mercoledì 3 settembre 2025

Nessun miracolo


Francesca De Benedetti
«Nessun miracolo» salverà il governo Bayrou: la strategia di Le Pen l’ineleggibile
Domani, 3 settembre 2025

Quando Jordan Bardella, presidente del Rassemblement National, esce da Matignon al fianco di Marine Le Pen, della quale è il delfino, e pronuncia quella frase che nel giro di poco, questo martedì mattina, salta in cima a tutte le testate francesi – «Le miracle n’a pas eu lieu», nessun miracolo – il riferimento è al fatto che la consultazione avviata lunedì da François Bayrou in vista del voto di fiducia dell’8 settembre non ha prodotto spostamenti nella posizione del partito di estrema destra: i lepeniani restano determinati a far cadere il governo.

«Nessun miracolo», quindi: come a dire che si sapeva. Bayrou stesso deve averlo saputo già a fine agosto, quando si è cucito su misura la propria uscita di scena (senza rinunciare tuttavia all’illusione di una vita, un’entrata all’Eliseo, destinata a fallire ancora). «Nessuno dei primi ministri ha avuto il coraggio di rompere col macronismo», ha aggiunto Le Pen, lasciando anche lei intravedere il proprio orizzonte di una vita: la presidenza.

L’estrema destra francese invoca la «dissolution», cioè lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e il ritorno al voto, che torna a essere l’opzione, essendo caduto ogni impedimento costituzionale: è passato più di un anno dall’ultima volta che Macron ha mandato all’aria il parlamento. «Noi – io e Jordan – chiediamo una dissoluzione ultra rapida».

Ma quali sono gli scenari possibili per la coppia Bardella-Le Pen, con l'ineleggibilità pendente di lei e gli scandali multipli – inchieste comprese – sui finanziamenti del partito? Sul piano strettamente formale, ricorsi e ruoli non elettivi come opzione per Le Pen. A livello strategico, grandi sostenitori dal mondo della finanza e soprattutto una strategia a testa doppia, che porti a maturazione la normalizzazione in corso: una testa è quella del delfino Bardella, che si presenta come amico del mondo dell’impresa – strategia già tentata da AfD con l’ultraliberista Alice Weidel – e l’altra è quella ideatrice di Le Pen, che si incarica di mantenere attrattivo l’Rn per gli infuriati e per le piazze, tentate sempre più dalla sinistra radicale (il 10 settembre i gilet rossi promettono di «bloccare tutto») e organizzate dai sindacati (sciopero il 18).

Strategia a doppia testa

Se davvero l’assemblea verrà sciolta in maniera «ultra rapida» come Le Pen chiede, la leader non potrà essere eletta alle legislative: sconta la condanna arrivata a fine marzo, con eseguibilità immediata, e le resta solo la vaga speranza del ricorso alla Corte d’appello di Parigi, che ha garantito un processo entro l’estate 2026. Dunque in tempo per le presidenziali 2027 (se i tempi restano regolari) ma non per le parlamentari.

Marine Le Pen va annunciando che presenterà «une question prioritaire de constitutionnalité» ma sulla plausibilità di questo scenario i costituzionalisti si dividono; quel che è certo è che la mossa serve politicamente a tener caldo l’elettorato, sventolando la bandiera di leader del popolo sotto attacco.

Pluricandidata alle presidenziali, Le Pen finora ha sempre perso, ma ha perso sempre meglio: difficile credere che l’Eliseo sia scomparso dal suo orizzonte ideale, anche se Jordan Bardella è incaricato di farne le veci in caso ci siano impedimenti tecnici (con buona pace di Marion Maréchal, tornata dalla zia quando il momento era propizio ma umiliata con uno spazio ridotto, pure alle venture amministrative).

Tuttavia i retroscenisti francesi aggiungono a questa traiettoria anche un altro passaggio: se non eleggibile in Assemblea, Le Pen potrebbe comunque puntare a un ruolo da premier. 

Orizzonte 2027

La pena di ineleggibilità non impedisce infatti di assumere incarichi non elettivi, e il primo ministro viene nominato; certo, dal presidente della Repubblica, che al momento è Macron. A meno che l’Rn sfondi con la maggioranza assoluta, è plausibile che la caduta di Bayrou si riveli soprattutto un intermezzo verso la vera meta: le presidenziali.

Da quella notte del 9 giugno 2024 in cui l’Rn arriva in testa alle europee e l’Eliseo scompone il quadro avviando la Francia alla crisi politica, l’estrema destra non è stata bloccata: il contrario. Macron ha dato a Le Pen il potere di vita e morte su governi come quello Barnier; per non parlare delle cene, già tempo fa, tra macroniani e lepeniani.

La demonizzazione della sinistra, spinta dal presidente già nel 2022, è stata adottata come strategia dominante da macroniani e destre d’ogni conio: ormai i Repubblicani dicono spudoratamente che il male si chiama France Insoumise, e per fermarlo si può ben digerire un Rn. Le Pen si incarica di esibire la vena sociale dell’Rn, soprattutto quando – in fatto di consenso – la sinistra radicale è alle calcagna.

Nel frattempo Bardella va ad arringare gli imprenditori (ha parlato al Medef anche a fine agosto) mostrandosi disponibile a tagliare la spesa pubblica e annunciando che le pensioni per capitalizzazione per lui non sono un tabù. Oltre a Vincent Bolloré, pezzo (sempre più) grosso del mondo imprenditoriale, capace negli ultimi anni di piegare a destra (estrema) il sistema mediatico francese, anche il ricchissimo Pierre-Édouard Stérin gioca a fare il Peter Thiel in salsa francese, mischiando antistatalismo e ultraconservatorismo e, soprattutto, finanziando la galassia della destra estrema.

Nonostante i guai giudiziari di Le Pen, il lepenismo è penetrato sempre più nel sistema politico, economico. E anche discorsivo, coi sedicenti centristi pronti a stare al gioco paradossale: infilare gli eredi di Jean-Marie Le Pen sotto il mot «repubblicano».

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