mercoledì 3 settembre 2025

De Sanctis innamorato


Lezioni di scrittura : lettere a Virginia Basco (1855-83) / Francesco De Sanctis ; a cura di Fabiana Cacciapuoti. - Roma : Donzelli, 2001!. - XXX, 145 p. 

Le lettere che Francesco De Sanctis inviò a Virginia Basco fra il 1856 e il 1883 non sono soltanto la testimonianza di un intenso e sofferto scambio affettivo, di un amore mai fino in fondo dichiarato, che si protende lungo un arco pluridecennale, e resiste alla differenza d'età. L'asimmetria di quella relazione si esprime anche e soprattutto attraverso un rapporto di natura pedagogica. De Sanctis, il professore, l'insigne storico della letteratura italiana, elegge Virginia a sua allieva prediletta. Le scrive con l'intento dichiarato di insegnarle il bello scrivere; si fa promotore, presso di lei, di una vera e propria iniziazione alla scrittura letteraria. Pubblicate per la prima volta da Benedetto Croce nel 1917, e qui riproposte con l'aggiunta degli inediti e restituite alla lezione originaria che il ritrovamento degli autografi ha consentito, le lettere rivelano l'intensità del progetto che legava il professore alla sua allieva. Come in un romanzo di formazione, De Sanctis trasmette alla sua giovane corrispondente l'idea di una letteratura che sia soprattutto passione e strumento di conoscenza, nello stesso momento in cui, per insegnarle la tecnica della scrittura, le indica gli autori e le opere con cui confrontarsi. E dunque, vere lezioni di scrittura sono quelle che si leggono in queste pagine: la struttura della novella, del racconto epistolare, la costruzione dei personaggi ideati a partire dal dato reale, la descrizione dei tipi, la scelta della situazione, la differenza fra tragedia e dramma, la composizione poetica. E su ogni suggerimento prevale l'attenzione a una letteratura che non sia cosa morta, ma contrasto di opposti in cui si riproduca la vita. (presentazione editoriale)

Carla Piro Mander
Corriere Torino, 2 settembre 2025

«La tua ultima lettera mi perseguita, Virginia; se scrivo o se cammino, è una voce ostinata che mi distrae o mi sussurra all’orecchio: Quant’Ella è buona, caro Professore! “A che pensi?”, mi dicono all’intorno. Io non rispondo, ma dico in me stesso: “Quant’ Ella è buona, caro Professore!”. Oggi, facendo lezione, mi parea che quella voce mi venisse dalla finestra e talora vedeva in mezzo a’ giovani i tuoi occhi che mi guardavano».

È il 17 giugno 1856 e Francesco De Sanctis, professore di letteratura italiana, scrive da Zurigo, dove insegna. Ha 39 anni e da poco ha ottenuto una cattedra presso il Politecnico di quella città. Il suo è un nome noto. Avellinese, umanista e critico letterario, ha già avuto tra i suoi allievi alcuni di quelli che sarebbero poi diventati tra i principali nomi della cultura italiana: Giustino Fortunato, Pasquale Villari, Angelo Camillo De Meis, Luigi La Vista.

Gli scritti della prima parte della sua vita, ispirati a una sensibilità romantica, hanno lasciato spazio a una naturale tendenza progressista, a nuove concezioni liberali. Si è avvicinato alla politica, a maggio del ‘48, convinto sostenitore delle richieste di libertà unità e diritti costituzionali, è salito sulle barricate delle rivoluzioni che stanno moltiplicandosi in Europa. Ha preso parte ai moti insurrezionali della Primavera dei popoli e per questo nel novembre dello stesso anno è stato sospeso dall’insegnamento. Si è rifugiato in Calabria ma nel 1850 è stato arrestato e recluso a Napoli, dove è rimasto fino al 1853 quando, espulso dal Regno dalle autorità borboniche e fatto imbarcare per l’America, ha potuto fermarsi a Malta e quindi a rifugiarsi a Torino.

