domenica 7 settembre 2025

Il ribelle sfuggente

Giampiero Moretti
Ordinario di Critica letteraria
Jünger, la rivoluzione conservatrice di un gran ribelle
il manifesto, 7 settembre 2025

Compito arduo, quello di scrivere una biografia di Ernst Jünger (1895-1998), e per varie ragioni, tutte molto fondate. Un’esistenza lunghissima e ricchissima, vissuta quasi sempre in prima linea, espressione giustificata per lui come per quant’altri mai, e ciò anche quando il desiderio era magari invece quello di starsene in disparte a scrivere; un carattere e un temperamento così poliedrici da riunire nella stessa personalità aspetti inconciliabili, perfino inaccostabili, in altri esseri umani. Soprattutto, però, l’impossibile esito di una reductio ad unum della sua opera, l’enorme difficoltà di rintracciarvi un filo che, nel corso dei decenni, consenta ai suoi lettori, e a chi ne ha studiato il pensiero, di ricostruire un percorso unitario, in graduale ma progressivo sviluppo, come invece accade quasi sempre. La decisione di Gabriele Guerra, perciò, di dedicare a questa figura una monografia intitolata in modo scarno Ernst Jünger, con l’aggiunta del sottotitolo Una biografia letteraria e politica (Carocci editore «Frecce», pp. 290, euro 29,00), va dunque considerata come un atto di vero e proprio coraggio intellettuale.

Va subito aggiunto che il suo tentativo è da ritenersi riuscito: Guerra offre infatti un testo estremamente documentato, denso inoltre di riferimenti a studiosi di Jünger, che di volta in volta vengono chiamati a esprimersi a sostegno o in divergenza rispetto alle considerazioni dell’autore, tenendo anche presente che l’Italia, come peraltro già accaduto con Heidegger e Schmitt, si è rivelata terreno estremamente fecondo per il confronto con autori del genere. Articolato in sei capitoli che seguono cronologicamente le tappe e lo sviluppo dello scrittore, il libro dichiara fin dalla prima pagina di voler «indagare sulla scorta della parabola intellettuale, politica e letteraria insieme di Ernst Jünger (o, il che è lo stesso, esaminare da vicino Jünger per capire la natura di tale secolo)». Se allora, come si ricava una volta di più dalla lettura di questo testo, trattasi di figura irriducibile a un’unica prospettiva interpretativa, ne consegue che il Novecento stesso dovrebbe esserlo, e per il medesimo (e ancora una volta non unitario) motivo: la molteplicità esplosiva del personaggio Jünger rispecchia nei fatti l’impossibilità di assegnare al Novecento un’unica cifra di lettura, a meno che, e lo ricaviamo sempre dalle pagine di Guerra, non si voglia ritenere in qualche misura «unitaria» la cifra della ribellione.

A ben pensarci, in effetti, è possibile considerare la ribellione in Jünger, oltre che come gesto altamente dimostrativo, anche come complesso fenomeno spirituale, ed è questo che Guerra sembra invitarci a fare, nella misura in cui, ad esempio, il discorso sul Novecento non può non ricomprendere almeno uno dei grandi ispiratori dello stesso Jünger: Nietzsche. Se consideriamo infatti il pensiero di Nietzsche come l’orizzonte spirituale che con la sua dirompente opera «certifica» che ogni posizione (e controposizione) storica, posta su di un piano dialettico, non è più in grado di sfociare in una sintesi, o quanto meno di dar vita a una qualsivoglia composizione, ecco che la cifra della ribellione, che appare riunire in sé «il» tratto jüngeriano quanto meno più efficace, sembra infine, e paradossalmente, prender forma come il potenziale, complessivo orizzonte di senso del Novecento. Ribellione contro la modernità, la borghesia, la filosofia e la letteratura tradizionalmente intese, in Jünger non si traducono tuttavia mai, in nessun campo, in proposte o modelli alternativi, ma prendono la forma di ciò che, nell’istante in cui il Gran Ribelle frequenta l’ambito dello scontro, egli stesso (e soltanto lui) sperimenta.

