![]() |
| Annemie Schaus |
Nicoletta Verna
Perché Gaza è l'abisso della coscienza occidentale
La Stampa, 2 settembre 2025
Gaza è l’abisso della coscienza occidentale. Annienta ogni illusione di progresso, rende illusoria l’idea di pace che ha consentito all’Europa di nascere e prosperare. È uno dei 56 conflitti attivi nel mondo, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale e (come ogni guerra) rappresenta la negazione di ogni forma di umanità, progresso, morale.
Osservare le immagini delle città rase al suolo, degli ospedali distrutti, delle persone massacrate dopo avere sofferto la fame e la sete ci porta verso un punto ineluttabile: la riflessione sul confine fra ciò che è umano e ciò che non lo è più. Esiste quel confine? Perché è fondamentale metterlo a fuoco? Secondo il filosofo Emmanuel Lévinas, il limite che ci interroga continuamente su noi stessi e il nostro significato è il volto dell’Altro. In questa manifestazione, in questa epifania scopriamo che il mondo è nostro nella misura in cui lo possiamo condividere con l’altro.
È un richiamo etico che dice “non uccidere” e stabilisce la nostra identità, la nostra responsabilità. Se l’altro viene distrutto, anche noi ci annientiamo. Perché nel perdere lo specchio, il riferimento, perdiamo noi stessi. E non resta che il deserto.
Uno dei romanzi che con più lucidità e spietatezza tocca questo argomento è “Meridiano di sangue”, il capolavoro di Cormac McCarthy. È la vicenda di una banda di mercenari che a metà dell’Ottocento caccia e scalpa i nativi americani lungo il confine tra Stati Uniti e Messico, abbandonandosi ai più cruenti massacri. È un testo definitivo, nel senso che mentre lo si legge si avverte la netta sensazione che su quel tema non sia più possibile aggiungere niente.
E il tema, appunto, è il confine di non ritorno, la linea, il meridiano oltre il quale l’umano finisce, e si spalanca l’abisso. McCarthy indaga, per pagine e pagine, il puro gesto di compiere e perpetrare il male, un male che non ha fine né fondo né limite né ragione. Non c’è poesia né epica in questo: è la semplice constatazione che anche la disumanità più assoluta può fare parte dell’uomo. Il fulcro del romanzo è il mefistofelico, glabro, obeso giudice Holden, che guida il gruppo. La sua violenza è insensata e assoluta, innata, inarrestabile.
Il mondo è un errore cosmico, un difetto, e il Giudice ne è la personificazione: una creatura onnisciente che incarna l’essenza metafisica eppure antropica del male. «Solo l’uomo che si sia interamente offerto al sangue della guerra, che sia sceso fino in fondo al pozzo e abbia visto l’orrore tutt’intorno a sé e abbia infine imparato che esso parla all’intimo del suo cuore, solo quest’uomo può danzare». Il male più del bene raggiunge la nostra più profonda essenza, dice McCarthy. E ci fa danzare.
Il Giudice è naturalmente un archetipo letterario estremo. Ma non dobbiamo perdere di vista che individui come questo esistono anche nella realtà. Nella storia. Dobbiamo sapere che la storia umana è anche questo, spesso è stata soprattutto questo: il progresso (termine usato non in accezione positiva, ma puramente cronologica) è passato dallo sterminio dei più deboli.
Prima del non umano (le piante: per Yuval Noah Harari la scoperta dell’agricoltura è «la più grande impostura della storia») e poi degli altri esseri viventi. Dobbiamo sapere questo, e ricordare che non è un fatto relegato al passato, ma è attuale, vivo, presente. Dobbiamo ricordare questo non per perdere la speranza, ma per sapere osservare anche l’indicibile. Il limite, il meridiano. Di Gaza e degli altri 55 conflitti che infiammano il mondo, noi oggi siamo testimoni.
