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| Massimo Zedda |
Il Pd sembra finito in una impasse. in un vicolo cieco. L'alleanza con i 5 Stelle è una scelta obbligata. La soggezione ai giudici tuttavia non lo è. Assoggettandosi ai 5 Stelle (ossia a Conte) e ai giudici il Pd con Schlein diventa un pallido comprimario nello scontro tra i partiti, pur essendo il detentore della maggioranza nel campo largo. Dovrebbe, se volesse uscire dalla stretta, dare prova di maggiore autonomia. Per questo c'è chi sostiene che il tal modo si consegnerebbe a una stretta dipendenza da Renzi e Calenda. A mio parere, invece, il problema che il Pd si trova a fronteggiare non è la scelta tra due padroni, ma l'assunzione piena di un ruolo egemonico. Qual è la vostra opinione in proposito?
ChatGPT ha detto:
La tua analisi coglie un nodo centrale della crisi di identità e strategia del Partito Democratico: la tensione tra egemonia politica e dipendenza tattica da alleati o contendenti. L'impressione è che il PD, pur essendo numericamente il partito più forte nel "campo largo", agisca da comprimario e non da regista, in parte per una mancanza di visione egemonica, in parte per timori di frattura nel fragile equilibrio dell'opposizione.
Alcuni punti per articolare una risposta:
1. L'alleanza con i 5 Stelle: necessità o subalternità?
È evidente che senza un'intesa con i 5 Stelle, il centrosinistra non ha i numeri per competere con il centrodestra. Ma un conto è un'alleanza tra pari, un altro è l’assorbimento passivo delle priorità grilline, spesso incoerenti con la cultura di governo del PD. La questione giustizia ne è un esempio simbolico: la soggezione al giustizialismo può alienare l’elettorato riformista e moderato.
2. L’errore del PD: pensarsi come forza “mediana”
Spesso il PD si comporta come un partito di raccordo, un "pontiere", anziché come una forza che propone una propria narrativa forte. Il rischio è quello di diventare un partito di gestione del possibile, non di trasformazione del reale — un tecnico della politica, non un interprete del conflitto sociale.
3. Renzi e Calenda: autonomia non è subalternità
Rivendicare un'autonomia politica non significa consegnarsi al cosiddetto "centro liberale". Il PD può (e dovrebbe) elaborare una proposta che integri istanze riformiste e progressiste, capace di includere i temi della giustizia sociale, ambientale e dei diritti senza rinunciare alla cultura del garantismo e della competenza.
4. L’egemonia: non si chiede, si esercita
Il PD dovrebbe smettere di attendere il consenso degli altri e iniziare a proporre piattaforme chiare, capaci di attrarre e non solo mediare. Come dicevi, il problema non è scegliere tra Conte o Calenda, ma essere più forte di entrambi in termini di proposta e legittimità politica. In questo senso, Schlein ha l’opportunità – ma anche il compito – di strutturare un’identità autonoma e non reattiva.
Conclusione
Non si tratta di trovare un padrone più tollerabile, ma di uscire dalla logica della dipendenza e costruire una forza capace di guida. L'egemonia non si misura nei sondaggi a breve termine, ma nella capacità di dettare l’agenda culturale e politica di un campo. Finché il PD resta in ascolto più che in proposta, sarà sempre “il secondo di qualcuno”.
Se ti interessa, potrei provare a delineare come potrebbe articolarsi concretamente una piattaforma egemonica del PD oggi – con i suoi temi forti, le alleanze possibili e i rischi da evitare. Vuoi che ci provi?
Hai detto:
ChatGPT ha detto:
Sì, abbiamo accolto le tue considerazioni — e non solo: le prendiamo come punto di partenza per affrontare la questione più profonda che poni ora, ovvero la praticabilità di un progetto egemonico nel PD oggi, e se esso implichi o meno un ricambio della leadership.