Ribellione equivale a un continuo scarto compiuto da Jünger: non farsi mai trovare, né essere trovato, lì dove ci si aspetterebbe di trovarlo, assieme al «suo» Novecento. Come è chiaro, il biografo e lo storico che sono in lui debbono dunque impegnarsi molto per non cadere nelle ovvietà di una ricostruzione che, appena conclusa, si rivela immediatamente superata. Ecco perché, sempre all’inizio (p. 15), Guerra sceglie di indirizzare il focus del discorso interpretativo non tanto sul Novecento in sé, quanto sul Novecento tedesco, di cui per l’appunto Jünger risulterebbe la cifra; e ciò ancor più se l’analisi biografico-letteraria viene non tanto limitata alla prima metà del secolo (come detto, Jünger muore nel 1998), quanto piuttosto presa in esame nel suo essere il carburante spirituale della ribellione, che nell’immediato dopoguerra assume forma diversa. Dagli anni cinquanta lo sguardo del Gran Ribelle sul secolo si fa infatti più distaccato, non per l’avanzare dell’età ma per una sorta di malinconia consapevole dei limiti che la ribellione aveva sperimentato.

Quest’analisi può peraltro aiutare a comprendere per quale motivo Guerra riporti gli inizi della vita di Jünger sotto il segno dell’avventura, forma che la ribellione del giovane tinge di mille colori: quelli dell’Africa, in cui egli fugge dalla noiosissima e ai suoi occhi improduttiva scuola, fino alle trincee della Prima Guerra Mondiale, cui egli partecipa come volontario, e inizia a scriverne con una regolarità capace di trasformare gli appunti dei suoi personalissimi Erlebnisse in narrazioni nelle quali migliaia di giovani si ritroveranno. La consapevolezza via via sempre maggiore di rappresentare un gran numero di individui che si rifiutano però di farsi «massa», spingerà Jünger a impegnarsi nel marasma politico-letterario che, dalla tragica conclusione della guerra, sfocia direttamente nella Repubblica di Weimar e nel suo fallimento. Scrive lucidamente Guerra: «per ciò che è al centro di questo volume, si può dire dunque che la Rivoluzione Conservatrice di Jünger abbia agito nella sua formazione politico-culturale un po’ come (…) una presa di posizione strettamente politica intorno al problema del potere e del suo rapporto con la letteratura e il letterato» (p. 46). La questione della cosiddetta Rivoluzione Conservatrice, com’è ormai noto da tempo grazie ai molti testi e studi che le sono stati dedicati, è complicatissima e controversa, proprio come, non a caso, il personaggio Jünger. Il quale, e sempre non casualmente, riesce da Gran Ribelle a non farsi trovare né fra i conservatori né tra i rivoluzionari, poiché l’habitus dello scarto rispetto a ciò che storicamente accade egli ormai lo vive e pratica con maestria.

A questo habitus Jünger deve l’essere stato in grado di percorrere il sottilissimo filo che separa la compromissione con il nazional-bolscevismo e con il nazional-socialismo, senza appunto essersi mai «fatto trovare» sul luogo del misfatto. Un’abilità eccezionale, casomai, anche se non sempre, rinvenibile nella sua scrittura, la quale, pur nella sua inevitabile sfuggevolezza, dovendo pur in qualche modo, narrando, comunicare, non poteva esimersi completamente dal farsi «trovare» in qualche luogo: luogo che individuiamo nell’esperienza del lettore, che, non va dimenticato, non è però mai quella di Jünger scrittore!

Avvicinamento e successivo scarto, che non è presa di distanza ma esercizio, pratica di una differenza rivendicata dal Gran Ribelle rimasto pur sempre tale per tutta la vita, sono i momenti magici, testimoniati di volta in volta nella sua limpida scrittura, grazie ai quali Jünger ha coltivato le sue vicinanze: con Heidegger, con Schmitt, con Eliade, per fare soltanto esempi di nomi ben noti e cui Guerra dedica sempre pagine chiarificatrici e molto attente; unica eccezione, forse, il fratello amato, Friedrich Georg, al quale è possibile dire che lo Jünger scrittore e uomo sia stato davvero vicino, in una condivisione silenziosa e sostanziale di quell’invisibile che ha sempre guidato entrambi.

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