Luca Foschi
Ora è l'Egitto a blindare i confini. "Rischiamo l'invasione di Hamas"
Avvenire, 21 settembre 2025
Brucia Gaza City, bruciano senza scampo le strade, i palazzi e le persone dentro l’anello di fuoco dei bombardamenti israeliani. Muoio dilaniate o schiacciate dal collasso delle loro case, come i nove membri della famiglia al-Jamla, molti dei quali bambini, nel quartiere di al-Tuffah. Sono uccise come il fratello e i tre nipoti di Mohammed Abu Salmiya, direttore dell’ospedale al-Shifa, la cui abitazione è stata sventrata da un missile nel campo profughi di al-Shati. Proprio i medici della più grande struttura sanitaria della Striscia, una delle poche ancora funzionanti, hanno reso noto che due bambini sono morti in una scuola diventata rifugio, squassata dall’artiglieria. Sono 71 gli uccisi ieri nella Striscia, secondo le autorità locali, controllate da Hamas, 57 solo a Gaza City. Il direttore Abu Salmiya era stato arrestato dai soldati israeliani nel novembre 2023 con l’accusa di «attività terroristiche», e rilasciato sette mesi dopo, senza una spiegazione. Tutto ormai è un obiettivo, tutto è un potenziale «sito terroristico». L’esercito israeliano, riporta il Guardian, ha nei giorni scorsi comunicato agli operatori umanitari che gli ordini di evacuazione interessano anche i luoghi e le strutture dove lavorano, eccetto gli ospedali.
Dalla ripresa dei combattimenti, nel marzo di quest’anno, 15 palestinesi ogni 16 uccisi sono stati civili. Lo indica in uno studio l’Armed conflict Location and event data (Acled), un’organizzazione sostenuta dai numerosi Paesi occidentali e dall’Onu. Una perenne, fitta ma ordinata pioggia di fuoco che spinge gli abitanti verso i quartieri occidentali, verso l’area del porto, anch’essa nel mirino, nel tentativo di accelerare la migrazione verso le “aree sicure” meridionali, le tendopoli malsane nella terra desolata dove manca tutto, tranne la frequente visita delle bombe. Sono 450mila secondo la Difesa civile palestinese, le persone che hanno abbandonato Gaza City dall’inizio delle operazioni il 20 agosto.Una galera di morte e carestia senza scampo, il sud: ieri l’Egitto ha avvertito Israele che nel caso la massa disperata si riversasse al confine di Rafah, nel tentativo di trovare salvezza nel Sinai, le proprie truppe al valico verrebbero raddoppiate, arriverebbero gli armamenti pesanti e gli elicotteri, ignorando di fatto gli accordi di pace del 1979, che impongono per simili operazioni l’approvazione di Tel Aviv.
«Una minaccia diretta alla sicurezza nazionale», ha definito il Cairo l’ipotesi della moltitudine appesa ai cancelli di Rafah, terrorizzata dal potenziale arrivo di migliaia di miliziani e sostenitori di Hamas, espressione palestinese dei Fratelli musulmani, nemici storici della repubblica dei generali. Una prospettiva che rievoca gli incubi novecenteschi di Libano e Giordania, l’eterno ritorno della diaspora resistenziale. Resta precluso alle merci il valico di Allenby fra Israele e Giordania, sbarrato da Tel Aviv in seguito all’attacco che si è concluso con la morte di due soldati israeliani, uccisi da un camionista giordano diretto con un carico di aiuti umanitari a Gaza. Hamas ha risposto all’accerchiamento magnificando brutalmente il capitale dei prigionieri: un poster con le foto dei 48 ostaggi, accompagnate da un’identica didascalia, “Ron Arad”, l’aviere israeliano dalla sorte ignota, scomparso nel 1988. La minaccia è accompagnata dalle accuse al premier Netanyahu, colpevole di ignorare le proposte di accordo, e al capo di Stato maggiore Zamir, piegatosi ai piani dell’esecutivo estremista.
Ai discorsi sul delicatissimo destino degli ostaggi si è aggiunto il presidente americano Trump, con il suo consueto, maldestro, iperbolico understatement: «I giovani non muoiono, semplicemente non muoiono», «a Gaza ci sono tra 32 e 38 ostaggi deceduti, molti dei quali giovani», «forse ci sono 20 ostaggi ancora vivi che verranno rilasciati», «è così triste, così terribile, abbiamo quasi 40 ostaggi deceduti», ha confusamente affermato durante un incontro con i giornalisti nello Studio Ovale, prima di rifugiarsi ambiguamente nell’eterogenesi dei fini: «In guerra accadono molte cose strane. Si verificano molti risultati che non avresti mai pensato potessero verificarsi». Di certo, solido, ineluttabile, restano solo gli affari: l’Amministrazione del tycoon sta spingendo affinché il congresso approvi la vendita ad Israele di 6.4 miliardi di dollari in armamenti militari.

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