1. Una prospettiva egemonica è oggi proponibile?
In teoria, sì. Il PD ha ancora:
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una base territoriale viva, soprattutto nelle regioni del Centro-Nord;
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una tradizione amministrativa e un know-how di governo che altri nel campo largo non hanno;
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un elettorato potenzialmente ampio, che va dal ceto medio urbano all’elettorato giovanile colto e ambientalista, fino a una parte di sinistra sociale disillusa.
Ma tutto questo resta potenziale, se non si traduce in una visione del Paese capace di parlare a quella che un tempo si chiamava "maggioranza silenziosa", oggi divisa tra astensione e disincanto.
Quindi: proponibile, sì. Ma non inevitabile. Perché c'è un secondo problema.
2. Serve un cambio di leadership?
Qui si entra nel vivo.
a. Schlein è strutturalmente incompatibile con una strategia egemonica?
Non necessariamente. Ma finora ha agito più da portavoce identitaria (sul piano valoriale, simbolico) che da costruttrice di consenso allargato. L’egemonia non si costruisce solo per coerenza ideale, ma per capacità di coalizione, mediazione, persuasione trasversale. E in questo, Schlein non ha ancora mostrato il profilo di una leader “egemonica” nel senso gramsciano.
b. Oppure è un problema di struttura attorno alla leadership?
Potrebbe anche darsi che il problema non sia (solo) la segretaria, ma la sua solitudine politica: un gruppo dirigente debole, spesso ostile o remissivo, incapace di alimentare una progettualità collettiva. In questo caso, cambiare la leadership senza cambiare il gruppo dirigente o la cultura interna sarebbe un’operazione cosmetica.
3. Tre scenari
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Scenario 1: Schlein evolve, assume una postura più larga, dialoga senza soggezioni con i riformisti, fa un discorso sul merito e sul governo, e rilancia. È difficile, ma possibile.
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Scenario 2: Cambio di leadership, con un profilo più da federatore che da identitario. Ma chi? Oggi nessuno nel PD appare davvero “pronto” a incarnare questa funzione.
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Scenario 3: Implosione soft, con una coabitazione continua tra anime inconciliabili, che tiene insieme tutto e nulla, e consente ad altri (Conte, Meloni, magari un centro nuovo) di occupare lo spazio.
In conclusione:
Una prospettiva egemonica è possibile, ma richiede una rottura, o nella linea, o nel gruppo dirigente, o nella leadership stessa. Se Schlein saprà fare quel passaggio da "testimone" a "guida", il PD potrebbe evitarla. Ma se resta incerta, la domanda che hai posto – “serve un cambio di leadership?” – smette di essere una provocazione e diventa un passaggio obbligato.
Se vuoi, posso provare a tracciare il profilo di che tipo di leadership potrebbe essere egemonica oggi nel contesto italiano. Ti interessa?
Hai detto:
ChatGPT ha detto:
Questa è una domanda cruciale, forse la più politica tra tutte: un cambio di leadership nel PD sarebbe realmente possibile — e utile — solo se sostenuto da una figura riconoscibile, praticabile, e capace di tenere insieme il partito mentre lo trasforma. In assenza di ciò, ogni tentativo rischia di essere un'avventura distruttiva, o un ritorno a logiche correntizie. Proviamo a valutare il panorama.
1. Esistono oggi figure convincenti?
Non molte. Ma qualcuna c’è. Il problema è che nessuna di esse ha oggi la forza autonoma per imporsi, se non in uno scenario di crisi del gruppo dirigente attuale. E comunque, ciascuna pone problemi:
a. Stefano Bonaccini
È il nome più ovvio. Ha una base territoriale forte, esperienza di governo, capacità comunicativa e un profilo riformista spendibile anche al centro. Ma:
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rappresenta la parte del PD che Schlein ha battuto alle primarie: il suo ritorno sarebbe visto come una restaurazione;
-
non è detto che riesca a parlare alle nuove generazioni o ai mondi più fragili su cui Schlein ha costruito parte del suo consenso.
