mercoledì 24 settembre 2025

Il coraggio di Socrate


Simona Forti 
Filosofia, ultima difesa dal potere
La Stampa, 21 settembre 2025

Quali risorse offre la filosofia per resistere al potere? O meglio, per resistere agli eccessi di potere, considerato il fatto che non esistono isole felici di assoluta libertà. Che cosa possiamo aspettarci da quella forma di sapere che ha preso vita proprio intorno alla figura di un uomo – Socrate – il cui demone lo ha dissuaso dal partecipare attivamente alle cariche pubbliche, ma lo ha condotto ad accettare la condanna a morte? Sappiamo come Platone ha reagito al trauma dell’ingiusta morte del suo maestro: se la città deve essere giusta, i filosofi, cioè coloro che vivono secondo giustizia, devono governare, seguendo un ordine ben preciso dell’anima e della polis. Eppure, paradossalmente, è stato Socrate, non Platone, a rappresentare il modello esemplare della saggezza, proprio grazie a quella sua virtù «senza contenuti» e senza ordine; a quel sapere di non sapere che non offre risposte definitive, ma rimane segnato da un’incessante inquietudine. Non c’è grande filosofo, o grande filosofa, infatti, che non abbia fatto i conti con l’esemplarità socratica, tanto più intensamente quanto più il contesto in cui viveva era politicamente difficile.

Non c’è dubbio che stiamo vivendo in tempi bui e che avremmo bisogno più che mai del coraggio di Socrate, del suo modo di ricercare la giustizia e la verità. Lo spazio dato oggi alla filosofia nel discorso pubblico testimonia senz’altro di questo bisogno. E non saremo mai abbastanza grati a chi organizza dibattiti e festival, a chi restituisce alle piazze la loro funzione di far incontrare le persone, dove l’esercizio della cittadinanza si riattiva e spesso si trasforma in ciò che Hannah Arendt chiamava «felicità pubblica».

C’è tuttavia un pericolo, ci avvertiva già Socrate, nell’eccessiva ricerca della visibilità: quello di utilizzare la retorica, la parola efficace, per avere successo, per imporre una «doxa» parziale, un’opinione di parte che sovrasti le opinioni degli altri. Più le occasioni di visibilità si moltiplicano più, potremmo dire col filosofo ateniese, il rischio della sofistica aumenta. Quanti sono anche oggi i «sofisti» che, senza disagio alcuno, esibiscono come dissidenti e controcorrente prese di posizioni ideologiche, del tutto conformi ad un copione già scritto? E che dire di tutti quelli che almanaccano per trovare il modo di essere originali senza tuttavia rinunciare ad accontentare, a tutti i costi e nel momento giusto, le aspettative del pubblico? In tutti questi casi, più che con esempi di resistenza e critica al potere, abbiamo a che fare con una esemplarità artificiosa, costruita, che vuole imporsi e stupire. Ma non è così che l’esemplarità diventa tale. Essa non è la trasmissione volontaria di un modello. È piuttosto simile ad un incontro, a un incrocio tra vettori di forze, a un contagio, grazie a cui la vita di qualcuno cambia forse per sempre la propria direzione. È l’esempio che ci scuote dalle nostre abitudini, che forse attualizza un potenziale di liberazione e di libertà che non pensavamo di avere.

Non è infatti un caso che, nei momenti critici della storia, la filosofia si sia rivolta all’esemplarità della «parresia» socratica* per trovare in essa la forza viva di una resistenza autentica. Perché parresia non significa semplicemente libertà di parola. Indica, si, un’attività verbale, ma in cui il parlante si lega alla verità, o meglio si fa testimone della verità in cui crede, attraverso la franchezza del suo modo di vivere, di un ethos a cui non viene meno, nonostante i rischi a cui la sua scelta lo espone. In uno dei suoi ultimi testi prima della morte, Michel Foucault scriveva: «Nella parresia il parlante fa uso della sua libertà e sceglie il parlar franco invece della persuasione, la verità invece della falsità e del silenzio, il rischio di morte invece della sicurezza, la critica invece dell’adulazione (…) o dell’apatia morale» (Discorso e verità nella Grecia antica).

Non è molto nota al pubblico una delle ragioni dell’interesse foucaultiano per questa pratica antica. Lungi dall’essere filologica o solo filosofica, l’attenzione per Il coraggio della verità (come appunto si intitola la sua ultima serie di lezioni dedicate alla parresia) muove da un contesto politico concreto: le nuove forme di resistenza che stavano prendendo piede nei regimi dell’Est Europa. Tornare oggi sul legame tra la parresia come pensata da Michel Foucault e la «vita-nella-verità» come intesa dai cosiddetti dissidenti di Praga – in particolare Jan Patočka e Vaclav Havel – non equivale dunque a riportare in luce un particolare momento della storia della filosofia. È piuttosto un modo, attraverso il loro socratismo, di far rivivere l’esemplarità di Socrate e, sempre grazie a loro, far filtrare un po’ di luce in questi tempi oscuri. Questo cercherò di fare a Modena oggi.

(*) La parresia socratica si riferisce al coraggio di Socrate nel dire la verità senza timore, anche a costo di provocare le ire di chi ascolta e di rischiare la propria vita, come dimostrato dalla sua condanna a morte.
«La parresia è un’attività verbale in cui un parlante esprime la propria relazione personale con la verità, e rischia la propria vita perché riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o se stesso) a vivere meglio. Nella parresia il parlante fa uso della sua libertà, e sceglie il parlar franco invece della persuasione, la verità invece della falsità o del silenzio, il rischio di morire invece della vita e della sicurezza, la critica invece dell’adulazione, e il dovere morale invece del proprio tornaconto o dell’apatia morale». Michel Foucault, Discorso e verità nella Grecia antica, Donzelli 2019.

Nessun commento:

Posta un commento