Helmut Failoni
Arvo Pärt. La musica fa tabula rasa
Corriere della Sera La Lettura, 7 settembre 2025
In passato, uno dei desideri di Arvo Pärt (Paide, Estonia, 11 settembre 1935) — compositore di culto e, fra i contemporanei, uno dei più eseguiti — fu quello di riuscire a comporre un brano di una sola nota. «Ma finora non ho avuto il coraggio necessario», dichiarava in un’intervista, con quel suo sorriso pieno di stupore e meraviglia che ancora oggi lo fa assomigliare a un bambino che sta scoprendo il mondo, nonostante giovedì 11 settembre compia 90 anni. Li festeggerà nel suo Arvo Pärt Centre — l’attivissima fondazione a lui dedicata, immersa nella natura estone di Laulasmaa, a una trentina di chilometri da Tallin — anche con l’uscita di un nuovo disco, Arvo Pärt. And I Heard A Voice (Ecm) dell’ensemble Vox Clamantis diretto da Jaan-Eik Tulve. Che dice a «la Lettura»: «Comprendo molto bene la musica di Arvo attraverso la lente del canto gregoriano. Il testo è fondamentale e tutto ruota attorno ad esso». Pärt stesso ha sottolineato più volte come la musica in fondo sia metaforicamente già lì, scritta nei testi. Tulve aggiunge: «Arvo scrive la sua musica con profonda intimità e onestà. Ogni brano, pure il più piccolo, è un mondo a sé. Anche se abbiamo cantato alcuni suoi lavori centinaia di volte, (ri)suonano sempre nuovi».
Sul brano che dà i titolo al disco, Tulve spiega: «And I Heard A Voice è l’unica delle sue opere di contenuto sacro a essere basata su un testo della Bibbia estone. Arvo una volta si imbatté in un’antica Bibbia estone. In un passaggio dell’Apocalisse, parlando dei morti, veniva usato il verbo respirare invece di riposare: “I morti respirano dalle loro fatiche”. E questo verbo respirare si ripete in tutto il brano. Quando Arvo mi fece conoscere quest’opera, me la cantò: improvvisamente il significato della vita eterna mi divenne molto chiaro e concreto».
Pärt, ai suoi esordi nell’Estonia ormai sovietica, lavorò come tecnico del suono alla Radio nazionale, studiò al Conservatorio di Tallin con Heino Eller, attraversò gli estremismi delle avanguardie del Novecento, compose anche alcune colonne sonore, ricevette riconoscimenti dall’Urss (1962) accompagnati qualche anno dopo da critiche di regime (toccò al Credo, 1968, per gli ovvi contenuti religiosi).
C’è dunque un Arvo Pärt compositore giovane, fino al 1968. C’è però anche un Arvo Pärt che fra il 1968 e il 1976 si chiuse in un assordante silenzio compositivo. C’è poi ancora un Arvo Pärt dopo il 1976, quando aveva ripensato tutto il suo universo sonoro e la sua scrittura, studiando (anche) la musica medievale e rinascimentale, la polifonia francese e fiamminga, il canto gregoriano, dando vita inoltre, con Für Alina, brano pianistico che sembra sospeso fra la terra e il cielo, a uno stile nuovo, il Tintinnabuli. Che ha diversi significati ma è soprattutto l’idea di un suono che è simultaneamente statico e in flusso: è «la regola — secondo Pärt — in cui la melodia e l’accompagnamento sono una cosa sola. Uno e uno sono uno, non sono due».
Successivamente Pärt compone alcune pagine straordinarie. Citiamo (le date sono quelle dell’uscita discografica): Arbos (1987), Passio (1988), Miserere (1991), Te Deum (1993), Litany (1996), Kanon Pokajanen (1998), Adam’s Lament (2012)...
La consacrazione internazionale del compositore avvenne nel 1984, quando la sua musica venne svelata alle orecchie dell’Occidente con l’incisione (di enorme successo) di Tabula Rasa. Titolo a programma: tabula rasa come una lavagna ripulita, pronta ad accogliere nuova scrittura. È un disco-manifesto, un album visionario che dà il via alla svolta epocale di Pärt come compositore. Parole chiave: visione, silenzio, trasparenza, lucentezza, fissità, chiarezza, concentrazione, incantamento, (apparente) semplicità, eco, risonanza, preghiera, lucidità, attesa, pazienza, cammino, unità, simmetria, contemplazione, eternità, mistero. Tabula Rasa contiene cinque tracce che sono cinque capolavori, prodotti dall’etichetta tedesca Ecm di Manfred Eicher, che ebbe il grande merito di avere intuito l’ansia di un cambiamento, il seme di una nuova musica, nelle periferie geografiche di un Paese al confine fra Oriente e Occidente: Orient Occident è il titolo di un altro disco di Pärt del 2002, realizzato con Orchestra e Coro della Radio svedese diretti da Tõnu Kaljuste, maestro spessissimo a fianco del compositore.
Eicher rievoca così il suo primo incontro con i suoni di Pärt: «Una sera stavo andando in macchina da Stoccarda verso Zurigo. Ero solo, accesi l’autoradio. Una stazione stava trasmettendo qualcosa che mi colpì profondamente. Lasciai subito l’autostrada per andare a cercare un luogo che mi permettesse di godere al meglio questa musica. Improvvisamente la ricezione divenne però più debole. La musica d’un tratto scomparì. Non sapevo di chi fosse, ma dovevo scoprirlo a tutti i costi. Dopo diverse ricerche ci riuscii: era Arvo Pärt». Eicher cercò subito di contattare il compositore il quale, dal 1980, a causa dell’intensa pressione che subiva dalla censura sovietica, si era trasferito a vivere a Vienna con la moglie Nora e i due figli. «Potrei dire — racconta Pärt a Enzo Restagno nel bellissimo libro da lui curato Arvo Pärt allo specchio (il Saggiatore) — che la mia esistenza materiale fino al momento dell’emigrazione, è stata catastrofica».
«Quando riuscii a mettermi in contatto con lui — continua Eicher — ci incontrammo. Il compositore conosceva la musica di Steve Reich e Meredith Monk... Gli diedi il disco di Keith Jarrett dedicato al filosofo e mistico armeno George Ivanovich Gurdjieff e poi gli chiesi di registrare insieme: nacque Tabula Rasa ,la prima incisione occidentale di Pärt». Che contiene due versioni di Fratres, Cantus in Memory of Benjamin Britten e Tabula Rasa. Per questo disco Eicher coinvolse il violinista Gidon Kremer (che ripetè come questo disco gli avesse cambiato la vita), il pianista Keith Jarrett... Il suo continuo successo? Alla fine forse, Pärt negli ultimi 40 anni ha continuato a cogliere i bisogni più profondi di un presente in divenire.
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