Cristina Piccino
Divina Duse, diva nel suo tempo e nel nostro inquieto presente
il manifesto, 4 settembre 2025
C’è una scena all’inizio del nuovo film di Pietro Marcello che ne dice il movimento, quando la sua protagonista davanti ai soldati devastati dalla violenza della prima guerra mondiale che la osservano con stupore, rifiuta di salire su un palco improvvisato e rimane discosta per il suo discorso a quei giovani stanchi, feriti, disorientati. Eppure è stata una grande attrice, la più grande fino a qualche anno prima, ma il conflitto si è portato via il suo tempo e con esso quel sogno di innocenza del Novecento che era forse solo un’illusione. Si può ricostruire uno spazio nuovo? Nell’incertezza è meglio restare lontano dal palco specie per chi come lei ha bisogno dell’emozione prima che delle parole. Duse – a dire l’iconica potenza del personaggio – il nuovo film di Pietro Marcello in concorso non è però un biopic della divina, come la chiamavano, una delle più grandi interpreti teatrali fra Ottocento e Novecento, acclamata in Italia e nel mondo, nata a Vigevano nel 1858 e morta a Pittsburgh nel 1924 di tubercolosi.
AMATA da D’Annunzio che la omaggiò in molte opere a lei dedicate o ispirate di cui Duse fu interprete, una relazione irrequieta e profonda, che il Vate raccontò in Il fuoco di reciprocità artistica e anche di fama. Duse la leggenda. E la donna fragile che è in un mondo improvvisamente diverso, che non riconosce più, le sfugge, col quale la sua arte non trova una corrispondenza – pure se il teatro lo aveva già lasciato prima. Eppure aveva fatto vivere figure femminili indimenticabili, dalla Teresa Raquin di Zola a Casa di bambola, trovando per ciascuna la forza, la dolcezza, la verità. Era stata una pioniera, capocomica di una sua compagnia, ispirazione per altre donne intellettuali, amica di Sarah Bernhardt.
È in questa frattura che Pietro Marcello costruisce Duse – sua la sceneggiatura insieme a Letizia Russo, Guido Silei – che come Martin Eden del suo precedente film vive su un bordo forse non conciliabile col resto del mondo, in una storia che travolge chi la attraversa. E incarna lo spaesamento di paese e di un’epoca, l’Italia postbellica che corre verso il fascismo. Ma se Martin Eden si chiudeva nell’ego impazzito di sé, per Duse è il teatro l’unico spazio possibile di resistenza, dove esprimere e misurare le inquietudini personali e collettive.
Ci torna per ragioni economiche, ma soprattutto perché anche se la malattia la rende sempre più vulnerabile, è solo lì che può continuare a esistere, in quella sfida che le permette di essere sé stessa, di confrontarsi coi poteri, con la bellezza, con la lotta dello stare al mondo – il cinema sarà un episodio isolato con Cenere (1916). Marcello si affida per questa nuova scommessa di un personaggio che unisce le tensioni emozionali dell’intimità e quelli del suo tempo a Valeria Bruni Tedeschi, e lei diventa Duse o Eleonora, la sua debolezza e la sua passione, i suoi capricci, la solitudine, gli slanci traditi.
È Duse o Eleonora la mamma amatissima da cui la figlia (Noemie Merlant) deve liberarsi, la nonna che spaventa i nipotini leggendo Cappuccetto Rosso, l’amante che a Venezia cerca ancora D’Annunzio, l’attrice che conquista il suo pubblico tornando in scena con La donna del mare? Che combatte ogni giorno, si interroga sul senso della sua arte, della quale la giovane assistente vorrebbe essere anche la figlia (la splendida Fanni Wrochna)? Bruni Tedeschi nel personaggio porta il teatro e la vita che la regia di Marcello, nei primi piani e nei suoi passaggi imprevedibili cattura e rende con fisicità accordandosi agli altri interpreti – da Vincenzo Nemolato a Fausto Russo Alesi – in un atto d’amore nel quale questo confine si fa sempre più sfumato.
DUSE nelle prove coi giovani attori con i quali sarà in scena per il suo ritorno – La donna del mare insieme a Ermete Zacconi – somiglia allo Chereau di Les Amandiers (il film di Bruni Tedeschi), e quella dimensione storica che affermano gli archivi usati con sapienza e necessità, cosa sempre più rara oggi, fa risuonare il suo essere presente universale con le domande che interrogano l’arte, l’artista, noi stessi. Le scelte e i rischi che portano in sé. Marcello realizza qui uno dei suoi film più potenti (con dedica a Goffredo Fofi) affermando uno sguardo che nel cinema cerca ancora il piacere del gesto e quell’indipendenza dalle convenzioni più formattate, la stessa che Duse cercò nella sua arte e vita.

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