mercoledì 24 settembre 2025

Il linguaggio brutale dell'antipolitica

Diego Motta
Gli italiani sono sempre più insofferenti verso la comunicazione politica

Avvenire, 24 settembre 2025

Nell’era delle tribù social, la politica urlata rischia di diventare cattiva maestra veicolando discorsi d’odio e di inciviltà. La novità che emerge da una ricerca presentata ieri all’Università Cattolica di Milano è che cresce l’insofferenza dei cittadini per i leader che insultano, gridano e offendono, quasi si fosse a un punto di rottura.

È una presa di distanza che anche il sistema dell’informazione farebbe bene a tenere in considerazione, perché ciò che domanda l’opinione pubblica in tempi come questi sembra essere il dare conto della complessità del discorso pubblico, senza farsi trascinare da logiche di parte, studiate a tavolino dagli stessi esponenti di partito. Politica e giornalismo possono infatti fornire gli strumenti giusti per capire le cose o rappresentare al contrario una miscela impazzita, secondo gli esperti, destinata ad allontanare ancora di più la comprensione dei fenomeni sociali da parte dei cittadini.
«È accaduto lunedì anche con la mobilitazione per Gaza e l’ultimo sciopero generale, a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone, soprattutto giovani – sottolinea Giovanna Mascheroni, ordinaria di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università Cattolica, una delle curatrici della ricerca –. Mi domando perché, ad esempio, diversi tg e giornali hanno preferito parlare solo di scontri e guerriglia, quando in piazza era sceso invece un popolo in gran parte pacifico che chiedeva semplicemente pace e riconoscimento della Palestina».
Lo studio fotografa la pervasività di un linguaggio politico alla ricerca permanente degli effetti speciali, dell’audience a tutti i costi, della battuta spesso greve e squalificante e insieme analizza gli effetti sulla platea degli ascoltatori. Siamo soffocati dal turpiloquio dei politici o aspettiamo con ansia il prossimo show, magari a uso e consumo di fedelissimi follower? Osserviamo il clima da saloon che talvolta invade il Palazzo con spirito critico o ne assorbiamo la parte morbosa, facendoci lentamente contagiare dal virus del sarcasmo, dell’invettiva contro l’avversario, addirittura dell’odio? A questi interrogativi hanno provato a rispondere alcuni ricercatori della Cattolica, della Sapienza di Roma e dell’Università degli studi di Urbino, attraverso un questionario rivolto a un campione rappresentativo di 1.500 cittadini italiani e 53 interviste individuali a politici e giornalisti.
Il risultato emerso alla fine non è affatto scontato. Si sostiene infatti che più di tre italiani su quattro (il 76,6%) percepiscono un netto peggioramento dello stato delle cose per quanto riguarda l’inciviltà della politica, mentre il 73,6% è fortemente infastidito dal contesto da bar in cui si muove la comunicazione. È un fastidio che si registra a più livelli: per i disvalori che si trasmettono (con l’ostentata mancanza di rispetto per i principi democratici e il frequente uso della propaganda e della menzogna) per l’assenza del rispetto dell’altro (ridicolizzato e insultato) per lo scarso contegno istituzionale. Sono donne e over 65 a lamentare in particolare tutto questo, ma è merito soprattutto delle nuove generazioni aver scoperto la trama che unisce lo scadimento del dibattito pubblico alla ricerca del consenso facile.
«In America la chiamano fan politics, la politica da tifoseria, per cui si finisce per essere sostenitori a prescindere di un leader, qualunque cosa egli dica, piuttosto che interrogarsi sui valori che veicola» spiega Mascheroni. Arriva prima il legame di fiducia, frutto della personalizzazione mediatica, piuttosto che il confronto sui temi. Anzi, l’obiettivo di chi vuole mandare un messaggio politico è proprio quello di semplificare al massimo, con argomenti facili da comprendere. Così si creano le tifoserie, che sono minoranze forti e molto organizzate, dove prevale la lettura estrema rispetto alla mediazione, le bufale e le fake news piuttosto della verifica delle fonti. Attenzione: tutto questo, di fatto, è già diventato egemonia culturale, nel decennio populista, dove resiste una forte avversità per discorsi alternativi. Non a caso, chi punta a polarizzare l’elettorato nel dibattito pubblico cattura un sacco di voti. Divido e guadagno consenso, motivando chi mi supporta ed evitando di andare a convincere chi non la pensa come me: è questo ormai lo schema-base dell’aspirante leader politico. «Tutti sono intrappolati in questa logica, perché vince chi grida di più. E non da oggi». A essere particolarmente attratto da questo linguaggio è la componente degli uomini in giovane età, con forti sentimenti antipolitici, spiega la ricerca. Tutta colpa dei social, con il loro effetto moltiplicatore? Non più così tanto. A sorpresa, l’assuefazione all’uso dei social media e l’esposizione ad ambienti comunicativi digitali conta meno della scarsa fiducia nelle istituzioni e dell’ostentata voglia di antipolitica. Per il 16,7% degli italiani, infatti, l’inciviltà politica va giustificata quando è «comunicativamente efficace».
Sulla capacità di determinati leader, in particolare a destra, di arrivare con grande successo alla “pancia” dell’elettorato, nessun esperto nutre dei dubbi: funziona sia la spettacolarizzazione del discorso, sia l’ipersemplificazione dei messaggi, sia (come detto) il ricorso a falsificazioni utili ad assecondare il comune sentire della gente.
«La normalizzazione dell’inciviltà nel discorso pubblico si correla a quel processo di erosione dei valori democratici che molte democrazie liberali stanno vivendo in questi anni» riflette Sara Bentivegna, professoressa ordinaria di Comunicazione politica alla Sapienza, che ha partecipato al convegno in largo Gemelli. «Si tratta di un processo che non si traduce in un collasso improvviso della democrazia ma in un deterioramento progressivo delle norme che l’hanno tradizionalmente sostenuta».
Il fantasma della violenza politica, evocato anche in Italia, resta lontano, mentre negli Stati Uniti rimane di drammatica attualità. «Lo avvertono anche i nostri studenti, italiani e stranieri - continua Mascheroni -: nelle tesi che ci propongono vogliono riflettere su questi temi e sul ruolo dei media, dal conflitto israelo-palestinese alla radicalizzazione del movimento Maga in America». Ciò che ancora non avviene, in questo cambiamento di percezione, è il passaggio dalla protesta una tantum alla partecipazione tout court. Vale ancora in questo caso il cliché “piazze piene, urne vuote”, almeno sui giovanissimi, che non a caso hanno riempito negli ultimi tempi sia le strade dei cortei che il serbatoio dell’astensione.


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