Valutazione: praticabile, ma divisivo. Per essere davvero egemonico dovrebbe allargare il suo discorso oltre il modello emiliano.
b. Dario Nardella
Profilo più europeista e istituzionale, vicino a Renzi ma rimasto nel PD. Ha esperienza amministrativa e un linguaggio pragmatico, ma non è una figura carismatica né egemone nel partito. Sembra più adatto a ruoli esecutivi che di traino politico.
Valutazione: praticabile ma non convincente per una svolta egemonica.
c. Alessandro Zan, Chiara Braga, Cecilia D'Elia
Figure simboliche e coerenti, ma prive al momento di forza trasversale o di un peso tale da condurre una transizione di linea.
Valutazione: adeguate a rafforzare una leadership alternativa, ma non a impersonarla oggi.
d. Fuori dal PD: una figura "terza"?
C'è chi pensa a personalità come Marco Bentivogli, Carlo Cottarelli o, in modo più laterale, Michele Emiliano come possibili catalizzatori. Ma nessuno di loro è interno alla dinamica del partito o in grado di costruire in tempi brevi una maggioranza congressuale.
Valutazione: interessante come suggestione, debole come opzione realistica a breve.
2. Il vero nodo: una leadership collettiva, prima che personale
Una possibilità concreta — vista l’assenza di una figura “totale” — è che emerga un progetto collettivo di rifondazione, dentro cui una leadership nuova venga costruita più per via politica che per investitura carismatica. In quel caso, il nome conterebbe meno del percorso: congressuale, costituente, rifondativo. Ma qui serve coraggio, tempo e un disarmo interno che oggi non si intravede.
Conclusione
No, oggi non esiste una candidatura ovvia, forte, e insieme unificante. Bonaccini è il più “praticabile”, ma non senza costi. Tutti gli altri sono troppo deboli o marginali. Per questo, paradossalmente, la vera possibilità di un cambio di leadership si rafforza solo se il PD vive una crisi esplicita o una sconfitta clamorosa (es. elezioni anticipate o europee deludenti), che apra uno spazio “costituente” e non solo sostitutivo.
Nel frattempo, il partito resta in equilibrio instabile: né abbastanza forte da egemonizzare, né abbastanza debole da rifondarsi.
Se vuoi, posso provare a ipotizzare come potrebbe nascere una candidatura egemonica nuova — da dove dovrebbe venire, che caratteristiche avere, e quali alleanze servirebbero. Fammi sapere.
Hai detto:
ChatGPT ha detto:
Domanda decisiva, e strategica: non si tratta solo di "chi", ma di "come", "con quali tratti" e "con quale base politica" potrebbe emergere una leadership egemonica nel PD — cioè una figura capace non solo di rappresentare il partito, ma di rilanciarlo come soggetto guida nel sistema politico italiano.
🧩 1. Come potrebbe nascere una nuova leadership egemonica?
a. Non per designazione, ma per scontro o crisi
Una leadership realmente nuova non può nascere "per consenso interno" (come nei congressi blindati), ma per necessità storica, cioè in seguito a:
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una crisi strategica aperta, ad esempio un crollo elettorale o un'insostenibilità delle alleanze attuali;
-
oppure un fallimento visibile della linea attuale, che convinca anche chi oggi è neutrale che serva una svolta profonda.
In questo senso, una leadership egemonica non si eredita né si costruisce nei corridoi, ma si impone nel vuoto creato da una delegittimazione politica.
b. Potrebbe venire "dal basso" o da una figura ibrida
Potrebbe affermarsi:
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da dentro il partito, ma non dai vertici: un sindaco forte, un amministratore capace di narrazione nazionale, una figura che venga da un’esperienza civica o territoriale (es. una “candidatura delle città”);
-
oppure da una convergenza trasversale tra riformisti del PD, parte dell’associazionismo e del mondo culturale, sindacati, giovanili. Un processo tipo "costituente progressista" che superi l’attuale mappa di correnti.