Scrive Curzio Malaparte in un indimenticabile passo de “La pelle”: «Veder morire la gente è una cosa, vederla ammazzare è un’altra. Ti par d’essere dalla parte di chi ammazza, d’essere anche tu uno di quelli che ammazzano». Non dobbiamo sentirci colpevoli, ovviamente. Ma non dobbiamo nemmeno dimenticare un punto fondamentale: noi facciamo parte dello stesso pianeta in cui sta accadendo questo. Quelle vittime sono in tutto e per tutto nostri simili. Guardiamo il baratro da una postazione privilegiata che non ci spettava, che è del tutto casuale, legata a un destino di cui non abbiamo nessun merito.
Il sollievo di sopravvivere alla Storia, di essere a distanza di sicurezza dalla catastrofe non può mai esimerci dalla responsabilità. Il volto dell’Altro è il limite nel male, ma anche nel bene. Ci definisce, è il confine e l’antidoto, e ha un solo modo di manifestarsi: la carità. Carità non significa, come spesso crediamo, compiere gesti immediati, concreti, evidenti. Non è azione individuale, ma manifestazione di una legge più profonda che regola e sostiene la nostra esistenza: l’unica reale possibilità che abbiamo di non estinguerci. È un’attitudine prima ancora che una condotta. Non alimentare l’odio, non assuefarci al dolore altrui. Farci raggiungere dalla sofferenza dell’altro senza nasconderci, e tradurre la ferita in un gesto, grande o piccolo, che restituisca speranza. Soprattutto: distinguere il bene, darvi spazio, voce, importanza.
Le barche della Global Sumud Flotilla stanno viaggiando per portare a Gaza tonnellate di aiuti umanitari. È un obiettivo quasi impossibile: Israele non permette a nessuna imbarcazione di avvicinarsi alle coste della Striscia e ha già avvertito gli attivisti che verranno trattati come terroristi. I rischi che si stanno assumendo sono enormi. Eppure, la missione esiste e va avanti. Il nostro dovere di carità, allora, è questo: sancire questo esistere, ammetterne la straordinaria importanza, sostenerne le ragioni. Impegnarci per riconoscere, scorgere il bene oltre il meridiano: dentro a una delle più grandi tragedie della storia moderna è nata una missione di solidarietà senza precedenti. E, dunque, sapere che in qualunque occasione o circostanza noi possiamo decidere dove stare. Soppesare le conseguenze, presenti e future, della scelta.
Snidare il bene è un allenamento costante, continuo e faticoso. Ma è un allenamento necessario. Ci ricorda che la specie umana sarà sempre capace di praticare la carità. E che noi, di quella specie umana, facciamo parte.
Jean-Pierre Stroobants
All'Università di Bruxelles, l'"onore" conferito a Rima Hassan infiamma gli animi
Le Monde, 25 agosto 2025
Robert Badinter, il ginecologo e attivista congolese Denis Mukwege, Gisèle Halimi, ecc.: dal 2018, i laureandi della Facoltà di Giurisprudenza e Criminologia dell'Université libre de Bruxelles (ULB) scelgono il nome di una personalità che incarni la loro classe. Questo approccio, volto a riflettere i loro valori, non aveva finora suscitato né polemiche né particolare interesse. Fino a quando la "classe" del 2025 non ha annunciato a giugno la sua volontà di optare per il nome di Rima Hassan, eurodeputata franco-palestinese di 33 anni, membro di La France Insoumise (La France Insoumise) e nota, in particolare, per le sue posizioni molto radicali su Israele e il conflitto a Gaza.
Ciò ha allertato i dirigenti della facoltà di giurisprudenza, che hanno chiesto una seconda votazione più "sicura" . Il risultato è stato reso noto venerdì 22 agosto e il nome di Rima Hassan è stato scelto, preferendo quello di Gisèle Pélicot, vittima degli stupri di Mazan, e quelli di due avvocati belgi. "Non si tratta di una scelta dell'istituzione; la votazione si è svolta in un quadro democratico", ha chiarito con cautela Pierre Klein, preside della facoltà di giurisprudenza. Il consiglio di facoltà dovrà decidere giovedì 28 agosto se convalidare o meno la decisione degli studenti.