Quando scrive la lettera a Virginia è un critico affermato, una delle figure più importanti del Risorgimento italiano, a cui Croce Gentile e Gramsci, divisi su molte cose, guarderanno come a un maestro ideale. Lei è Virginia Basco, vent’anni meno di lui, vive tra Torino e Mazzè e discende da una facoltosa dinastia radicata in canavese. Francesco l’ha conosciuta nel periodo in cui — scrive Croce — «esule in Torino, insegnava nell’istituto femminile della signora Elliot». All’ottenimento della cattedra svizzera però, ha dovuto lasciare il Piemonte, senza dimenticare la giovane allieva che forse ha corrisposto ai suoi sentimenti. Per lei — scrive Croce — De Sanctis accarezza un sogno di amore fino a sperare di farne «la sua sposa». Ma le cose vanno diversamente.

«Mia cara Virginia — è l’ottobre del ‘56 — entravo nella mia stanza e mi parve sì brutta. Qui, dicevo tra me, dovrò rimanere incarcerato per tanto tempo, e qui non vedrò alcun volto d’amico, non un sorriso benevolo. [...] Così passeggiavo in lungo e in largo, ricordando tristamente la mia stanza di Torino, quando la mia brutta camera mi parve che s’illuminasse di un tratto, reggendo sul mio tavolino una lettera di Virginia. Guardai due o tre volte; temevo d’ingannarmi. Ma riconoscerei tra mille il tuo carattere, che mi ha tante volte destate sì grandi commozioni. Per quale miracolo una tua lettera si trovava prima di me a Zurigo? Sorrisi della mia credulità e compressi amaramente la mia commozione [...] Cominciai a leggere e mi pareva di trasognare. Mio Dio! È proprio una tua lettera che tu indirizzavi a Belgirate, e che i miei pietosi amici mi hanno mandata a Zurigo. Ho passato un’ora con la tua lettera in mano; ne ho commentata ogni parola. Mi è sembrato come un lungo e doloroso addio. Purtroppo è vero, mia Virginia. Il cielo non avea destinato che noi vivessimo insieme, e mi ha lanciato lontano da te e da tutti i miei cari».

Virginia infatti è andata sposa al conte Enrico Riccardi di Lantosca, ma la devota corrispondenza di De Sanctis continua, qualche volta anche nonostante il silenzio di lei. A dicembre: «E chiuderei dunque questa lettera, senza parlare un po’ con te, Virginia? Ti ho scritto, ed attendo risposta. [...] Una tua lettera, Virginia, e non passerò male questi giorni; leggendo le lettere che ricevo, mi parrà di stare in mezzo ai miei cari, di conversar con loro; non sentirò di esser solo. Teresa mi ha scritto, e son contento ora. Ma tu pure mi scriverai, n’è vero? Perché anche tu vuoi bene al professore ed egli ha tanto bisogno di sentirsi amato!».

Le risposte di Virginia si faranno sempre più rare, sposata e dimentica del suo professore. Che invece non la dimenticherà mai e che ancora qualche mese prima di morire, nel maggio 1883, le scriverà: «Cara Virginia, dopo tre anni di lotte e di travagli finalmente ho acquistato l’uso degli occhi. Tu mi hai dimenticato e mi hai lasciato solo in mezzo ai miei mali. Ma che fare? Sei sempre Virginia, dagli occhi dolci e dal sorriso intelligente e mi ricordo di te e ti chiamo. Lunedì sarò a Roma. Chi sa che non ci possiamo vedere. Sarà per me una gioia. Sempre tuo amico F. De Sanctis».

Virginia e Francesco non si vedranno più. Sarà Benedetto Croce, anni dopo, nel 1917, volendo celebrare il centenario della nascita di De Sanctis, a farlo raccontando la storia dell’amore delicato, quasi inconfessato, che aveva legato Francesco e Virginia, e — recuperate da quest’ultima ormai settantottenne, le missive originali — pubblicherà Lettere a Virginia che ancora custodisce l’intero epistolario.

«… Di questa finezza ed amabilità io ebbi a sentire gli estremi raggi quando, nei 1914, fattole pervenire per mezzo di una comune amica il mio desiderio di ottenere copia delle lettere del De Sanctis che ella serbava, fui invitato nel settembre alla sua villa di Mazzè Canavese, e ricevetti da lei premurosa accoglienza. E subito ella cavò da una cassetta e mi porse le lettere del suo maestro, legate con nastrini di seta celeste scoloriti dagli anni; e parecchie ne leggemmo insieme, sottolineate durante la lettura dal suo sorriso (particolarmente nei luoghi in cui si toccava di sue ambizioni letterarie); e tutte mi permise di portare con me, per copiarle a mio agio per la pubblicazione che preparavo».

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