lunedì 1 settembre 2025

Il fascismo e noi


Simonetta Fiori
Perché non possiamo non dirci fascisti

la Repubblica, 1 settembre 2025

È un libro coraggioso e inquietante, Il fascismo e noi, che va maneggiato con molta cura. Perché al centro della nuova indagine di Roberto Esposito è un legame inconfessato e lungamente rimosso, una zona oscura in cui è riuscita a penetrare solo la letteratura. Al di là della sua finitezza storica, il fascismo ci appartiene? È dentro di noi, intride di sé le strutture psichiche profonde, individuali e collettive? E, pur nella sua catastrofica rottura, può vantare un’indiscussa familiarità con la storia e con il pensiero occidentale? Un corpo a corpo con noi stessi da cui il lettore in cerca di consolazione uscirà ammaccato. Dalla dotta e limpida dissertazione lunga trecento pagine (l’editore è Einaudi) potrà ricavare solo risposte poco rassicuranti.

Il fascismo ci riguarda, sostiene Esposito. E continuerà a riguardarci. Distogliere lo sguardo da questa pericolosa prossimità, spingere l’oggetto lontano da “noi” perché sono “altri” i responsabili della sua realizzazione, non solo non serve a niente ma potrebbe essere politicamente letale. Mortale per la democrazia. Un appello alla responsabilità che investe tutti, ma soprattutto i filosofi, accusati di essere intervenuti nell’ultimo cinquantennio «in maniera sporadica ed estemporanea». La storiografia ha fatto molto di più, ma gli storici – è l’opinione dell’autore – hanno le armi spuntate, costretti a fermarsi sul bordo dell’ombra. Solo la filosofia può fare il lavoro sporco, in una resa dei conti che finora è stata rimandata. Ovviamente per sostenere la sua tesi Esposito deve riperimetrare la nozione di fascismo - o, meglio, di “nazifascismo” - non più inteso come fenomeno storicamente determinato, che ha un inizio e una fine, ma come una concezione dell’uomo e del mondo che sopravvive alle macerie della storia.

Non si tratta quindi di ripristinare il “fascismo eterno” evocato da Umberto Eco, categoria liquidata come poco convincente, ma di riconoscere nel fascismo una vera e propria filosofia, come ha fatto lo storico israeliano Zeev Sternhell. «La filosofia non può aver paura di sé stessa», scrive Esposito, «non può negare le ferite incise nella sua carne, le continuità che l’hanno spinta a ridosso del male radicale». Da qui la scelta di riproporre filosofi, psicoanalisti e anche romanzieri che non hanno avuto paura di oltrepassare il confine proibito, mostrando la rovinosa relazione tra il fascismo e la nostra storia, le nostre idee, le nostre pulsioni irrazionali, anche quelle sessuali.

Una biblioteca assai eterogenea, che dagli anni Trenta del secolo scorso – ma anche dagli albori del Novecento - arriva all’evo contemporaneo, includendo le tempestive riflessioni di Bataille e Lévinas, l’analisi scandalosa di Simone Weil, il pensiero francofortese da Ernst Bloch a Marcuse, le cupe interpretazioni psicoanalitiche di Reich e Fromm scaturite da Freud e più tardi riprese da Deleuze e Guattari, fino alla pietra tombale posta da Michel Foucault: il fascismo è dentro di noi. Un approdo portato alle sue estreme conseguenze dalla letteratura contundente di Pier Paolo Pasolini, Jonathan Littell e Martin Amis, spericolati nell’inabissarsi nella profondità della compromissione con il male.

A unire questa non sempre lineare genealogia è la capacità degli autori di intravedere il carattere più autentico del fenomeno inteso non tanto come “regime” o “dottrina” ma come «macchina metafisica generativa» nel senso di macchina «capace di generare le sue stesse condizioni di esistenza». Non tutti gli intellettuali proposti nel libro nominano espressamente il dispositivo fascista, ma ne sanno cogliere il tratto essenziale che consiste nella capacità di dividere la realtà tra opposti, «immettendo l’uno all’interno dell’altro, dopo averli modificati entrambi». Tecnologia e mito vi convivono, così come rivoluzione e reazione, modernità e arretratezza, capitalismo e anticapitalismo, anarchia e ordine, elitismo e populismo.

Non sono «contraddizioni inconsapevoli», ma viene messa in atto «una strategia molto accorta per occupare tutte le posizioni in campo, lasciando l’avversario fuori dal gioco». In che modo questa “macchina” ci riguarda? In parte spiega come hanno fatto i leader totalitari a soggiogare le masse. E come potrebbero di nuovo riprovarci. Ma per penetrare l’altra faccia del problema - il desiderio delle masse di essere dominate – bisogna accendere una luce sulle pulsioni irrazionali che alimentano il funzionamento del dispositivo fascista. È il momento di stendersi sul lettino di Freud, capace di intercettare la questione prima dell’avvento dei regimi. È con il padre della psicoanalisi che lo sguardo si sposta sul desiderio, potente benzina della macchina totalitaria: il desiderio delle masse di essere sottomesse, sul quale si fonda il contagio della suggestione. Meccanismi incontrollati, tra sadismo e masochismo, che fanno parte degli esseri umani, per cui il germe fascista cova naturalmente nella massa

Spetta a Foucault compiere il passaggio definitivo, quello radicale («il fascismo abita il nostro spirito e la nostra condotta quotidiana»), seguito a ruota da Guattari, autore di un saggio esplicito soprattutto nel titolo della sua edizione inglese, Everybody wants to be a fascist. Guattari certo non poteva immaginare che cinquant’anni più tardi a dargli manforte sarebbe intervenuto il presidente degli Stati Uniti, che recentemente ha sostenuto che in molti desiderano la dittatura: riflessione che però non pare tradire la stessa angoscia manifestata dai filosofi dell’Anti-Edipo.

E qui ci avviciniamo a una delle poche domande che Esposito non formula direttamente, ma la cui risposta è forse nell’intero libro. Perché un professore emerito della Normale, a un secolo da quei fenomeni storici, si prende la briga di dedicare un saggio così denso al fascismo che è in noi? I riferimenti all’attualità sono fuggevoli, tra le righe ogni tanto un accenno ai populismi contemporanei, definiti «nuovi travestimenti» del fascismo. Ma è evidente che nell’incrocio vincente degli autoritarismi mondiali, e tra i rumori sinistri di un edificio democratico pericolante, Esposito ci abbia voluto mettere in guardia. I meccanismi pulsionali connaturati agli esseri umani «non si possono fermare, semmai orientare in un modo diverso». È qui che le forze democratiche possono intervenire per sconfiggere le seduzioni populiste. «Combattere il fascismo vuol dire, prima che negare la sua ideologia, smontare la sua macchina generativa che è dentro di noi». Meglio saperlo per tempo, prima di diventarne complici.

1 commento:

  1. Una recensione che in assenza di una definizione comprensibile e preliminare" alla Bobbio "del fenomeno assume se posso dire anche i tratti vagamente intimidatori della sindrome del Minosse dantesco.somo certo che il saggii sia piu'penetrante

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