A quel punto, la controversia si intensificherà. Dopo il voto di giugno, 1.300 personalità hanno firmato un testo che critica i "discorsi divisivi e incitanti all'odio" del rappresentante eletto dell'LFI, mentre, secondo i firmatari, la giovane generazione di giuristi dovrebbe promuovere "una società pacifica e aperta al dialogo ". I numerosi detrattori di Rima Hassan spiegano che è, in effetti, una giurista qualificata, ma le rivolgono principalmente una serie di accuse. Citano la sua collusione con il defunto regime siriano di Bashar al-Assad e il suo rifiuto di votare a Strasburgo a giugno su una mozione che chiedeva alle autorità di Algeri di rilasciare lo scrittore Boualem Sansal. Ricordano anche i suoi commenti sul "legittimo diritto" di Hamas di combattere Israele, la sua approvazione, nel settembre 2024, di una mozione del Parlamento europeo che chiedeva all'Ucraina di cessare i combattimenti e le sue varie accuse di "apologia del terrorismo".
Il rettore dell'ULB reagisce alla conferma del nome di Rima Hassan per la classe di giurisprudenza del 2025
L'ULB ha finalmente confermato il nome scelto dagli studenti del Master 2 in giurisprudenza. La classe del 2025 ha votato per Rima Hassan. Numerose sono state le controversie e le pressioni sollevate.
Il rettore dell'ULB reagisce alla conferma del nome di Rima Hassan per la classe di giurisprudenza del 2025
Université Libre de Bruxelles (ULB) ha confermato che la classe di laureati in giurisprudenza e criminologia del 2025 sarà intitolata all'eurodeputata franco-palestinese Rima Hassan. Questa decisione è stata presa dopo un lungo dibattito e pressioni.
In un comunicato stampa, la rettrice dell'ULB Annemie Schaus ha commentato questa decisione, che "ha suscitato molte emozioni, reazioni e persino insulti e minacce".
"Possiamo considerare questo un errore."
"Devo innanzitutto ricordare un fatto. Questa non è una scelta istituzionale né tantomeno della facoltà, ma piuttosto una decisione democratica degli studenti, e il Preside della Facoltà di Giurisprudenza ha garantito che l'organizzazione del voto fosse impeccabile", ha dichiarato. "Si può considerare un errore o che le procedure di voto avrebbero dovuto essere diverse; ma non si cambiano le regole una volta che il voto ha avuto luogo, almeno non in una democrazia".
"La persistente indifferenza dei nostri governi"
La rettrice ricorda le motivazioni alla base della scelta degli studenti: "La situazione spaventosa vissuta dai palestinesi, denunciata in numerose occasioni dai rettori di tutte le università belghe, nonché la persistente indifferenza dei nostri governi e dei nostri leader, rivoltano i nostri studenti", scrive prima di aggiungere: "È in questo contesto, spinti da un profondo senso di ingiustizia, indignazione e urgenza, che molti studenti trovano eco in coloro che li incarnano".
Razzismo senza vergogna
Annemie Schaus sottolinea le argomentazioni ben documentate che ha ascoltato, ma denuncia il "razzismo sfacciato che traspare da alcune critiche". Si riferisce al commento di Alain Destexhe, ex senatore del MR. Ha pubblicato un elenco di nomi di studenti di giurisprudenza accompagnato da un commento stigmatizzante. L'ULB ha deciso di sporgere denuncia contro di lui. Punta inoltre il dito contro "rappresentanti, politici o di altro tipo, che esercitano pressioni per invalidare un voto democratico o penalizzare gli elettori".
Infine, il rettore chiede che venga preservata "la libertà di espressione per tutti, il rispetto delle decisioni democratiche e la pratica sistematica di un dibattito rispettoso e ragionato".
https://www.bruxellestoday.be/actualite/rectrice-reaction-rima-hassan-promotion.html

Nessun commento:
Posta un commento