Lorenzo Pregliasco
L'appartenenza ai licei che classifica i torinesi
la Repubblica, 18 settembre 2025
Ogni città ha abitudini, luoghi condivisi, immaginari, e piccoli «tic» che si notano più da fuori che da dentro. Tra quelli di noi torinesi, c’è il liceo. L’idea che il liceo che hai fatto ti collochi in uno spazio sociale e quasi antropologico; che, se anche il Cavour o l’Alfieri, il Segré o il Galfer non ti vincolano a un destino prefissato, in qualche modo ti indirizzino. O, comunque, rispecchino qualcosa di te. L’orientamento politico – soprattutto un tempo – Il quartiere. Gli interessi. Le reti familiari. Sono un posto importante, nella storia di Torino, i licei. Sono stati, tra Otto e Novecento, snodo di vicende formidabili, intreccio tra insegnanti e studenti notevoli – Antonicelli, Pavese, Levi, Bobbio al D’Azeglio; Gobetti, Terracini e Fruttero al Gioberti; e chissà quanti altri. Come sanno tutti gli appassionati di calcio, è su una panchina di corso Re Umberto che, proprio da un gruppo di liceali del D’Azeglio, il 1° novembre del 1897 nacque la storia della Juventus. I licei sono però anche, soprattutto per alcune generazioni, una sorta di «biglietto da visita». A Torino più che altrove, dove sei andato a scuola conta. Conta perché dice qualcosa di te e della famiglia da cui provieni. Certo, contava di più un tempo, quando le scuole erano più connotate a livello socio-culturale, anche perché non tutti potevano realmente accedere all’istruzione liceale. Anche dopo il ’68, le classi dei licei più prestigiosi sono state per lungo tempo più facilmente frequentate da figli di professionisti o imprenditori che da figli di operai. Gli istituti tecnici, al contrario – assurdo, in una città di tecnica, produzione, manifattura come Torino! – erano guardati un po’ dall’alto in basso e raccoglievano più spesso studenti provenienti dai ceti popolari, da famiglie di fabbrica o dalla piccola borghesia. Non valeva per tutti, ma per molti sì. Ecco che quella appartenenza per «tribù» liceali di ex allievi, che ancora oggi avvicina tra loro gruppi di torinesi e, come in una sorta di alleanza invisibile, apre opportunità reciproche è un tratto curioso, ma positivo soltanto fino a un certo punto. Perché se il liceo conta troppo, si alza una barriera all’ingresso. Verso chi viene da un’altra città, o verso chi ha frequentato un’altra scuola, per scelta o per necessità. Se il lignaggio liceale («quelli dell’Alfieri»), diventa la chiave d’accesso esclusiva per circoli e conventicole, non è un bene per Torino.

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