Elisabetta Gramolini
Meno candidati dei posti a bando: all'Italia continueranno a mancare infermieri
In quantità insufficiente da anni, affrontano il moltiplicarsi di sfide, favorite dall’aumento di cronicità e invecchiamento. Per gli infermieri in Italia il lavoro è sempre più duro. Se ne sono accorti da tempo i pronto soccorso, i reparti ospedalieri, i servizi domiciliari e le residenze sanitarie: in qualsiasi ambito, le figure, ancorché cruciali per la cura della persona, sono troppo poche. Per la Ragioneria dello Stato la carenza stimata è di 65mila unità e solo 30mila sarebbero da impiegare nell’assistenza territoriale prevista dal Pnrr. Anche le prospettive non sono rosee. Quest’anno, alla prova d’ammissione alle facoltà di Infermieristica (in programma ieri in tutta Italia) si sono iscritti poco più di 19mila candidati, a fronte di circa 20.700 posti messi a bando. E pure nel confronto con gli altri Paesi l’Italia è agli ultimi posti. Secondo il rapporto che la Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche (Fnopi) ha recentemente realizzato con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, contiamo tra i sei e i sette infermieri ogni mille abitanti. Nel frattempo, Usa e Germania sono passati da dieci a 12, il Regno Unito e la Francia sono sopra gli otto, mentre la Spagna ci ha raggiunti, pur partendo da valori più bassi.
Insomma, l’infermiere non è ancora in estinzione ma poco ci manca, nonostante il ruolo cresca sul piano delle responsabilità e della domanda. Al paradosso alcune Regioni ed enti locali hanno provato a rispondere per incentivare l’iscrizione ai corsi di laurea e migliorare le condizioni di vita e lavoro. Il primo passo l’ha fatto il Veneto che ha introdotto un voucher di mille euro per gli studenti che si iscrivono al corso di laurea. La misura, pur non essendo una soluzione definitiva, rappresenta un segnale per alleggerire il carico economico degli studi e attrarre i futuri sanitari.
Anche la Lombardia si è mossa firmando un protocollo d’intesa con le Aziende pubbliche per l’edilizia residenziale (Aler). Da un lato, l’accordo punta a offrire più case a canone calmierato, specie nelle grandi città, per infermieri e personale sanitario, dall’altro prevede la creazione di più ambulatori e presìdi sociosanitari nei quartieri popolari per rafforzare la sanità di prossimità. I Comuni provano a inventarsi qualcosa di analogo. Verbania e Crevoladossola, in Piemonte, hanno deciso di destinare alcuni appartamenti ai sanitari che lavoreranno per la Asl del Verbano Cusio Ossola. Del resto, il sostegno abitativo per gli infermieri è una delle azioni previste dal Piano strategico nazionale delle aree interne (Psnai) che riconosce all’infermiere di famiglia o di comunità un ruolo chiave per fornire assistenza personalizzata, con un’attenzione particolare agli anziani e al supporto a domicilio. Gli interventi previsti per potenziare questa figura includono la formazione professionale, la contrattualizzazione per una fase sperimentale, con la possibilità di rendere il servizio permanente.
Anche se i dati sulle domande per accedere al corso di laurea segnalano la crescita di interesse al Sud (1,5 domande per ogni posto), complice un costo della vita più sostenibile, l’attrattività di una professione non si misura solo con gli incentivi all’ingresso o con le agevolazioni abitative. Per garantire una presenza adeguata di infermieri nel lungo periodo, è fondamentale agire su più fronti. «Servono azioni concrete e strutturali per affrontare una crisi che sta mettendo a rischio l’intero Sistema sanitario nazionale – avverte Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi –. L’Italia è divisa in due tra Nord e Sud, e il caro vita degli ultimi anni ha fatto cessare i fenomeni migratori interni che fino a poco tempo fa vedevano i giovani del Sud studiare al Nord per poi fermarsi a lavorare. Questo sta aggravando gli squilibri territoriali nella distribuzione del personale sanitario». Servono quindi azioni di welfare mirate e innovative. «Ad esempio – suggerisce la presidente degli infermieri italiani – dobbiamo mettere a disposizione tutto il patrimonio edilizio che il nostro Paese ha in strutture dismesse (dalle ex caserme agli immobili sanitari non più utilizzati) per creare alloggi dedicati al personale infermieristico, facilitando così la mobilità professionale. Ma è una strategia che deve essere complessiva. Per questo – insiste – ho più volte sottolineato la necessità di istituire una cabina di regia sovra-ministeriale con un commissario straordinario per la questione infermieristica. È un tema che merita grande attenzione istituzionale, perché se continuiamo a lavorare solo con interventi-tampone risolveremo forse il problema del momento ma non costruiremo le basi per un sistema sanitario sostenibile nel futuro».
Invece per garantire il diritto alle cure a tutti i cittadini gli infermieri sono una figura fondamentale: «Sono i professionisti che più di tutti stanno vicini ai malati dedicandosi alla cura della persona, più che alla malattia – commenta la presidente –. Questa relazione è un elemento valoriale, richiamato anche nel nostro Codice deontologico. È importante aumentare l’attrattività della professione per i giovani in modo da rafforzare il numero e il ruolo degli infermieri, perché è in questo rapporto di cura che si incontrano i bisogni, con la persona assistita e il professionista che imparano a condividere storie e vissuti e ad affrontare la malattia senza solitudine».

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