Marco Iasevoli
Vince il governo, perdono Pd e M5s. L'astensione è sempre più una protesta
Avvenire, 30 settembre 2025
Dal punto di vista politico, il voto nelle Marche rispetta le previsioni della vigilia, con la vittoria netta del confermato Francesco Acquaroli (centrodestra) sul candidato del centrosinistra unito, Matteo Ricci. Sembra inoltre mettere un punto fermo nello scenario nazionale: inoltrati nella fase finale della legislatura, le forze di governo tengono e non pagano lo scotto di sedere a Palazzo Chigi, mentre il "campo largo" formato da Pd-M5s-Avs-riformisti fa i conti con il fatto che non basta un'addizione per creare un vero "popolo", per convincere gli indecisi e strappare una Regione agli avversari. Ovviamente le prossime tappe elettorali - nell'ordine Calabria, Toscana e poi, il 23-24 novembre, Puglia, Campania e Veneto - potranno rafforzare o indebolire questa ipotesi di lavoro, al netto delle variabili territoriali.
Altrettanto atteso, ma non per questo assorbibile senza patemi, è l'ennesimo picco dell'astensionismo. Un marchigiano su due è rimasto a casa. Al di là della retorica e dei moniti che spesso accompagnano la scarsa affluenza, la sensazione è che l'astensione si stia trasformando da veicolo dell'indifferenza a veicolo di una vera e propria protesta. I due campi somigliano sempre più a minoranze chiassose, entrambe incapace di coinvolgere persone e di animare passioni. Più del 50% dei marchigiani - ed è prevedibile che accada anche nelle prossime Regioni al voto - ritiene che i due principali candidati e le liste a loro sostegno non esprimevano alcuna progettualità, né alcuna risposta alle loro esigenze. Nulla che motivasse il gesto di andare alle urne. Ne consegue che i bottini elettorali delle coalizioni e dei partiti diventano sempre più la somma aritmetica di potentati locali.
In questo scenario l'astensione, pratica che in ogni modo andrebbe contrastata, sempre più si va trasformando in uno strumento "difensivo" e "offensivo", con cui i cittadini denunciano proposte politiche e partitiche quasi sfacciate nel definire a tavolino persino chi sarà eletto, prima ancora che si aprano le urne.
Banalmente, se il 50% dei cittadini non vota vuol dire che l'offerta politica è insufficiente. E lo è ancora di più considerando che i partiti dei due poli hanno avuto più e più anni per allargare il proprio bacino, evidentemente senza successo. Restano tutti fermi lì nella loro "comfort zone". Senz'altro è vero che i motivi sono vari e profondi, e intrecciano anche la dimensione culturale ed etica oltre quella strettamente politica. Tuttavia, la ritrosia di leader e forze politiche a rivedere i sistemi elettorali nella direzione di una maggiore rappresentanza indica il timore che nuove regole per il voto potrebbero minare le attuali rendite di posizione. Il prezzo però è lo scivolamento verso una democrazia sempre meno suffragata dalla volontà popolare, e non è ciò che serve per affrontare le grandi sfide interne e internazionali. In questa tensione tra l'insoddisfazione massiva degli astenuti e le mura che sta costruendo intorno a sé l'attuale bipolarismo non si gioca solo la partita del cosiddetto "centro", ma anche quella del coinvolgimento delle nuove e nuovissime generazioni nella grande sfida della democrazia.

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