Judith Butler
Io nel tunnel di K, orfana dei miei diritti
La Stampa, 15 settembre 2025
All’Università di Berkeley, California, cuore dei movimenti per i diritti civili negli anni Sessanta, è esploso un caso che mostra a che punto sia giunta la politica trumpiana di repressione delle libertà accademiche. L’ateneo ha trasmesso all’amministrazione Trump i nomi di 160 persone, tra docenti, ricercatori e studenti, coinvolte in un’inchiesta federale su presunti “episodi di antisemitismo” sul campus – una decisione paragonabile alle pratiche dell’era McCarthy. Tra i nomi denunciati figura quello di Judith Butler, filosofa di fama mondiale, ebrea fortemente critica nei confronti di Israele e impegnata in difesa della Palestina, che ha denunciato una grave limitazione dei diritti civili e un tradimento dello spirito di Berkeley. La vicenda, paradossale e di sapore kafkiano, solleva gravi interrogativi sul rispetto delle garanzie più elementari, dal diritto a conoscere le accuse a proprio carico fino alla difesa della libertà di espressione nei dibattiti politici. Pubblichiamo qui di seguito alcuni brani della lettera che Judith Butler ha inviato a David Robinson, il legale dell’Università che ha notificato il procedimento in corso. Butler si appella proprio al pensiero di Kafka, su cui per coincidenza sta terminando un libro. La ringraziamo per averci trasmesso il testo e permesso di pubblicarlo.
Barbara Carnevali
Caro David Robinson, non credo di averla mai incontrata e vorrei presentarmi: sono una docente in pensione, attualmente impegnata in un progetto di ricerca finanziato presso l’Università della California, Berkeley, e Professore Emerito presso la scuola di dottorato. Ho insegnato letteratura comparata per molti anni, tenendo seminari su Kafka e il diritto [...]. Come lei forse saprà, Kafka non era solo un grande scrittore di lingua tedesca, ma anche un membro della comunità ebraica ceca impegnato nel dibattito sulle tradizioni del diritto ebraico. Aveva studiato giurisprudenza e trascorse gran parte della sua vita adulta giudicando le richieste di risarcimento per lesioni fisiche subite dai lavoratori sul posto di lavoro. Si sforzava di assicurare il rispetto delle procedure e l’equità delle udienze. Di sera e soprattutto di domenica cercava invece di scrivere. Nelle sue parabole, in particolare, si chiede se possiamo ancora aspettarci giustizia dalla legge, o se invece le procedure giudiziarie siano così drammaticamente lontane dalla giustizia da obbligarci ormai solo a raccontare come distruggano ogni aspettativa di giustizia. Questo è l’argomento del mio progetto di ricerca, e spero di completare il manoscritto entro la fine del 2025.
La rappresentazione più drammatica dei problemi su cui mi interrogo si trova notoriamente nel Processo. All’inizio del romanzo, un impiegato di nome K viene svegliato alla mattina da due signori che lo informano che c’è una denuncia contro di lui (i due affermano di rappresentare la legge, ma sembrano provenire dal suo luogo di lavoro, e il loro status resta ambiguo). K vuole sapere di cosa sia stato accusato, ma i due non possono dirglielo[…]. Viene spedito per le strade di una città che somiglia alla sua Praga, fino a un edificio dalle porte invalicabili. Lì cerca qualcuno che possa dirgli di cosa è stato accusato, ma non riesce a trovare nessuno. Deve prepararsi per un processo, ma come può farlo senza sapere in cosa consista l’accusa? Dopo molte pagine di attesa e ricerche vane, si capisce che la situazione attraversata da K, aspettando di sapere cosa è stato detto contro di lui, è in realtà il processo stesso. K aspetta che cominci un processo equo, ma quello, in realtà, non inizia mai. [...]
A lei che conosce bene la tradizione giuridica statunitense non sfuggirà che K si aspetta di ottenere le tutele previste dagli emendamenti 6 e 14 della Costituzione, e cioè il diritto a un avvocato, a una giuria imparziale, il diritto di conoscere i propri accusatori, la natura delle accuse e delle prove a carico in quanto persona accusata di reato. [...]
Ovviamente, io non sono K, ma mi ritrovo in una situazione inquietantemente identica alla sua. Nella sua lettera lei mi informa di aver inviato «un fascicolo o un rapporto relativo a presunti episodi di antisemitismo» che include il mio nome. [...] Invece di trattare la segnalazione secondo la procedura, come è suo dovere ai sensi sia della Costituzione degli Stati Uniti sia del regolamento dell’Università della California, lei inoltra la denuncia, senza alcuna verifica, a un ufficio del governo federale. Che la denuncia sia o meno fondata non ha alcuna importanza, a quanto pare, poiché c’è un’accusa, e questo sembra essere sufficiente per inoltrare il mio nome all’Ufficio per i diritti civili del ministero dell’Istruzione (chiaramente non i miei diritti civili), dove finirà in una lista e verrà utilizzato in qualsiasi modo l’ufficio e il governo riterranno opportuno. Sarò segnalata e marchiata in un elenco governativo? Non potrò più viaggiare? Sarò sorvegliata[...]?
Sono una persona relativamente privilegiata, e troverò il modo di sopravvivere a qualsiasi azione il governo possa intraprendere contro di me; ma l’idea che abbiate sottoposto a tale sorveglianza diffusa docenti, membri del personale e studenti è una violazione sconcertante della fiducia, della morale e della giustizia. Esorto l’Ufficio per la prevenzione degli abusi e delle discriminazioni a proteggere le proprie prerogative e a rifiutarsi di ottemperare a tali richieste da parte del governo federale, assumendo una posizione di principio in difesa dell’equità del processo, di un esame equo, e delle regole che guidavano l’Università di Berkeley prima di questa inaudita violazione della sua autonomia. Non sacrifichiamo la nostra integrità come istituzione cedendo a forme di bullismo e ricatto mascherate da legalismo.
Come K, mi piacerebbe pensare che viviamo in un mondo in cui le accuse non sono considerate vere fino a quando non sono state verificate con procedure adeguate e che, in questo momento particolare della storia umana, non si metta in pericolo un individuo inviando un’accusa infondata e inverificata al governo federale. Forse sono pazza e vivo in un mondo di parabole. Per fortuna mi restano i miei libri. Non è tuttavia da pazzi opporsi all’ingiustizia quando la si riconosce così chiaramente, come presumo sia il suo caso.

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