Bianca Senatore
Sotto le bombe israeliane e sfruttati da Hamas, il destino degli orfani tra le macerie di Gaza
Domani, 29 settembre 2025
Kamal e Fawzi vagano come zombi tra le tende e poi si allontanano dal campo profughi per addentrarsi in un labirinto di macerie, in quello che una volta era un quartiere. Sono sempre insieme, nessuno può toccarli e se qualcuno cerca di avvicinarli, reagiscono aggressivamente. «Sono sempre in allerta, quasi non sbattono le palpebre». A raccontarlo è Rana Quffa, insegnante e direttrice di un centro per l’infanzia a Khan Yunis, distrutto dalle bombe ormai quasi due anni fa. È lei, in questi giorni ad occuparsi, dei fratellini Hassouna, rimasti soli al mondo dopo che la loro famiglia è stata uccisa da un raid.
«Li abbiamo trovati ai confini del campo di Nuseirat rannicchiati sotto le macerie di una casa – spiega Rana – ed è stato difficilissimo farli venir fuori dal loro rifugio. Oggi, a una settimana di distanza, sono ancora sotto shock e rifiutano qualsiasi forma di contatto». Ci vorrebbe una terapia post traumatica, servirebbe un luogo sicuro e uno psicologo specializzato, ma in questo momento a Gaza c’è solo orrore.
Infanzia abbandonata
Eppure, sono tantissimi i bambini della Striscia che dovrebbero essere seguiti dagli specialisti e ci vorrebbero anche tantissimi assistenti sociali per occuparsi delle migliaia di orfani che ci sono. Perché Kamal e Fawzi sono solo due dei bambini le cui famiglie sono stata uccise durante la guerra e che ora non hanno più nessuno ad occuparsi di loro.
«Non abbiamo più accesso alle nostre banche dati – spiega Rana Quffa – ma possiamo dire di non essere tanto in errore se affermiamo che sono oltre 18mila i minori di 18 anni rimasti orfani dal 7 ottobre e di questi, molti non sono neanche assistiti da qualcuno». Prima dell’inizio di questa guerra, infatti, c’erano molte istituzioni che si occupavano di infanzia, ma negli ultimi due anni la maggior parte delle organizzazioni si è dissolta. «Quei pochi di noi che ancora riescono a fare qualcosa – dice sempre Rana – non possono allontanarsi dalla propria zona e quindi, il raggio d’azione è molto limitato. Io e il mio gruppetto abbiamo “adottato” Fawzi e Kamal e un’altra decina di bimbi nel campo di Nuseirat, ma altrove?».
Nel cuore del vecchio campo profughi, dove un gruppo di gazawi non ha mai lasciato definitivamente la propria casa, Rana e i suoi amici hanno creato una nuova associazione, una sorta di rete d’emergenza per i bambini orfani. «Non è solo per dargli qualcosa da mangiare, ammesso che ci si riesca – racconta l’insegnante – ma è per calmarli, tranquillizzarli e tenerli d’occhio, perché i pericoli sono tanti, al di là delle bombe che cadono dal cielo».
Le fila di Hamas
Ad alcuni giornalisti, infatti, nelle ultime settimane era stato segnalato che c’era uno strano movimento di bambini piccoli in alcune zone del centro della Striscia, sempre nelle vicinanze di baracchini e postazioni improvvisate per vendere qualcosa. «A Gaza c’è caos ovunque – dice il giornalista Hassan Isdodi – ed è impossibile capire quali siano le relazioni tra le persone. Le famiglie si sono disfatte, perché non ci sono più spazi separati né intimità, eppure si capiva che c’era qualcosa e allora abbiamo iniziato a fare qualche domanda».
E così, è venuto fuori che molti dei bimbi rimasti soli vengono “adottati” da qualcuno solo per fargli fare lavori pesanti, come andare a prendere l’acqua, intrufolarsi nelle folle per racimolare cibo o infilarsi sotto le macerie alla ricerca di qualcosa da usare o rivendere. Tutto ciò dimostra che, come in tutti i contesti di guerra, anche a Gaza il rischio che questi bimbi rimasti soli diventino preda facile di malintenzionati è altissimo.
