa volta. Ma è importante sottolineare che Donald Trump ha cambiato posizione sull’Ucraina. Da New York ha scritto su Truth, il suo social media, che dopo avere studiato e capito meglio la situazione sul campo, ritiene che l’Ucraina sia in posizione di combattere e di recuperare i propri territori; mentre la Russia, che ha condotto per tre anni una guerra senza senso, sembra una “tigre di carta”, una falsa potenza.

Le parti si invertono, nella visione di Trump. Per mesi, il presidente americano aveva sostenuto che l’Ucraina non aveva in mano “ le carte” e che quindi le conveniva cercare un compromesso territoriale con una Russia molto più forte in termini relativi. Oggi (ma vedremo appunto quanto durerà) scrive che la Russia ha un “grande problema economico” e che Kiev, grazie anche a un morale straordinario, potrebbe essere in grado di recuperare terreno. L’implicazione, per la Casa Bianca, è che un conflitto che il presidente americano pretendeva di potere risolvere in tempi rapidi, durerà nel tempo. Questa, del resto, è anche la valutazione dell’intelligence europea. Come ha appena scritto lo storico britannico Lawrence Freedman, l’unica risposta onesta alla domanda su quando finirà la guerra russo-ucraina è che non lo sappiamo.

Questa lettura radicalmente rivista non è d’altra parte destinata a produrre un cambiamento di fondo della politica americana. Trump continua a dire, e lo ha fatto anche nel post di Truth, che l’Ucraina dovrà essere aiutata dagli europei. L’America-first non è più disposta a sostenere nuovi oneri. Venderà le sue armi alla parte europea della Nato, che poi le destinerà alla difesa di Kiev e a rafforzare la deterrenza su un fronte orientale ormai esposto alle provocazioni di Mosca. Si aggiungono implicazioni economiche importanti. Come ha detto nel suo lungo e controverso discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, Trump ritiene una follia che gli europei non abbiano ancora interrotto completamente le acquisizione di gas e petrolio dalla Russia. Così facendo ne sostengono l’economia di guerra, che sarebbe invece il principale punto debole di Putin.

Sappiamo benissimo che la Casa Bianca usa questo argomento e insieme l’invito a sanzionare gli acquisti a basso prezzo di gas e petrolio russi da parte di Cina e India, per ritardare le proprie decisioni in materia di sanzioni economiche a Mosca; per premere sull’Ue come competitore commerciale; e per consolidare i suoi vantaggi potenziali: nuovi acquisti di armi e di gas liquido naturale americano da parte europea. Resta il fatto che l’Europa deve effettivamente muoversi più in fretta sulla riduzione (già largamente avvenuta ma ancora parziale e con eccezioni) delle forniture energetiche della Russia.

Si può aggiungere che l’America sembra favorevole (ma ha interessi in gioco molto minori) a uno dei passi che l’Europa esita a compiere: un meccanismo che permetta di destinare all’Ucraina gli interessi maturati sulle riserve finanziarie russe senza minare la credibilità dei depositi in euro. Lo schema di un “reparation loan” che lo renda possibile è per ora sulla carta; dovrebbe diventare oggetto di una prossima decisione del G7.

In sostanza: il presidente americano conferma che non aiuterà più direttamente l’Ucraina, non è la “mia” guerra ha detto varie volte e devono occuparsene gli europei, a cui l’America venderà armi. Ritiene che la componente economica del conflitto sia decisiva e che Mosca possa essere messa in ginocchio facendo leva sui costi e le forniture dell’energia, in sostanza su sanzioni pagate dagli europei. Trump, per un giorno almeno, cambia invece radicalmente la sua lettura dell’equilibrio delle forze. Per gli europei quest’ultimo è comunque un fatto positivo.

L’Ucraina, abbastanza secondaria per un’America che guarda in casa e guarda altrove, è diventata per la maggior parte dei governi europei la prima linea di difesa della sicurezza continentale. Va quindi protetta e aiutata, prendendo peraltro atto che l’esercito ucraino è nel frattempo diventato uno dei più innovativi e moderni in Europa. Sostenerlo è nei nostri stessi interessi. Il tentativo del Cremlino, che vede ormai nell’Europa il principale nemico del vecchio Occidente, è di indebolire questa posizione, giocando sulla paura della guerra, le oscillazioni dell’opinione pubblica, i costi del sostegno a Kiev e sull’esistenza di partiti politici che non saranno apertamente filo-russi ma ritengono che convenga trattare con Mosca, accettando di fatto una pax russa in Ucraina.

La pressione russa sull’Europa è fatta di provocazioni militari e di azioni ibride. È anche una battaglia di narrative: nel momento in cui diciamo che l’Ucraina ha già perso o che la Russia ha già vinto, facciamo un passo verso questo scenario. Per questo il cambiamento di lettura di Trump, sperando che duri, è rilevante: toglie spazio all’idea che convenga un compromesso con Mosca alle condizioni russe e che un’opzione del genere sia attivamente appoggiata da Washington. Vedremo. La storia insegna, intanto, i costi passati di scelte del genere: nuovi conflitti e crisi interna delle democrazie.

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