domenica 28 settembre 2025

Infermieri in fuga


Francescapaola Iannaccone
Infermieri cercasi tra carriere bloccate e turni massacranti: la fuga dagli ospedali impoverisce la sanità

Domani, 28 settembre 2025

Negli ospedali italiani mancano gli infermieri. Non è un fenomeno improvviso, ma un logoramento che affonda le radici ben prima della pandemia. La professione, colonna portante della sanità pubblica, è sempre meno attrattiva: turni massacranti, carriere bloccate e stipendi tra i più bassi d’Europa hanno reso difficile trovare chi scelga di indossare il camice.

La conferma arriva dai dati universitari: nel 2025, per la prima volta, i posti messi a bando per Scienze infermieristiche superano le domande di iscrizione, con un calo dell’11 per cento rispetto al 2024. «È un dato che ci preoccupa, anche se previsto – spiega Daniel Pedrotti, vicepresidente Commissione albo infermieri della Federazione Nazionale Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi) –. Oggi ci sono circa 19.000 domande, a fronte di 20.699 posti. I dati sono provvisori, perché bisognerà considerare gli effetti del semestre di Medicina: oltre il 20 per cento degli iscritti ha indicato Infermieristica come prima scelta. Resta però che, per la prima volta, i posti non sono tutti coperti. Al Sud si riesce ancora a fare selezione, mentre al Centro-Nord i posti restano vacanti. Ci saranno rientri dalle graduatorie e riversamenti da Medicina, ma la tendenza è chiara».

Secondo la Corte dei Conti, mancano oggi circa 65 mila infermieri. Il rapporto con i medici è squilibrato: 1,5 infermieri per ogni medico, contro una media Ocse di 2,6. In concreto significa più camici bianchi ma meno professionisti dell’assistenza, con conseguenze dirette sulla qualità e la sicurezza delle cure. L’Italia conta 6,5 infermieri ogni mille abitanti, contro gli 8,4 della media Ue e gli 8,9 dell’Ocse. «Sono numeri molto preoccupanti – aggiunge Pedrotti –.

A questi 65.000 infermieri mancanti si aggiunge il fatto che i bisogni di salute della popolazione stanno crescendo: l’aspettativa di vita aumenta, il che è positivo, ma comporta anche un maggior carico di assistenza. Dobbiamo inoltre rafforzare la prevenzione per rallentare l’insorgenza delle malattie».

Verso il pensionamento

Il quadro è aggravato dal fattore generazionale. L’età media cresce, mentre i giovani scelgono altre strade. «Il Paese sta invecchiando e, con esso, i nostri infermieri: nei prossimi 8-10 anni ne andranno in pensione circa 100.000 – avverte Pedrotti –. Senza interventi strutturali non saremo in grado di garantire i livelli essenziali di assistenza. Serve rendere la professione più attrattiva, con una visione di lungo periodo».

Le ragioni del calo di iscrizioni sono note. Studi comparativi europei confermano che la retribuzione media italiana è più bassa di circa il 20 per cento rispetto a quella dei colleghi dell’Ue. Le prospettive di carriera sono scarse, i turni gravosi e la vita privata difficile da conciliare. In un Paese già segnato dal calo demografico, la professione appare poco sostenibile. Il problema non riguarda solo la formazione. «La situazione è molto eterogenea: alcune regioni bandiscono concorsi regolarmente, altre hanno ripreso solo di recente.

Oggi il vero problema non è il concorso, bensì la carenza di infermieri disponibili. Il tasso di occupazione a un anno dalla laurea supera l’85 per cento», ricorda Pedrotti, citando i dati Istat e Almalaurea. Per il vicepresidente di Fnopi la soluzione non è rinviabile: «Occorre una cabina di regia interministeriale e investimenti strutturali già dalla prossima legge di bilancio. Servono percorsi di carriera chiari, valorizzazione delle lauree magistrali, benessere organizzativo, politiche abitative, aumento dell’indennità di specificità infermieristica e modelli assistenziali innovativi».

Nel frattempo, migliaia di infermieri scelgono l’estero. «All’estero le prospettive di carriera sono più ampie, le competenze riconosciute e le retribuzioni adeguate. Tutto questo porta a maggiore soddisfazione professionale e personale», conclude Pedrotti. Dal fronte sindacale il monito è ancora più netto: «Il rischio è che, senza interventi rapidi, il sistema collassi.

Già oggi interi reparti lavorano sotto organico cronico, con turni insostenibili e professionisti che scelgono di lasciare il Ssn. Non si tratta solo di salari, ma di riconoscimento: servono percorsi di carriera, valorizzazione delle competenze e, soprattutto, rispetto per un lavoro che regge la sanità pubblica», avverte Romina Iannuzzi, infermiera e dirigente nazionale NurSind.

Senza infermieri, gli ospedali non funzionano. I medici da soli non bastano, la tecnologia non colma il vuoto. La sanità pubblica rischia di diventare un sistema svuotato dall’interno se la più numerosa delle professioni sanitarie continua a impoverirsi.

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