Simonetta Fiori
Calvino casa e bottega: viaggio tra i taccuini del grande scrittore
la Repubblica Venerdì, 12 settembre 2025
... Il gran segreto per uno scrittore – confessò una volta Calvino ad Alberto Arbasino – è celarsi, eludere, confondere le tracce. Forse anche per questo non parlava volentieri né del suo lavoro né della sua vita. La sua scarsa loquacità era quasi motivo di vanto. «Io provo disgusto per la parola parlata, per quella cosa molle e informe che mi esce dalla bocca», si lasciò andare nel corso di una intervista. Un’insofferenza probabilmente dovuta all’esigenza di precisione ed esattezza da cui nasceva la sua scrittura, dove pure non mancavano gli impacci e le difficoltà. «Scrivo con molta fatica. Per me cominciare è sempre difficilissimo. Scrivo a mano, faccio una prima stesura e poi correggo tanto, faccio tanti incisi, sempre più piccoli, così piccoli che alla fine non capisco più niente e debbo prendere la lente per decifrare quello che scrivo». Teorizzava di avere due calligrafie diverse, ciascuna rispondente a un diverso stato d’animo. «Una con le lettere molto grosse, con la “a” e le “e” belle tonde, un’altra con le lettere piccolissime in cui le “a” e le “e” sono appena due puntini. Scrivendo piccolo mi illudo di superare le difficoltà, di passare come attraverso cespugli che mi sbarrano la strada».
La penna stilografica con cui scrisse gli ultimi lavori è posata sulla scrivania dello studio, separato dal soggiorno non da una parete ma dalla libreria (Calvino non aveva una stanza tutta per sé). È un regalo di Bernardo Valli, il grande inviato di guerra che ha raccontato la sua amicizia con lo scrittore nel prezioso volume Italo, uscito nelle edizioni Ventanas. «Ricordo il negozio nel quale l’avevo acquistata, Elysées Stylos in rue Marbeuf, una traversa dei Campi Elisi», dice Valli dalla sua casa parigina di rue Chaptal. «Era il dono per i suoi sessant’anni. L’avremmo festeggiato insieme a Roma, nella casa di Campo Marzio: uno degli ultimi compleanni, ma l’idea della fine non ci sfiorava». Certo in quella stilografica è racchiuso il senso di un sodalizio profondo, tra i pochi capaci di strappare Calvino dalla sua bolla di laconicità.
La scrittura inquieta documentata dai manoscritti è anche il riflesso del suo modo di concepire la letteratura. Scrivere è andare per tentativi, provare, moltiplicare le possibilità, come rileva Mario Barenghi, tra i suoi più apprezzati cultori. Un esperimento che non ha fine, attraverso sfide sempre più difficili. Anche perché la scrittura – sostiene Calvino – «è il modo in cui riesco a far passare le cose attraverso di me, per farmi strumento di qualcosa che è certamente più grande e che è il modo in cui gli uomini guardano, commentano ed esprimono il mondo». Non un’ambizione da poco, ma una impresa immane che ammette ripensamenti e interpolazioni costanti.
Le donne intorno
L’aveva compreso bene la moglie Chichita, la più consapevole tra le donne che si sono prese cura del suo lavoro creativo: rivelatore il suo appunto con l’inchiostro rosso sulle diverse stesure del Barone rampante, “mantenuto il disordine trovato”. Prima di lei c’era stata la mamma sarda, Eva Mameli, sollecita nel conservare i disegni del figlio, tra cui i ritratti affilati del Babbo, sempre di profilo, mai di fronte. E ora è il turno della figlia Giovanna, a cui spetta la gestione di un’enorme eredità intellettuale. Oltre alle donne di casa Calvino, è largamente femminile il mondo che si affanna intorno alle sue carte. E se della bibliotecaria Cardinale e dell’editor Risari abbiamo già detto, una citazione spetta anche a Laura Di Nicola, la studiosa che ha affiancato Chichita nel riordino dei manoscritti e dei libri al numero 5 di via di Campo Marzio, ricavandone il bel libro Un’idea di Calvino (Carocci). Proprio analizzando gli schemi concettuali che precedono Se una notte d’inverno un viaggiatore, ha identificato nella lettrice Ludmilla la moglie dello scrittore, oltre che la proiezione dello stesso autore. E nel personaggio di Silas Flannery il desiderio di Chichita di essere scrittrice. In questo modo il Viaggiatore potrebbe essere letto come una dedica di Calvino a sua moglie, e insieme riflessione “sul senso dello scrivere come attingimento all’altra”. Ai posteri la soluzione dell’enigma, che ovviamente continua.

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