Piccoli schiavi, come hanno verificato i giornalisti, oggetti di attenzioni inappropriate o, come hanno ipotizzato ancora i giornalisti di Gaza, agnelli sacrificali per Hamas. «Si dice che i jihadisti abbiano puntato proprio sugli orfani per rinfoltire le proprie fila», spiega Isdodi. «Gli danno da mangiare, li portano al sicuro nei tunnel e poi incanalano la rabbia per la morte dei genitori nell’uso delle armi. Gli insegnano a combattere e poi li mandano al macello». Non ci sono fonti ufficiali, per ora, su questo; è una voce che circola a Gaza, ma potrebbe essere credibile.
Ci crede, per esempio, Rana Quffa che vorrebbe prendere un’auto e pattugliare la Striscia da nord a sud per salvare quanti più minori possibile, ma non può. Sia perché si è ammalata e non ha medicine per curarsi, sia perché non ha più la macchina, sia perché ormai vagare per Gaza è diventato impossibile. L’Idf, infatti, controlla oltre il 50 per centro del territorio e di questa percentuale, buona parte è zona militarizzata. «I bambini rischiano di diventare i nuovi combattenti di Hamas – dice Rana – è una strategia che Hamas ha già usato in passato». E lei sta cercando di evitarlo, insieme alla sua rete di amici e sostenitori.
La macchina degli aiuti
Lamia Abou Hammad faceva la maestra, ma aveva fatto dei corsi di formazione in psicologia e si occupava proprio del sostegno emotivo al Kotof El Khair, un’associazione per l’infanzia negata a Gaza. Dopo il 7 ottobre il gruppo ha continuato a lavorare, ma la guerra ha ucciso molti dei suoi operatori e ora non è rimasto più niente, nemmeno la loro sede. «Io sono viva, per ora – scherza Lamia – perciò posso aiutare Rana con la sua rete e aiutare questi bimbi». Lei abitava a Jabalia, ma è stata costretta a spostarsi e ora vive nei dintorni di Deir al Balah.
«La maggior parte dei bambini ha sintomi da stress post traumatico che si manifestano in modi differenti, come succede ad Afif e sua sorella Naima». Afif ha otto anni e ha un timpano perforato, perché la bomba che ha ucciso i suoi genitori è esplosa vicinissimo a lui. Non riesce a stare da solo, vuole che qualcuno gli tenga la mano in ogni momento. «È sempre congelato, anche se ci sono 30 gradi – spiega Lamia – e vuole starmi attaccato tutto il giorno. Sento che il suo ritmo cardiaco si sincronizza col mio e si calma». La sorellina di cinque anni, Naima, invece, non vuole coccole, non parla, non gioca, non interagisce e poi, all’improvviso, inizia a strillare e a tirarsi i capelli. «Si è fatta un buco sul lato della testa a furia di strapparsi le ciocche», dice ancora Lamia.
A lanciare l’allarme sui bambini orfani è, da molti mesi, anche l’Unicef. «Abbiamo denunciato tante volte la situazione dei bimbi rimasti soli a Gaza – racconta il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini – e fino a pochi mesi fa siamo riusciti a gestire la situazione. Per esempio, abbiamo cooperato per il ricongiungimento familiare, perché molti dei bambini che vagavano soli, in realtà erano sperduti: si erano persi mentre cercavano cibo o durante i traslochi o nelle fughe di massa». «E Unicef – dice ancora Iacomini – è riuscito a rintracciare i parenti».
Ma gli altri sono davvero rimasti soli. «Gli orfani rischiano di diventare schiavi, di esser coinvolti nel traffico d’organi e molte altre cose orribili. Per questo – dice ancora l’Unicef - noi chiediamo il cessate il fuoco e un intervento immediato per salvare tutti i bambini». Dopo gli ultimi bombardamenti, mentre ancora decine di droni ronzano nel cielo, Kamal e Fawzi tornano a vagare tra le macerie alla ricerca di qualcosa. Qualcosa che, forse, a Gaza non c’è più.

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