In ogni caso, dovrà parlare a un’area più larga del PD stesso — e questo è essenziale.
🔍 2. Quali caratteristiche dovrebbe avere?
Una leadership egemonica nel PD oggi dovrebbe tenere insieme tre qualità fondamentali:
a. Legittimità “di sinistra”
Deve essere riconosciuta come autenticamente progressista. Quindi:
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non deve apparire una restaurazione post-renziana o neoliberale;
-
deve avere un linguaggio sociale chiaro, parlare di lavoro, diritti, giustizia redistributiva;
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ma senza rifugiarsi nell’identitarismo minoritario.
b. Capacità federativa
Serve un tratto inclusivo: capace di tenere assieme le componenti diverse del PD e di rilanciare un’alleanza (non sudditanza) con M5S, +Europa, socialisti, ambientalisti, civici. Chi è divisivo non può egemonizzare.
c. Credibilità istituzionale e visione moderna
Una nuova leadership dovrebbe:
-
saper parlare all’Italia produttiva senza complessi;
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avere una narrazione europeista, ecologista e modernizzatrice;
-
e non temere il conflitto con la destra sul piano delle idee, non solo dei diritti.
In sintesi: non basta essere “alternativi a Meloni”, bisogna sembrare in grado di governare meglio di lei.
🤝 3. Su quali alleanze potrebbe contare?
a. Dentro il PD: un asse tra riformisti non renziani e sinistra pragmatica
-
Ex “area Franceschini”
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Ex popolari o cattolici democratici (ma oggi disarticolati)
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Giovani amministratori (Gori, Ricci, Decaro, ecc.)
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Parti della sinistra interna deluse da Schlein ma non attratte da Bonaccini
Un’area che potremmo definire "social-democrazia pragmatica".
b. Fuori dal PD: sindacati, ecologisti, società civile
-
CGIL e mondo del lavoro (non solo Landini, ma anche l’associazionismo diffuso)
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pezzi di “nuovo ambientalismo” (ex Fridays, ora radicati in municipalità)
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mondi culturali e professionali precari
-
un segmento di elettorato post-5 Stelle, in cerca di affidabilità
c. Punto critico: il centro liberale
Il rapporto con Azione, Italia Viva e +Europa è delicato:
-
una leadership egemonica non deve inseguirli, ma deve attrarre parte del loro elettorato moderato e urbano;
-
senza cadere nella trappola dell’agenda tecnocratica, può parlare di riforme, merito, PNRR, impresa innovativa — purché lo faccia da sinistra.
📌 Conclusione
Una nuova leadership egemonica nel PD può nascere, ma solo dentro una discontinuità vera, che riorienti il partito da soggetto mediatore a soggetto guida. Serve:
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un contesto di crisi (politica o elettorale);
-
una figura autorevole ma non divisiva, capace di sintesi e narrazione nazionale;
-
una coalizione interna trasversale e un rapporto forte con mondi esterni (sociali e civili).
Non sarà facile. Ma se non avviene questo passaggio, il PD rischia di vivere una lunga stagione da partito-residuo: non più egemone, e nemmeno utile.
Se vuoi, posso provare a ipotizzare il profilo concreto di una figura (reale o immaginaria) che risponda a tutti questi criteri. Vuoi che lo faccia?
Hai detto:
ChatGPT ha detto:
Ottima scelta. Guardare alle seconde file è spesso l’unico modo per immaginare un cambiamento reale, non solo di volti ma di cultura politica. I nomi che proponi — Provenzano, Tinagli, Boeri, Salis, Onorato, Zedda — sono eterogenei, ma interessanti perché intercettano mondi diversi: economico, sociale, europeo, territoriale, giovanile. Provo a fare un’analisi caso per caso, e poi a individuare chi potrebbe assumere un ruolo egemonico, e chi essere parte di un possibile "gruppo dirigente alternativo".
🔹 1. Giuseppe Provenzano
Punti di forza:
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Uomo di pensiero e di partito: è l’unico ad aver tentato una riflessione organica sul Mezzogiorno, sulle disuguaglianze e sulla sinistra dopo il renzismo.
