domenica 28 settembre 2025

Alessandro Magno


alessandro magno, valide lezioni di leadership
Alberto Orioli

Educato da Aristotele, addestrato da un militare d’eccezione come Filippo, persuaso di essere discendente di Achille e di Eracle nonché semidio in quanto figlio di Zeus, Alessandro il macedone era Magno, certo, ma non abbastanza. Almeno come leader generativo così come lo intendiamo oggi alla luce delle moderne teorie della leadership.

Tocca a Gianfranco Di Pietro e Andrea Lipparini smontare almeno in parte il mito del giovane condottiero imbattibile e dominus del mondo conosciuto nel 326 avanti Cristo.

Una figura gigantesca della storia classica, affabulatore e seduttore delle sue truppe, visionario nella intuizione di una gestione contaminata tra le culture di Oriente e Occidente, spietato nella gestione dell’ordine e della sicurezza, sua e del suo esercito. Ma un leader dimezzato, caduto proprio per carenza di capacità gestionale, dopo otto anni di marce forzate e di vittorie ininterrotte, di fronte all’ammutinamento del suo amatissimo esercito che si rifiuta di proseguire oltre il fiume Ifasi (l’odierno Beas nel Punjab). Non solo perché oltre le sponde del fiume li attende l’ignoto di un esercito sterminato, con migliaia di elefanti “corazzati”, ma soprattutto perché quei soldati, che furono prima contadini e allevatori trasformati da Alessandro in un esercito imbattibile, avevano il desiderio insopprimibile di godere del bottino colossale accumulato nel tempo della campagna e avevano perso il senso della loro stessa spedizione, ormai considerata soltanto una pulsione irrazionale del suo condottiero ossessionato dall’idea del guerriero esploratore.

Una sorta di cortocircuito di narcisismi – avvertono gli autori – che ha portato a una dissociazione tra il narcisismo individuale di Alessandro e quello collettivo del suo esercito, fino a poco prima perfettamente collimanti. E forse parte del segreto del successo dell’esercito macedone fino a quei tragici giorni nel Punjab.

Il vero leader generativo è quello che mantiene il legame tra il sogno personale e quello collettivo dell’impresa; mantiene attivi i sensori sociali interni che indichino i cambi di umore e di sensibilità profonda del gruppo e dell’azienda (e di questo parla anche Benedetto Vigna, ceo di Ferrari, chiamato a scrivere la prefazione anche perché il libro usa l’azienda Ferrari come idealtipo della one company dove la leadership generativa funziona).

Al centro sempre la persona, mai lo schema disegnato a tavolino dagli algoritmi o dalle tassonomie, con il primo obiettivo di creare innanzitutto un clima di profonda sicurezza psicologica. È la precondizione per creare curiosità e voglia di esporsi tra i lavoratori, caratteristiche basilari per una impresa solida e volta all’innovazione: la pratica della fiducia e del rispetto è il primo esercizio da praticare nell’impresa; occorre poi creare un canale preferenziale per discutere le idee e farle circolare con continui feedback di ciò che viene analizzato senza avere paura dell’errore, anzi considerando la cultura dell’errore fondamentale per gestire il miglioramento continuo del prodotto e del processo aziendale.

Parlare di errori rimanda alle emozioni dell’animo umano, flussi cruciali per dare stimoli ad una autentica leadership generativa. La paura può essere parte di chi vive l’impresa perché deve adattarsi continuamente al cambiamento, così come l’entusiasmo per i risultati che via via si ottengono. La narrativa delle emozioni può essere quindi decisiva per dare al personale di un’azienda il tratto più profondo della cultura aziendale, fatta di miti, di epopee magari nate dal basso, di abnegazione e disciplina verso la fatica.

Anche ad Alessandro, fino a quel giorno sulle rive del fiume indiano, era riuscita la gestione del mito o meglio l’autoproduzione del mito grazie al codice guerriero paterno e al codice dionisiaco materno (la madre Olimpiade era figlia del re dell’Epiro e presunta discendente di Achille per parte di padre). Il riferimento ai codici affettivi non è casuale ed è per Di Pietro e Lipparini decisivo per la costruzione della leadership: per il leader è fondamentale avere capacità di autoanalisi alla ricerca dei codici che agiscono sul suo comportamento. È un passaggio decisivo per metterli in relazione con quelli dei propri collaboratori e diventa decisivo soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà dell’impresa quando occorre guidare i cambiamenti e la gestione dell’ignoto e della paura.

Ma più che leader kamikaze _ è il monito del volume _ servono condottieri capaci di affrontare le ingiustizie e di generare risultati utili alla società. Generali non fanatici, dotati di buonsenso e con una preziosa bussola tarata sul senso profondo di umanità, capaci di ascolto, di solidarietà generosa, non volti a fomentare conflitti interni ed esterni ma preoccupati di prevenirli, solo questi personaggi possono fare la differenza nel mondo dell’impresa contemporanea. Se si volesse azzardare una conclusione non potrebbe essere che questa: restare umani. Anche in azienda. Anzi, soprattutto in azienda. È l’unico modo per salvarsi.


Gianfranco Di Pietro 
Andrea Lipparini

Il coraggio e la visione Alessandro Magno e la leadership generativa
Il Mulino, pagg. 322, € 24 

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