martedì 9 settembre 2025

L'ora del compromesso negoziabile

Anna Maria Merlo
Bayrou sfiduciato. In Francia crisi multipla

il manifesto, 9 settembre 2025 

Grandi bicchierate ieri sera per festeggiare la fine del governo Bayrou, di fronte ai municipi e nelle piazze da parte di cittadini arrabbiati. Un anticipo delle giornate di protesta che si profilano: domani “Bloquons tout” e poi il 18 i sindacati. E anche François Bayrou ha organizzato il suo aperitivo d’addio, con i ministri a fine corsa. Ieri poco prima delle 19, l’Assemblea Nazionale ha bocciato la fiducia al governo Bayrou, che il primo ministro aveva chiesto in base all’articolo 49.1, con un blitz inaspettato e incompreso, per evitare di essere abbattuto da un voto di “censura” sulla finanziaria.

Bayrou aveva chiesto la fiducia non su un programma, ma su una constatazione: il debito paralizza la Francia e bisogna farvi fronte. «Avete il potere di rovesciare il governo – ha detto Bayrou ai deputati – ma non di controllare la realtà», che il primo ministro ha scelto di drammatizzare, mettendo in evidenza un debito di 3.415 miliardi.

È LA PRIMA VOLTA che nella V Repubblica viene votata la sfiducia (in genere, i governi sono caduti per un voto di “censura”, presentata dai deputati): ci sono stati 364 parlamentari a votare contro la fiducia e 194 a favore. Bayrou non ha neppure raccolto tutti i voti degli alleati di governo, una decina di parlamentari (soprattutto Lr ma anche dell’alleanza macronista) hanno unito il loro voto all’opposizione, sinistra e estrema destra (oltre al gruppo Liot, territori e oltremare). Con un breve comunicato, l’Eliseo ha «preso atto» del voto, ha «accettato» le dimissioni del governo e annunciato che nominerà un nuovo primo ministro «nei prossimi giorni».

BAYROU SARÀ STAMATTINA all’Eliseo per presentare le dimissioni. Ci saranno tempi stretti per la nomina di un nuovo primo ministro? La pressione sociale spinge Emmanuel Macron a sbrigarsi (contrariamente al solito), per trovare un paravento che gli eviti di essere il bersaglio in prima linea delle giornate di protesta del 10 e del 18 settembre. Dal campo presidenziale, l’ex primo ministro Gabriel Attal propone di chiudere in una stanza, in un luogo neutro, dei politici responsabili con l’obiettivo di trovare una soluzione di accordo, guidati da una personalità «facilitatrice», che favorisca il dialogo tra posizioni diverse. Attal chiede esplicitamente a Macron di «condividere il potere».

LA FRANCE INSOUMISE presenterà oggi una mozione per chiedere le dimissioni di Macron, come unica soluzione per uscire dalla crisi. Marine Le Pen insiste su nuove elezioni anticipate – un “obbligo” costituzionale per la leader dell’estrema destra – nella speranza di far salire il Rassemblement National (e di contestare presso il Consiglio Costituzionale la sentenza di primo grado che l’ha condannata all’ineleggibilità, che resta attiva malgrado l’appello sulla condanna per il furto di più di 4 milioni al Parlamento europeo, appello che verrà giudicato dal 13 gennaio all’11 febbraio 2026).

In mano al presidente ci sono varie ipotesi: nominare un nuovo primo ministro, ma chi? Il Ps si è fatto avanti, il segretario Olivier Faure è candidato, per un governo a guida socialista con una politica molto lontana da quella proposta finora: Ps, con la sinistra (ma senza La France Insoumise) potrebbe reggere in caso di un accordo di non censura con il centro di Macron, escludendo la destra Lr, che non vuol sentir parlare di accordo con i socialisti. Marine Tondelier, dei Verdi, chiede a Macron di ricevere i rappresentanti della sinistra in vista di una nomina.

ALTRI NOMI GIRANO, ma in un’Assemblea divisa in tre blocchi quasi equivalenti, il destino di ogni primo ministro è di essere impallinato dall’alleanza, opportunista, degli altri due gruppi. Il Nuovo Fronte Popolare, l’alleanza che era arrivata in testa in seguito alle elezioni anticipate del giugno-luglio 2024, è ormai spaccato. Oltre a Faure, potrebbe cercare un accordo con il Ps il ministro delle Finanze, Eric Lombard (che da giovane era rocardiano), poi hanno ambizioni altri ministri venuti dalla destra, Gérald Darmanin (Giustizia), Sébastien Lecornu (Difesa) o degli ex socialisti vecchia generazione, Jean-Yves Le Drian o Bernard Cazeneuve.

LA FRANCIA è di fronte a una crisi multipla: politica, istituzionale, economica e sociale. È la V Repubblica che si rivela inadeguata a rispondere alle sfide del momento. Persino le dimissioni di Macron non risolverebbero la crisi. Dalla società cresce da tempo una domanda di giustizia sociale. È il rifiuto di Bayrou di prendere in conto le richieste di una giusta distribuzione dei sacrifici – nel suo progetto di finanziaria aveva imposto austerità solo ai lavoratori, senza toccare le rendite da capitale – che ha fatto scattare la sfiducia del parlamento.