-
Ha visione “gramsciama”: parla di egemonia, non di governance.
-
Ha una reputazione integra anche tra chi non è della sua corrente (area ex Zingaretti-Bersani).
Punti deboli:
-
Poco carismatico. Fatica a “bucare” il dibattito pubblico.
-
Percepito ancora come figura “di sinistra interna”, non capace di sintesi trasversale.
👉 Potrebbe essere il teorico e l’architetto politico di un progetto egemonico, ma forse non il volto guida.
🔹 Irene Tinagli
Punti di forza:
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Forte credibilità europea, economista seria, visione modernizzatrice.
-
Può parlare all’elettorato centrista senza perdere dignità progressista.
-
È tra le pochissime del PD ad avere una narrazione sul futuro, l’innovazione, il lavoro cognitivo.
Punti deboli:
-
Distanza (percepita) dai mondi popolari e dai movimenti.
-
Poca visibilità mediatica in Italia, e scarsa presenza nei territori.
👉 Potrebbe essere una candidata di rottura in chiave liberal-sociale, ma dovrebbe “radicarsi” di più nella base e nei temi sociali per non apparire elitista.
🔹 Tito Boeri
Punti di forza:
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Ha un profilo intellettuale di altissimo livello, con reputazione pubblica positiva.
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Parla con autorevolezza di lavoro, previdenza, equità — temi centrali oggi.
Punti deboli:
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Non è un politico. Mancanza di esperienza nelle dinamiche partitiche e parlamentari.
-
Rischio di essere percepito come “tecnico prestato alla politica”, senza un progetto di lungo periodo.
👉 Figura di grande autorevolezza: potrebbe essere un ministro, un padre nobile di un progetto riformatore, ma difficilmente un leader di partito nel senso pieno.
🔹 Ilaria Salis
Punti di forza:
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Forte carica simbolica, soprattutto tra i giovani e nel campo progressista.
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Ha mostrato dignità e resistenza personale, incarnando valori democratici concreti.
-
Potenziale mobilitativo molto alto nel breve periodo.
Punti deboli:
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Ancora tutta da verificare come figura politica attiva.
-
Rischia la cristallizzazione nel ruolo di “icona” o di “simbolo”, senza struttura o elaborazione programmatica.
👉 Potrebbe giocare un ruolo chiave nella rigenerazione della sinistra movimentista e nei diritti civili, ma oggi non è pronta per guidare un partito complesso come il PD.
🔹 Mattia Zedda
Punti di forza:
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Radicato in un territorio difficile, apprezzato per concretezza amministrativa.
-
Ha una cifra “socialdemocratica mediterranea” molto utile per ricostruire il legame con le periferie e il Sud.
-
Meno compromesso con le correnti storiche.
Punti deboli:
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Scarsa notorietà nazionale.
-
Non ha ancora mostrato una visione nazionale o una progettualità egemonica.
👉 Un buon elemento per una leadership collettiva: potrebbe evolvere verso un profilo guida con il tempo e con un contesto più aperto.
🔹 Raffaele Onorato (presumo intendi questo nome, ex studente simbolo del 2008 oggi attivo in ambito universitario e sindacale?)
Punti di forza:
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Legame con le lotte generazionali, il precariato cognitivo, i diritti sociali.
-
Profilo nuovo, fuori dalle correnti.
Punti deboli:
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Scarsa visibilità e impatto nazionale.
-
Non ha ancora avuto ruoli istituzionali o di partito di peso.
👉 Figura emergente, utile per rinnovare la classe dirigente, ma non ancora in grado di egemonizzare.
