Alessandro Martini Maurizio Francesconi
Il "capitale sociale" e la forza delle mafie
Corriere Torino, 5 settembre 2025
«Le mafie “storiche” hanno origine in zone specifiche: Cosa nostra nella Sicilia occidentale, la ’ndrangheta nella metà meridionale della Calabria, la camorra soprattutto nel Napoletano... Tutte queste mafie mostrano da subito un raggio di azione e di movimento sovralocale, ovvero una tendenza all’espansione territoriale». Nel suo Prima lezione di sociologia delle mafie, in uscita oggi per Laterza, Rocco Sciarrone, 59 anni, professore ordinario all’università degli Studi di Torino e tra i massimi esperti di mafie in Italia, prende il via dalla Storia per offrire una panoramica aggiornata, articolata ma sintetica (e chiarissima, addirittura appassionante), di ciò che la Sociologia intende per mafia. O meglio mafie, al plurale. «Questo libro», spiega, «mi ha permesso di sistematizzare tre decenni di studi sui temi delle mafie e dell’antimafia all’interno delle sue aree storiche, ma anche in quelle di nuova espansione, compreso il Piemonte».
Quale definizione dà lei, oggi, delle mafie?
«Non c’è una definizione univoca e gli studiosi ancora discutono. La mia proposta è questa: la mafia è una forma di criminalità organizzata peculiare, perché è in rapporto stretto con l’economia legale, la politica e le istituzioni, e combina insieme la dimensione culturale e simbolica, quella economica e imprenditoriale, ma soprattutto quella politica. Cioè la gestione del potere, a livello territoriale». in alleanze funzionali a ottenere il sostegno e le competenze di professionisti e imprenditori che operano nel mondo della legalità. È una capacità fondamentale per radicarsi, ma anche per espandersi in nuovi territori. Lo dimostra la ’ndrangheta, oggi la più abile nel penetrare in nuovi mercati e trovare alleanze trasversali». illeciti e con i sequestri di persona, per arrivare dagli anni Duemila all’economia legale, grazie anche alla collusione con la politica locale. Basti pensare che il primo consiglio comunale sciolto per mafia al Nord è stato quello di Bardonecchia, nel 1995, seguito nel 2012 da Rivarolo Canavese e Leinì. Molto è cambiato dal 2011, con l’operazione Minotauro, cui sono seguite importanti inchieste che hanno mostrato l’ingerenza della ’ndrangheta nel traffico di stupefacenti e nel gioco d’azzardo, ma anche nell’edilizia, nel movimento terra, nei servizi alle imprese...».
Come appare oggi la situazione, a lei che a Torino è molto impegnato sui temi della mafia e dell’antimafia anche al di fuori dell’ambito accademico?
«Questa è la città in cui nel 1995 è nata Libera, di cui ricorre quest’anno il trentennale, grazie all’iniziativa di don Ciotti e di un pezzo di magistratura e delle istituzioni di allora. È grazie a Libera che è nata la legge sull’uso sociale dei beni confiscati, pilastro fondamentale della lotta alla mafia. Torino rimane avamposto della lotta alla mafia, ma ci sono luci e ombre. Sconta ad esempio ritardi e resistenze: dopo anni di sottovalutazione del tema da parte del mondo politico ed economico, soltanto negli ultimissimi anni si nota una maggiore attenzione da parte, ad esempio, della Camera di Commercio, dei sindacati e di alcune associazioni di categoria e ordini professionali, che almeno non negano più il problema. Perché, ricordiamolo, la mafia non è l’invasione degli alieni e tantomeno un virus venuto da fuori, ma si basa anche su “fattori di contesto”, ospitali e accoglienti, che agevolano l’infiltrazione mafiosa. Qui, e ovunque in Italia e nel mondo».
Che cosa direbbe a chi ritiene la mafia un’emergenza ormai superata, lontana dalle nostre vite?
«Direi che è una lettura preoccupante, perché spinge a una sorta di normalizzazione della presenza del fenomeno. Tutte le indagini mostrano una forte capacità delle mafie di rigenerarsi e di ristrutturarsi. Certo, la loro natura è oggi molto più di tipo economico e imprenditoriale. Ma non bisogna cadere nella logica del “non ci tocca”, perché la mafia penetra in ogni aspetto della nostra vita quotidiana, e quando emerge può essere troppo tardi».
● Rocco Sciarrone è nato nel 1966 a Taurianova (Reggio Calabria)
● Laureato all’università di Torino, Dottorato alla Statale di Milano, è professore ordinario di Sociologia economica all’università di Torino, dove dirige il Laboratorio di Analisi e Ricerca sulla Criminalità Organizzata
● È presidente della Società scientifica italiana degli studi su mafie e antimafie e socio corrispondente dell’accademia delle Scienze di Torino● Tra le sue più recenti pubblicazioni, Il gioco d’azzardo, lo Stato e le mafie (con F.esposito e L.picarella, Donzelli 2023)
● Il volume Prima lezione di sociologia delle mafie esce oggi in libreria, pubblicato da Laterza
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