Anais Ginori
"Sarà scelto un temporeggiatore per arrivare al 2027"
la Repubblica, 9 settembre 2025

PARIGI - «È probabile che il prossimo premier francese sia un temporeggiatore, incaricato solo di far passare il tempo fino alle presidenziali 2027» prevede Gilles Gressani, direttore della rivista di geopolitica Le Grand Continent. Tra la fragilità di Emmanuel Macron, la piazza che preme e l’ossessione per le presidenziali, osserva Gressani, la Francia entra in una fase “einsteiniana”.

Dove porta questa nuova crisi di instabilità?

«In Francia stiamo passando dalla fisica di Galileo a quella di Einstein. Prima le istituzioni seguivano cicli rigidi, strutturati e prevedibili. Oggi invece ci troviamo in una logica einsteiniana in cui spazio e tempo sono relativi. Tutto ruota intorno a un unico buco nero: l’elezione presidenziale. Nessuno vuole più governare, tutti pensano solo al 2027, quando ci sarà il voto per l'Eliseo, accentuando così una spirale negativa. La crisi istituzionale genera crisi politica, che a sua volta produce crisi sociale».

Che tipo di governo si può immaginare adesso?

«È probabile che il prossimo premier sia un temporeggiatore, incaricato solo di traghettare il Paese fino alle presidenziali 2027. Una situazione grave nell'attuale contesto politico e geopolitico. Si parla anche di un governo tecnico ma figure come Pierre Moscovici o Christine Lagarde non sarebbero percepite come neutrali. È difficile trovare un vero premier tecnico in Francia, a differenza dell’Italia».

Chi avrebbe interesse a nuove elezioni legislative?

«Non i Républicains, divisi e indeboliti. Non i socialisti, già sotto accusa di complicità col macronismo. L'unica a guadagnarne sarebbe Marine Le Pen che potrebbe persino candidarsi ponendo un ricorso Consiglio costituzionale contro la sua condanna di ineleggibilità. D'altra parte, Mélenchon ha una linea chiara: accelerare lo scontro, andare al più presto a una nuova presidenziale».

Una dissoluzione produrrebbe lo stesso risultato del luglio 2024?

«La Francia resterebbe divisa in tre blocchi, come la Gallia di Giulio Cesare. Una nuova Assemblea sarebbe probabilmente altrettanto ingovernabile. Anzi, si rischierebbe di spingere verso la dimissione del Presidente, creando una situazione in cui il successore si ritroverebbe senza una maggioranza solida. Per questo la dissoluzione è vista con molta cautela dall’Eliseo».

Le dimissioni di Macron sono un’opzione da escludere?

«François Mitterrand diceva: contro la volontà di un uomo non si può fare nulla. Macron ha escluso le dimissioni e non vedo come cambierebbe idea se non davanti a scenari catastrofici per la Quinta Repubblica che comunque appare già superata. Se fossimo in Italia, l’avremmo già chiamata Sesta Repubblica. Questa nuova fase einsteiniana della crisi, in cui tutto gravita intorno alla presidenziale, attira non solo i partiti e le personalità politiche, ma figure di ogni genere».

A chi si riferisce?

«Si capirà dopo nel “dernier virage”, come dicono i piloti Air France: l’ultima curva prima dell’atterraggio. Questo avverrà l'estate prossima. È allora che si capirà che se Le Pen potrà restare candidata all'Eliseo e se emergerà una nuova figura al centro, nel senso macroniano del termine. Se ciò non accadrà, allora qualche figura dell'élite rimasta in disparte potrebbe cogliere l’occasione, per esempio un imprenditore capace di sconvolgere il sistema politico».

La piazza può diventare decisiva?

«Bayrou ha capito che non poteva né rafforzarsi col voto né imporsi davanti alla piazza. Ha scelto di bruciarsi da solo come 'fusibile' prima ancora della crisi sociale. Oggi si diffonde l’idea che la Francia sia un Paese sull’orlo del fallimento, ma non è così. Il problema riguarda la demografia e la distribuzione della ricchezza tra le generazioni. È una situazione comune a quasi tutte le democrazie sviluppate e si risolve attraverso la politica».

E sul piano internazionale?

«Malgrado la narrazione declinista, la Francia conserva fondamentali solidi e un peso diplomatico di primo piano. La decisione di riconoscere lo Stato palestinese all’Onu ha avuto un effetto importante. Certo, la crisi interna di Macron indebolisce anche la sua immagine esterna. Ma c'è un tema più generale sull’Europa. In un nuovo sondaggio che pubblichiamo sul Grand Continent emerge una forte politicizzazione degli europei di fronte alla minaccia trumpista. Per esempio, il 39% degli europei vorrebbe che l’Europa si faccia rispettare di più dal presidente americano. L’idea diffusa, anche tra gli italiani, è che Trump mette le mani nelle nostre tasche con i suoi dazi mentre tanti governanti continuano a presentarlo come un alleato e un amico. È un paradosso».

Perché parla di paradosso?

«L’offerta politica non corrisponde alla domanda. Le forze che crescono in Europa sono spesso alla destra del Partito popolare europeo, ma non possono più dire di voler uscire dall’Ue: il loro elettorato non lo vuole. Così restano “sovranisti dimezzati”, che alla fine chiedono che l’Europa li difenda. Dall’altra parte, chi difendeva l’autonomia strategica dell'Ue non riesce a incanalare l’energia politica scatenata in reazione a Trump. È difficile immaginare che una domanda così strutturante resti senza offerta politica. A breve termine è probabile che vedremo cambiamenti significativi nelle dinamiche dell’Ue».

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