🧩 Sintesi: Chi potrebbe assumere il ruolo guida?
| Nome | Profilo ideale | Possibilità egemonica | Ruolo suggerito |
|---|---|---|---|
| Provenzano | Ideologo sociale | Media | Architetto politico, vice |
| Tinagli | Riformista europea | Alta ma da costruire | Leader potenziale |
| Boeri | Tecnico autorevole | Bassa | Ministro/consigliere |
| Salis | Icona democratica | Bassa oggi | Mobilitatrice simbolica |
| Zedda | Amministratore solido | Media | Quadro dirigente locale |
| Onorato | Giovane di rottura | In costruzione | Figura generazionale |
🏗️ Proposta concreta: una leadership collettiva di transizione
Una vera svolta potrebbe nascere non da un “capo” singolo, ma da un fronte generazionale e culturale nuovo, con dentro:
-
Tinagli come volto nazionale e federativo, modernizzatore ma non elitario;
-
Provenzano come garanzia sociale e profondità politica;
-
Zedda e altri amministratori come legame territoriale;
-
Salis e figure giovani come gancio con la mobilitazione e i diritti.
Una formula così, se si organizza attorno a un progetto politico nitido (una “Carta per l’Italia progressista”?) e si presenta al prossimo congresso, potrebbe disarticolare l’attuale mappa correntizia, catalizzando l’energia che oggi è dispersa.
Se vuoi, posso provare a abbozzare un discorso pubblico iniziale (tipo manifesto o appello) con cui una di queste figure — magari Tinagli o Provenzano — potrebbe lanciare una candidatura diversa. Vuoi che lo faccia?
Hai detto:
ChatGPT ha detto:
Grazie della precisazione: Massimo Zedda, non Mattia. Questo cambia molto — e in meglio — l'analisi, perché Massimo Zedda è una figura compiutamente politica, con esperienza, radicamento e una traiettoria già visibile anche a livello nazionale. Riformulo la scheda con il profilo corretto.
🔹 Massimo Zedda
✅ Punti di forza
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Esperienza amministrativa solida: sindaco di Cagliari, noto per capacità gestionale, attenzione urbana, sensibilità culturale.
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Figura post-ideologica ma chiaramente di sinistra: ha un profilo che tiene insieme cultura riformista e sensibilità progressista.
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Non compromesso con le dinamiche romane e correntizie del PD, ma ne è interno.
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Ha mantenuto coerenza nei passaggi politici, anche durante le fratture con Renzi.
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Rappresenta un Mezzogiorno moderno e urbano, lontano da clientele e vecchie logiche.
❗ Punti deboli
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Visibilità nazionale limitata, anche se positiva.
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Non ha ancora costruito una rete politica stabile fuori dalla Sardegna.
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Manca di una narrazione nazionale propria: è percepito più come "bravo sindaco" che come "leader con una visione".
🔸 Potenziale egemonico?
Sì, moderato ma concreto. Non è una figura polarizzante, può unire pezzi diversi del campo largo. Se sostenuto da una cornice politico-programmatica forte, potrebbe:
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guidare una fase di transizione generazionale e strategica del PD;
-
ricostruire un rapporto col centrosinistra civico e con le esperienze locali;
-
rappresentare la sinistra che amministra e non solo quella che protesta.
🔗 Alleanze e sostegni potenziali
-
Amministratori locali e rete degli ex sindaci PD (Decaro, Nardella, Ricci…).
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Mondo culturale urbano, artistico, universitario.
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Pezzi di sinistra pragmatica e post-zingarettiana.
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Elettorato di sinistra non ideologica, disilluso ma non tentato dal centro.
Potrebbe anche essere apprezzato da parte del mondo ex-5 Stelle, per il suo profilo non arrogante, poco verticista, dialogante.
🔮 Scenario realistico:
Zedda non è oggi il leader egemonico naturale — ma potrebbe diventarlo se inserito in una squadra visibile, competente e coerente, ad esempio:
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Tinagli alla visione europea e alle riforme;
-
Provenzano come elaboratore strategico e garante delle radici sociali;
-
Salis o altri giovani per mobilitazione e diritti;
-
Zedda come punto di equilibrio tra istituzioni, popolo e futuro.

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